DIRITTI

Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più meritevole del reame?

Note di riflessione a seguito della vicenda di Miss Sapienza. Leggi anche: Per un altro genere di università! Appello alla mobilitazione!

5000 lire per un sorriso era il nome di un noto concorso di bellezza, nato da un’idea del celebre pubblicitario Dino Villani e di Cesare Zavattini per sponsorizzare una marca di dentifricio, che elesse dal 1939 al 1944 la “ragazza più bella d’Italia”, finchè poi nel 1946 venne ribattezzato direttamente Miss Italia. Concorso che ebbe il suo apice negli anni ’50, tra le macerie del secondo dopoguerra, collocandosi perfettamente nell’immaginario di un’epoca che vedeva in film come Poveri ma belli, Belle ma povere, (entrambi di Dino Risi), Bellissima (di Visconti), Luci del varietà (di Lattuada e Fellini), La fortuna di essere donna (di Blasetti), Le ragazze di Piazza di Spagna (di Emmer), opere che ne rispecchiavano i sogni, le ambizioni, anche se chiaramente in un contesto di critica sociale più o meno articolata.

Sicuramente un concorso di bellezza non è l’unico ambito oggi, come ieri, in cui ci viene richiesto di sorridere continuamente, di essere “carine” con tutti, simpatiche, spigliate. La nostra immagine, il nostro carattere, le nostre qualità, la nostra cortesia sono indispensabili per riuscire a stare nel mondo universitario prima e nel mercato del lavoro poi, per poter lavorare, anche se vanno ad iscriversi in tutte quelle “mansioni in più” non previste da nessuna parte e non retribuite nel nostro stipendio. Si chiama personal branding questa attitudine, questo continuo promuovere sé stessi nel tempo. Una vera e propria occupazione che ci cattura anche fuori dagli orari di lavoro stabiliti (dal contratto se ce l’hai…) e che chiama in causa anche la nostra capacità di networking, di relazionarsi , di sapersi presentare “al meglio” e di “capitalizzare” le proprie risorse continuamente.

Dobbiamo essere originali, finte stupide, seducenti, socievoli, con la parlantina e la battuta pronta, ma anche silenziose al momento giusto, operative, energiche, remissive, disponibili, ma in sintesi poi, docili e flessibili. Dei veri e propri curriculum vitae ambulanti, continuamente valutate, giudicate ed analizzate, dal post su facebook, al vestito troppo o poco scollato, al tatuaggio adatto se fai la commessa trendy per H&M o che va coperto se fai la hostess al centro commerciale la domenica con le famiglie. Senza contare l’essere sempre reperibile, dato per scontato anche dentro le mura domestiche… Perché “tutto fa curriculum” che è la nuova massima di vita che ognuno ha ben stampata nella mente, più di evergreen come “Carpe diem” o di “Cogito ergo sum”, o di altri aforismi da Baci Perugina. Quindi in un contesto simile, forse anche un titolo come Miss Sapienza se sei una studentessa nell’università in questione può andar bene.

Ci riferiamo a questa kermesse di bellezza, il film dei nostri tempi, andato in onda circa un mese fa in una nota discoteca romana. Lo scenario: nessun patron naturalizzato in Liguria, ma un consesso giudicante comunque dei più appetibili. Rettore, professori, eminenti giurati, altro che esame per il dottorato! Una svolta proprio! Senza contare i premi in questione, buoni da spendersi in una clinica estetica, perché si sa a 20 anni le rughe sono una piaga sociale. Una gioventù nata e cresciuta negli anni del berlusconismo imperante e che ora si ritrova a vivere nell’epoca del suo epigono toscano (ma più antipatico) Renzi col suo stile che, si sa, fa proseliti dove trova terreno fertile.

