POTERI

Renzi al derby leopoldo

Francamente non sappiamo, malgrado i promettenti sondaggi, come finirà il referendum, ma per ora godiamoci l’incasinamento dem, il derby fra rabbia e proposta, fra cinismo e speranza e altri cori da curva intonati alla Leopolda . Un Renzi nervoso e sopra le righe, che ha dedicato il fine settimana a bastonare la sinistra interna e i manifestanti per le strade di Firenze, ri-personalizzando il referendum e giocando la carta invero assai misera di un pizzino oscuro sulla riforma dell’Italicum, cui ha abboccato il solo Cuperlo, nel ruolo del boccaccesco Calandrino carico di sassi del Mugnone – tanto per rispettare il genius loci.

Non c’era proprio aria di ricomposizione e gli insulti più volgari hanno seppellito non solo gli oppositori dalemiani e bersaniani ma trent’anni di storia Pci-Pds-Pd in un’orgia di “arroganza e sudditanza”. Per dirla con una metafora off-the-record ma alfine comprensibile di Bersani: per Renzi il solo comunista buono è quello morto (Jotti, Ingrao, Berlinguer). Il referendum, in totale indifferenza ai contenuti, è tornata a essere un regolamento di conti, agghindato di insopportabile retorica nuovista e catastrofismo ricattatorio: se vince il No, spread alle stelle, seconda stagione di The young Pope e nuovi terremoti sopra il sesto grado.

Indimenticabili, fra uno scalpo e l’altro di testimonial della società civile, benefattori e vip, i siparietti: Oscar Farinetti che invita i renziani a simulare un po’ di paura per risultare meno antipatici, il fact checking sulle presunte bufale del NO, condotto con intrepida spudoratezza da M. E. Boschi, la prolusione del performer Costantino della Gherardesca Verecondi Scortecci, della scuderia P-Nuts e discendente del conte Ugolino (voce Wiki), gli imprenditori Trippetti, Galluzzo, Crognaletti, Scordamaglia e i più noti Andrea Guerra e Brunello Cucinelli, protagonisti dell’industria del lusso…

Ma su tutti svetta lui, lo psicanalista della domenica, il papi di Telemaco, il super-strizza Massimo Recalcati, obbrobrio della categoria, che ci ha spiegato in un’insopportabile lezione come dire no sia patologico, conservativo, sintomo grave di masochistico godimento della distruzione e paternalismo, che è odio per la giovinezza. Il figlio giusto, Telemaco appunto, la generazione Telemaco coltivata da Renzi non vuole godersi l’eredità ma riconquistarla ogni volta rischiando. Insomma, mica mummie come i clienti di Banca Etruria, che ancora sperano nel rimborso di azioni e obbligazioni subordinate, ma la spensierata generazione dei voucher, dell’eccitante lavoro H24 e dei Torno Subito tassati al 24%, che matura nei viaggi, disdegna le certezze ontologiche e sguazza nella società liquida e nella merda. Quanto è bella giovinezza, i padri imparino dai figli e i figli imparino da me e Matteo. Attenzione che i giovani non siano sedotti e sequestrati dai populisti, bisogna dismettere volti e abiti grigi e affidarsi al sogno, alla “verticalità della parola poetica”. In effetti, meglio sognare che credere alla Garanzia Giovani…

Una fase interlocutoria, dunque, della campagna referendaria, senza grandi rilanci e mance (il bonus diciottenni arranca nella palude digitale), con una melina sulla legge elettorale che, oltre a tener buoni i polli da allevamento dissidenti, apre alla prospettiva di una larga coalizione post-referendaria per stoppare l’ascesa del M5s. Ciò che spiega anche la cautela di un centro-destra in lenta riaggregazione dietro Berlusconi e che auspica un azzoppamento più che una frana di Renzi e non disegnerebbe una qualche complicazione del meccanismo referendario – spacchettamento o rinvio.

Se il Sì ha il fiatone, il No dei comitati non incalza e stenta a far valere le ragioni sociali della battaglia, che invece dovrebbero consolidare nelle ultime settimane la maggioritaria opposizione giovanile e trasformare in protagonisti del rinnovamento “i perdenti della globalizzazione” – come li ha bollati Renzi, minacciandoli di “protezione” come un boss mafioso.