POTERI

Doppio movimento

Cronaca di un paese tra campagna elettorale e realtà.

Su due schermi diversi scorrono le vicende italiane: sul primo il declino affannoso dell’Italia, a doppia velocità dentro la crisi europea, sul secondo la baruffa elettorale, con un diluvio di grottesche promesse bi- anzi tri-partisan (giù le tasse, via l’Imu, via l’Irap, basta con la carcerazione preventiva, basta con gli F-35, liste pulite, rigetto dei ricatti Cee e Bce, voto agli studenti Erasmus, ecc.). Grottesche non perché lo siano in sé, ma perché provengono da coloro che hanno votato l’opposto in Parlamento anni o pochi mesi fa.

Sul primo schermo vediamo –sulla sfondo di una stagnazione europea permanente e di una perdita di concorrenzialità dell’euro minato dalla svalutazione del dollaro e dello yen– l’esplosione della disoccupazione e la caduta del Pil nel 2013, l’aumento inarrestabile del debito pubblico e del rapporto debito/Pil, il crollo dell’industria manifatturiera e il baratro che si apre nel sistema bancario con la torbida vicenda Mps (tempesta perfetta delle correnti incrociate Pd, Massoneria e Opus Dei), prodromo di analoghi sconquassi in altre banche infarcite di derivati. Bersani si preoccupa del probabile buco di bilancio che troverà in caso di vittoria e sulla conseguente necessità di una manovra di primavera, che si tradurrà in ulteriori tasse sui ceti medi, le case e i lavoratori dipendenti, avendo scartato recisamente (vero, Vendola?) la patrimoniale sui redditi finanziari. Più in generale, al gruppo dirigente del Pd (cosiddetta “sinistra” compresa) non passa neppure per la testa l’idea di sospendere l’improvvida adesione al fiscal compact e al pareggio costituzionalizzato di bilancio, che già vale 40-50 miliardi all’anno di tagli. Meno che mai denunciare e contrattare il debito. Il decremento del Pil e l’incremento della Cig ordinaria e in deroga erodono già adesso le risorse disponibili, figuriamoci l’adozione dell’agenda europea!

I temi economici restano al margine della campagna elettorale, se non come pretesto per rinfacciarsi reciprocamente le responsabilità del disastro. Di cambiamenti strategici (a parte alcune formulazioni di principio di Rivoluzione Civile-Ingroia, peraltro ancora vaghe) non c’è ombra, lasciando tutte le soluzioni alle future combinazioni post-elettorali, quando per di più arriveranno un nuovo ultimatum Cee e il ricatto dei mercati. L’imbarazzo di Nichi profumo-di-sinistra sulla svanita patrimoniale (del fiscal compact non ne parliamo) è pari soltanto a quello sui matrimoni gay –la formula francese non è neppure presa in considerazione, Hollande va bene solo per il supporto logistico in Mali, non per la tassazione e per i diritti civili! Questa situazione strutturale è complementare alla sua espressione politica: l’accordo a tutti i costi fra la coalizione Pd-Sel e il centro montiano, ma anche casiniano, cioè cattolico non proprio “adulto”. Le alleanze seguono le agende, se poi sono imposte dal conteggio dei seggi (senatoriali), tanto meglio.

Sul secondo schermo l’agitazione di superficie rivela l’angoscia per l’incertezza del risultato, la sfasatura irrimediabile fra risultati della Camera e del Senato, quindi una tenuta impossibile per il probabile vincitore, la coalizione Pd-Sel, “costretta” (peraltro secondo i propri inconfessati desideri) all’alleanza con Monti, che forse non basterà neppure ad assicurare una maggioranza stabile. Nel qual caso si prospetta addirittura una grande coalizione che riprodurrebbe la strana maggioranza a sostegno del governo tecnico e ovviamente avrebbe in Monti il suo leader designato. E allora, fuori dai denti, speriamo che ingovernabilità ci sia, perché questa è la condizione per bloccare o frenare quanto è annunciato sul primo schermo: la corsa cieca al disastro economico e sociale, secondo i dettati di un’agenda Monti che il Financial Time assimila all’ottusa politica deflazionista del cancelliere Brüning (1930-32), conseguente a quella del precedente ministro socialdemocratico alle finanze Hilferding, generando disoccupazione e spalancando le porte al nazismo.

Bersani ha perso nell’inverno 2011-12 la possibilità di elezioni anticipate con l’orrido ma allora favorevole Porcellum (Berlusconi stava sotto botta, mentre oggi è in rimonta, Monti era stato appena prestato alla politica). Il disastro finanziario era un rischio, ma nell’anno trascorso tutti i fondamentali economici e il livelli di debito sono peggiorati, mentre diventa evidente il fallimento complessivo della scelta europea di austerità. Adesso la destra si è riorganizzata nel polo di centro e nel berlusconiano rimbalzo del gatto morto (dead cat bounce). Nel caso probabile, di un Senato senza maggioranza assoluta Pd-Sel, le complicate e contraddittorie alleanze porteranno, dopo le votazioni per il prossimo Presidente della Repubblica, a una fase agonica che imporrà un ricorso anticipato alle urne.

Al momento è l’unica chance –sullo schermo politico– per bloccare la deriva recessiva e creare le condizioni (eluse da Sel e da Rivoluzione Civile) per una riaggregazione della sinistra radicale, di una Syriza italiana. Quando il governo è stupido e oppressivo, l’ingovernabilità è la salvezza. A patto che, nel contempo, si sviluppi un’ondata di lotte.