Pensiamo al prototipo della donna renziana, la ladylike, la donna che va tutte le settimane dall’estetista e che se viene candidata pone la questione nella campagna elettorale (v. Alessandra Moretti, che dopo le ultime elezioni è meglio se davvero lo prende in gestione un centro estetico), perché: “Dobbiamo e vogliamo essere belle, brave, intelligenti ed eleganti”, poiché la bellezza “non è incompatibile con l’intelligenza”. Frase che sintetizza da sé lo spessore concettuale di tale modello culturale di donna direttamente dal vangelo secondo Renzi. Non la velina muta, troppo scosciata ed esigente e poco utile a conti fatti, ma la femmina che in quanto quota rosa viene posizionata e guidata dal sapiente capo, mentre impara a stare zitta e a parlare per slogan senza autonomia fasciata magari in un tubino simply chic, involucro troppo spesso sprecato purtroppo e che nell’insieme contribuisce a formare il prototipo della saraca renziana (pesce conservato sotto sale messo in salamoia e a volte affumicato). E non solo nella società, nella politica, nel mondo del lavoro, ma anche e nell’università del merito, a quanto pare il ranking arriva dappertutto, perfino alle misure del giro vita.

Il merito come dispositivo teorico-pratico che oltre a costruire una particolare narrativa efficientista sulle forme di studio, di vita e di lavoro, è diventato la cassa di risonanza per ogni “riforma” e definanziamento per colpire il mondo della formazione da decenni. E la Buona Scuola renziana rappresenta uno degli ultimi tasselli. L’università di Roma La Sapienza non si è mai sottratta all’applicazione letterale e pratica di ogni riforma che negli anni si è data il cambio per smantellare pezzo per pezzo il sistema universitario. Ed anche il rettore Gaudio non è da meno. Accanto alla promozione del modello competitivo aziendale, che nega alcuni presupposti necessari per riformare l’istituzione accademica, quali ad esempio il lavoro collettivo e l’uscita dall’autoreferenzialità dei saperi trasmessi, vengono di fatto proposti meccanismi che incoraggiano superficialità, ritualismo, opportunismo culturale sempre in un quadro economicamente complesso di premi e di punizioni, di selezione e di sanzioni. E La Sapienza è anche preda continua di un land grabbing speculativo da parte di enti, imprese che occupano con stand, gazebo, iniziative di dubbio gusto, convegni militaristici, feste kitsch, il suolo, le mura e gli edifici di quella che dovrebbe essere una istituzione culturale. In cui, poi, di conseguenza, vengono posti vincoli continui ad iniziative davvero includenti di riappropriazione culturale autorganizzate dal basso dagli studenti che quella università la vivono davvero ogni giorno. Quindi una fascia da Miss, un buono e qualche raccomandazione dal giurato con le mani in pasta di turno potrebbe essere qualcosa di più sostanzioso per accompagnare un pezzo di carta triennale e un tirocinio gratuito all’università. Come sostenere il contrario? In fondo “Che volete ragazzi miei? “Poco è meglio di niente, no?” – sintetizzava con estremo “candore” la pupilla renziana e altra ladylike Maria Elena Boschi.

Peccato che noi giovani, studenti, precari non ci accontentiamo del “poco”, ovvero del nulla, elemosinato attraverso programmi fallimentari come La Garanzia Giovani, stages e tirocini gratuiti, perché chissà-forse-non sia mai-che alla fine ti assumono e poi-forse- ti pagano (con buona pace del cinico cantante Jovanotti) oppure di buoni di centri estetici dal concorso di bellezza di turno… Peccato che i nostri corpi imperfetti, insubordinati, ostinati, ribelli non hanno bisogno di essere esaminati, stilizzati e classificati da nessun dispositivo meritocratico e livellatore.

Il corpo non si presenta come oggetto docile, ma come soggetto opaco, che resiste a qualunque schematizzazione perché i corpi messi a profitto secondo l’imperativo produttivista contemporaneo, appigli sicuri in cui individuare meccanismi possibili di sfruttamento, sono al tempo stesso centri indipendenti dell’espressione di potenza produttiva. Eppure, riprendendo David Harvey: “Qual è l’effetto della circolazione del capitale variabile (l’estrazione della forza-lavoro e del plus valore) sui corpi (le persone e le soggettività) di coloro che ne vengono attraversati?”. La differenziazione tra i corpi, che non è mai neutrale, passa allora nella distinzione tra visibilità e invisibilità. In alcuni casi questi corpi, quelli delle puttane, dei migranti, ma anche dei precari,degli studenti, dei lavoratori, degli ultimi, diventano carne da schernire,sfruttare, reprimere, ghettizzare, marginalizzare, nascondere, scacciare. A meno che quei corpi invisibili non decidano di emergere e ribellarsi, assumendo così una visibilità rischiosa per il potere.