POTERI

Una riforma costituzionale che ci vuole sudditi

I punti essenziali del progetto di riforma di Renzi e i motivi per cui è necessario respingerlo.

La riforma costituzionale (che chiamerò “deforma” per la realtà dei contenuti) va respinta, ad ottobre, dal voto popolare. Essa è piena di strafalcioni, incongruenze, contraddizioni sul piano giuridico. I suoi autori non supererebbero l’esame di Costituzionale al primo anno di Università. Non vale la pena, quindi, di decostruirla articolo per articolo. Anche perché a Renzi (ed ai suoi mandanti) non interessa nulla di snellire il procedimento amministrativo o di rendere più efficiente l’istituzione. Puntano, in realtà, al “premierato assoluto”, senza nemmeno il sistema di bilanciamento e controlli del presidenzialismo statunitense. Il tema di discussione, allora, non è la contestazione degli errori giuridici punto per punto. Non a caso Renzi parla di presunta “rivoluzione”. Tentiamo, invece, di comprendere come cambierebbe, nel profondo, con la “deforma”, l’ordinamento costituzionale, che passerebbe da un sistema di democrazia organizzata e conflittuale ad un modello di investitura, dell’uomo solo al comando.

Indico, pertanto, tra i tanti, solo alcuni punti, per l’essenziale.

1) Segnalo, innanzitutto, l’incostituzionalità strutturale della “deforma” (non riforma) Renzi/Boschi/Verdini. Renzi indice, di fatto, il plebiscito (“dopo di me il diluvio”). Ma le Costituzioni si cambiano (e in contesti storici eccezionali) punto per punto, con grande attenzione e sobrietà, in base alle procedure espressamente previste. La Costituzione italiana le prevede esplicitamente nell’articolo 138. La competenza del cambiamento appartiene unicamente al Parlamento. Crisafulli scriveva che “quando il Parlamento discute di Costituzione è bene che i banchi del governo rimangano vuoti”. Renzi non solo ha approvato la deforma a colpi di voti di fiducia (caso unico nella storia degli ordinamenti costituzionali) e con maggioranze di “ascari” verdiniani, ma pretende il plebiscito eludendo la discussione sul merito. Grazie anche al ruolo non di “garanti” delle regole ma di “commissari” della BCE, esercitato da Napolitano e da Mattarella. È la stessa struttura “borghese” della democrazia rappresentativa ad essere travolta. Il regime di Erdogan in Turchia è quello più simile per procedure e contenuti. I paesi dell’Unione Europea, che pure stanno maltrattando i paradigmi dello Stato di diritto, sono ben lontani dai ricatti renziani esercitati sulla Costituzione, che dovrebbe essere l’espressione giuridica dell’identità di un popolo, una “religione civile”. Quando il governo fa campagna populista, dall’alto, con tutti (quasi) i mezzi di comunicazione, il regime autoritario è vicino.

2) Le costituzioni sono, di per sé, critica del potere, argini alle pratiche governative di eccesso e di sviamento di potere. Ammoniva Calamandrei, padre costituente: “Chi dice che la maggioranza ha sempre ragione solleva lugubri risonanze autoritarie. Il regime costituzionale non è quello nel quale la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni delle minoranze”. Se vogliamo comprendere, al fondo, la paternità e lo spirito del progetto di Renzi, che è mera protesi di poteri finanziari, leggiamo la frase più significativa del documento politico della potente banca J.P. Morgan, che considera la nostra Costituzione “bolscevica” e, quindi, da abbattere: “Le Costituzioni ed i sistemi politici dei paesi della periferia meridionale mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche: governi deboli; eccessiva tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; eccesso di proteste. Ma qualcosa sta cambiando: il test chiave avverrà in Italia, dove il nuovo governo si sta impegnando in importanti riforme”. La deforma costituzionale è, quindi, parte integrante di un nuovo equilibrio mondiale, per rilanciare i processi di valorizzazione del capitale. Non è solo di “tecnica giuridica” che si parla, come pretendono Confindustria e accoliti, ma di lotta di classe “dall’alto” (Gallino), agita dai padroni dentro la crisi della globalizzazione liberista.

