ROMA

La lunga strada di Rom e Sinti. Inizia un convegno nazionale a Roma

Oggi a Roma il primo convegno nazionale di Rom e Sinti interamente gestito dalle stesse comunità. Una due giorni di analisi e confronto resa indispensabile dal clamoroso abbandono in cui sono stati lasciati dopo l’esplosione di Covid-19

È stato un miracolo o l’atavica capacità di resistenza dei Rom a far sì che la pandemia Covid-19 abbia colpito solo marginalmente Rom, Sinti e Caminanti? Forse né l’uno né l’altra. Può darsi che a “salvarli” da una potenziale strage ampiamente annunciata – date le condizioni abitative nelle quali versano circa 25 mila di loro relegati in campi o altri insediamenti più o meno informali in Italia – sia stata proprio la tenuta sociale della articolata comunità, nel suo insieme.

Quasi che quello stile di vita e di relazioni possa perfino essere un efficace strumento di tutela, tanto che potrebbe rappresentare un modello da utilizzare per costruire (in senso proprio) una forma concreta di quanto sancito dall’articolo 47 della Costituzione e mai lontanamente rispettato per loro: il diritto all’abitare.

 

È come se i rom non avessero diritto di avere luoghi dignitosi e coerenti con il loro stile di vita, come dimostrano anche i recenti episodi di Torre Maura e Casal Bruciato a Roma dove famiglie assegnatarie non hanno praticamente potuto nemmeno entrare nella casa popolare che spettava loro di diritto a causa di ben manovrate “rivolte” di quartiere.

 

Senza contare l’ampiamente annunciato calendario di chiusura dei campi a Roma, deciso da una apposita delibera quasi tre anni fa, che sta procedendo attraverso intimidazioni e sostanziale abbandono fregandosene delle più elementari condizioni igieniche. Tutto questo, nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia, anche di recente, ordinato al Governo italiano e il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (Ecsr) abbia invitato l’Italia a fermare gli sgomberi di massa ed esortato il nostro paese ad adottare «misure immediate per eliminare il rischio di danni gravi e irreparabili alle persone che sono state sfrattate».

È questa la ragione, esplosa nella sua più cruda evidenza a causa Covid, per la quale il 28 e 29 a Roma gli stessi Rom e Sinti si sono dati appuntamento per un convegno nazionale facendo confluire nella sala grande della parrocchia di S. Ugo in via Lina Cavalieri 3, ospitati dal vescovo di Roma delegato alle questioni dei Rom rappresentanze da tutta Italia. Un’assemblea che rappresenta una assoluta novità, infatti per la prima volta l’incontro sarà a porte chiuse nella prima giornata nella quale a discutere saranno esclusivamente le comunità e aperto al confronto con le istituzioni nazionali e locali nella giornata del 29.

 

A dare una consistente mano per l’organizzazione, oltre all’Associazione Cittadinanza e Minoranze (potete leggere il programma completo sul sito dell’associazione), è stata la Cgil di Roma e del Lazio che prenderà parte attivamente interloquendo anche nei sei gruppi di lavoro: diritto alla cittadinanza, all’abitare, al lavoro, all’istruzione, alla salute e alla tutela dell’identità e della dignità.

 

Il Convegno sarà anche l’occasione per denunciare l’illegalità, sancita dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione dei cosiddetti “campi nomadi” di cui il Tribunale di Roma ha dichiarato, con propria sentenza, il carattere di discriminazione etnica, come per la raccolta di dati sensibili effettuata in occasione di foto segnalamenti. Inutile dire della assoluta illegalità della politica degli sgomberi. Il titolo della due giorni, in lingua romnì è “Romano Baro Drom Rom e Sinti” che, più o meno, significa “la lunga strada di Rom e Sinti”. A indicare che quel percorso intrapreso dalle comunità provenienti da molte e diverse latitudini, non è un viaggio “nomade” e incerto ma un itinerario di ricerca di diritti e di rivendicazione di appartenenza.

 

Immagine di copertina dal sito dell’associazione Cittadinanza e Minoranze