Il Natale dei marò

La retorica nazionalista e coloniale nel caso dei due militari.

“Orecchiette e baccalà fritto”, i telegiornali ci informano del pranzo in famiglia nella natia Puglia di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò (ovvero incursori del battaglione San Marco della Marina) rientrati dopo dieci mesi di detenzione in India e che dovranno tornare nel paese asiatico entro il 12 gennaio.

Al loro ritorno i due militari della marina sono stati accolti con tutti gli onori militari sulla pista su cui è atterrato il volo di Stato che li riportava in Italia. Ad aspettarli due ministri, Terzi e Di Paola, e il Capo di stato maggiore, l’ammiraglio Binelli Mantelli. Dopo un veloce saluto con la famiglia e l’incontro con i vertici militari i due soldati vanno dritti dritti a incontrare il Presidente Napolitano, accolti al Quirinale come eroi.

La politica esulta, i media raccontano il tanto agognato ritorno dei connazionali per le feste come una fiaba di Natale, l’abbraccio commosso con i cari condito da particolari che solleticano le corde sentimentali dei cittadini. Quasi nessuno parla del motivo per cui i due sono sotto processo in India: durante un servizio di scorta antipirateria avrebbero ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati.

Il caso dei due marò è stato al centro da quel momento di un braccio di ferro diplomatico tra Italia e India. Se in India è diventato motivo di accesa polemica politica, con i movimenti nazionalisti, in particolare il partito Indù, all’attacco della presupposta arrendevolezza all’Italia delle istituzioni dello Stato del Kerala, in Italia la storia dei due marò ha risvegliato la peggiore retorica nazionalista da parte della destra in primis (da CasaPound alla Meloni e La Russa che li vogliono addirittura candidare nel loro nuovo partito), ma anche del governo dei tecnici e del centrosinistra, che si è unito al coro di sdegno per il trattenimento dei due soldati. Un discorso pubblico fatto di fiaccolate e foto esposte fuori le sedi di molti Comuni, ma anche fuori la sede del Pdl in via dell’Umiltà per “riportare a casa i nostri ragazzi”, come se fossero ostaggio di un paese barbaro ed esotico.

Come se un paese come l’India, molto più al centro del mondo di un’Europa e un’Italia sempre più provincializzate, non si potesse permettere di trattare alla pari con l’Italia per accertare le responsabilità dell’omicidio di due suoi cittadini, anche se semplici pescatori. Un rigurgito d’impotenza postcoloniale, un delitto di lesa maesta da parte di un paese incivile, come se bastasse essere italiani per essere trattati con tutti gli onori e ritenuti di principio innocenti. I due piloti di caccia americano accusati della strage del Cermis furono extra territorializzati, portati negli Usa processati e, neanche a dirlo, assolti: allora tutti ad invocare la sovranità italiana, che evidentemente vale meno di quella indiana.

Non c’interessa entrare nel merito della colpevolezza o meno di Latorre e Girone. Ciò che ci preme sottolineare è il discorso pubblico della politica e dei media, a partire da una banale constatazione: se le parti fossero state invertite, non avremmo assistito a un simile impeto garantista, ma ad urla belluine per una punizione esemplare; così come è evidente che governo e media trovano molto più preoccupanti le condizioni di detenzione di due militari accusati di un terribile omicidio, delle atroci condizioni di vita nelle carceri del belpaese. Sarà perché i detenuti sono in linea di principio poveri, zingari, migranti, tossicodipendenti.