3) Siamo, insomma, ad un passaggio importante. Dobbiamo fare la “fatica” di coinvolgere territori, soggettività, criticità finora tenute estranee. Non stiamo, infatti, parlando di mera rappresentazione democratica borghese. La deforma costituzionale è il tentativo di sfondamento definitivo contro i diritti sociali; la corazza che blinda le istituzioni mettendole al riparo dai conflitti, dalle rivolte (o anche solo dalle vertenze sindacali). Diritti al lavoro e al reddito vanno da noi ricollegati al futuro del costituzionalismo moderno. Penso anche al titolo (emblematico) del disegno di legge Boschi: “Contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”. È in nome della crisi economica, cioè, che si giustifica la deforma. L’ordinamento viene piegato alle esigenze di stabilità economica. Il mutamento dell’art. 81 della Costituzione, che pretende il pareggio di bilancio, ne è un esempio. È la struttura ademocratica dell’Unione Europea (fiscal compact, ecc.) che diventa essa stessa fonte normativa. È l’inveramento del “pilota automatico” di cui parlò Draghi (che vale un po’ di più del piccolo Renzi, mero esecutore…): la volontà popolare non deve contare nulla, è il sistema che decide. La Grecia è stata immediata applicazione (colpisci un paese per educarli tutti…). È qui la rottura: il costituzionalismo, dall’essere strumento di garanzia dei diritti, diventa “lex mercatoria”, dominio dell’economia. Non solo la seconda parte della nostra Costituzione, ma gli articoli 1, 2, 3, ecc. vengono abbattuti.

4) La deforma va letta, come è ovvio, insieme alla nuova legge elettorale (Italicum). Insieme compongono un modello di “democrazia immediata, di investitura”. Il potere dei cittadini si esaurisce nella scelta dei capi di governo. Il “capo” si relaziona direttamente ai suoi sudditi, senza mediazioni sindacali, associative, politiche. La struttura intermedia della società viene pressocchè rimossa. Ma il costituzionalismo democratico prevede il modello di “democrazia di indirizzo”, in cui la sovranità popolare si esprime attraverso l’elezione di organismi rappresentativi che vivono in dialettica con istituti di democrazia diretta. Il progetto governativo porta a compimento un processo di verticalizzazione oligarchica (investitura del leader, uomo solo al comando). Anzi, la personalizzazione è vista come unica risposta alla complessità della società postmoderrna. Le élite politiche si avvalgono delle tecniche di pubblicità commerciale, adottando i messaggi subliminali del marketing. L’unico obiettivo è la “democrazia governante” (Veltroni, D’Alema). La rappresentanza è solo una delega ogni cinque anni al governo (ed è meglio, per il potere, se cresce l’astensionismo “per apatia”, per la sensazione che votare non serva a nulla). Controlli istituzionali, sociali sono cancellati. Non a caso, la legge elettorale fa il pieno di soglie di sbarramento, abnormi premi di maggioranza, ballottaggio, voti al partito (e non alle coalizioni). I segretari di partito hanno mano libera; attraverso l’indicazione dei capilista e le candidature multiple scelgono quasi tutti i deputati. Il Senato, che non viene affatto eliminato, diventa il dopolavoro per alcuni sindaci e consiglieri regionali, che erano stati eletti per fare i consiglieri regionali e non i senatori, con mansioni e funzioni più delicate costituzionalmente. Il capo del partito ha, in base all’Italicum (non a caso raccogliamo le firme per il referendum abrogativo), i numeri per condizionare l’elezione del presidente della Repubblica, dei membri degli organi di garanzia. L’Italicum fa rimpiangere la “legge truffa ” democristiana ed è peggiore della legge fascista Acerbo. Il baricentro è tutto spostato sull’esecutivo. Il procedimento legislativo previsto è farraginoso. Il governo domina il Parlamento in una sorta di “stato di eccezione permanente”. Perfino l’indizione dello stato di guerra è sottratto alla solenne decisione parlamentare.

Per questo dobbiamo costruire capillarmente sul territorio comitati per il “no”. Per controbattere la macchina da guerra mediatica di Renzi e l'”unione sacra” di tutti i potenti (che vogliono, non a caso, il “sì” alla deforma costituzionale).

5) Difesa della Costituzione e lotte sociali non sono scindibili. Non per riflesso “conservatore” ma proprio per recuperare noi lo “spirito costituente”. Per innescare un processo di politicizzazione di massa. Scuola sempre più classista; lavoro sempre più semischiavistico; ambiente sempre più terreno di profitto, di inceneritori. Siamo di fronte, mi pare, a grandi rischi, ma anche a grandi opportunità. L’ “ordoliberismo”, in crisi di modello, diventa sempre più competitivo al suo interno e violento all’esterno. Impone la “società del controllo”. Ha bisogno di costruire muri, chiudere frontiere a donne e uomini, ammassare corpi e vissuti in campi di concentramento. E anche di abbattere il principio cardine della democrazia rappresentativa: “una testa, un voto”. Accettiamo la sfida, tentando di rimettere a tema democrazia diretta, autogestione, autoorganizzazione.

E se ricominciassimo a parlare della Comune di Parigi?

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