DIRITTI

Semplici attori? No, protagonisti! Una riflessione sui fatti di Bologna

Sono state dette tante cose sui fatti di Bologna, sulle cariche della celere all’interno dell’Università, sulla legittimità dei tornelli in biblioteca, ecc… ma il vero problema è stato perso di vista e contro gli studenti è stata messa in atto una vera e propria violenza mediatica

La vicenda specifica di Bologna riguardo i tornelli è più complessa di come è stata descritta dai giornali. Il problema di Repubblica e l’Espresso sembra quello di individuare fin da subito un nemico, creare una gogna mediatica nei confronti degli studenti e delle studentesse che vogliono e immaginano un’università diversa e accessibile a tutt*. In questo caso, come in molti altri, Repubblica e l’Espresso hanno attuato una vera e propria violenza mediatica ponendo la questione come se fosse di ordine pubblico. L’opinione pubblica si è dunque scagliata da subito contro quei così detti “criminali” poiché desiderosi di essere corpo vivo dell’università e non semplici fruitori di un servizio. Un servizio oneroso, per questo escludente, garantito realmente solo a chi può sostenerlo o eccelle.

E’ passato in secondo piano che per la prima volta, in Italia, un reparto della celere sia entrato in una biblioteca terrorizzando chi stava studiando, caricando all’ingresso, e manganellando successivamente le studentesse e gli studenti. Tutto ciò è inaccettabile ed è frutto di una concezione completamente distorta dell’università, trasformata in un esamificio e privilegio per pochi. Una visione cieca che non vede negli studenti i veri protagonisti delle decisioni relative agli spazi che ogni giorno attraversano, ma dei semplici attori.

Vogliamo ricordare che solo attraverso processi di socializzazione, democraticità e autogestione ci possa essere un sapere critico, trasversale e realmente formativo. Dunque, la nostra unica colpa è quella di voler rendere l’università un luogo più inclusivo e partecipato, e di conseguenza più sicuro. Partendo da queste brevi riflessioni, siamo convinti che il ragionamento da fare è assolutamente un altro e che questo sia strettamente legato al modo in cui si intende vivere la città e l’Università. Il problema non è tanto “tornelli si o tornelli no” quanto ciò che simbolicamente e fisicamente essi rappresentano. Vale a dire un cambio sostanziale del ruolo e della funzione dell’università e del sapere sia nel loro rapporto con la città che nel loro legame con gli student*, riscrivendo in termini esclusivi l’accessibilità, la gestione dei servizi e la democraticità nelle decisioni.

Una delle giustificazioni date all’introduzione dei tornelli è stata quella che rappresentassero l’unico strumento per garantire maggiore tutela agli studenti e alle studentesse, come se la sicurezza degli spazi si possa raggiungere creando una reale separazione tra un mondo pieno di incertezze e un’università accogliente e dolce, che si mette a disposizione degli student*, entro però certi limiti e certe regole. Appena si cerca di andare oltre a queste per immaginarsi un qualcosa di realmente diverso ci si trova a sbattere contro un muro, ma specialmente contro decisioni prese dall’alto prima e centinaia di manganelli poi.

Ma allora questa è realmente sicurezza? L’università che vorremmo deve veramente fondarsi su un distacco cosi reale e presente tra luoghi decisionali e corpo vivo dell’università? Cercando ogni giorno di creare spazi di condivisione e di dibattito dove l’orizzontalità delle decisioni sia il pane quotidiano per una crescita realmente collettiva, siamo convinti che l’unica sicurezza possibile sia garantita da una gestione diretta dei servizi da parte di tutti gli student*.

L’università diventa sicura se a decidere è realmente chi l’attraversa ogni giorno, se a prendere forma sono le nostre idee e i nostri desideri, se il sapere realmente torna ad essere quel ponte tra università e città, grazie al quale è possibile leggere la società e analizzare le sue contraddizioni per cambiarla. In questo senso l’autogestione e l’autoformazione tornano ad essere il vero fondamento dell’università. La possibilità di poter creare momenti di discussione inclusivi, di studio collettivo in cui fermarsi un secondo, ragionare insieme, condividere le idee mettendole a confronto e valorizzando le proprie differenze. Questo significa per noi un’università bella e sicura: un luogo, che sia un’occasione di formazione personale e arricchimento collettivo, dove effettivamente non si deve entrare in competizione con tutti gli altri per conquistare quelle poche briciole rimaste. Briciole che voi continuate a chiamare diritto allo studio, ma che in realtà non sono altro che un modo per normativizzarci e formarci nell’idea della competizione o del “se sei bravo/a vai avanti”. Continueremo a dar vita a spazi in cui discutere, studiare e sentirci vivi insieme, perché solo così riusciremo ad essere i veri protagonisti dei luoghi che attraversiamo oggi e attraverseremo domani.

Ci volete soli e indifesi, ci avrete uniti e pronti a riprenderci tutto!

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Articolo pubblicato sul sito Lur – Libera Università Roma