MONDO

Argentina, mobilitazione unitaria dei sindacati contro Macri

Per la prima volta dopo il 2001, lo scorso 29 aprile tutti i sindacati argentini (le confederazioni della CGT e le due correnti della CTA) sono scesi in piazza in maniera unitaria, contro i licenziamenti e i tagli del governo Macri, portando in piazza 350mila persone a Buenos Aires. Assieme ai sindacati anche le organizzazioni territoriali e i movimenti popolari.

Una enorme mobilitazione invade le strade del centro della capitale argentina. Paseo Colon, a due passi dalla Casa Rosada, il palazzo presidenziale che si affaccia su Plaza de Mayo, è un mare di manifestanti e di bandiere di tutti i colori e sigle sindacali; assieme ai sindacati una significativa presenza del peronismo militante e del kirchnerismo ed una abbastanza ampia partecipazione dei movimenti e delle organizzazioni popolari e di sinistra. Ma le presenze eccedono le stesse organizzazioni sindacali in una giornata complessa, importante seppure densa di contraddizioni. Una giornata che non nasconde le tensioni politiche e sindacali, non solo rispetto alla relazione tra i vari sindacati ( o meglio delle loro dirigenze) con il governo, ma tra gli stessi sindacati, e tra alcuni di essi e le organizzazioni popolari (tra i sindacati principali spicca l’assenza dell’ultimo momento della corrente Bianca della CGT, quella che maggiormente sta mantenendo aperto un dialogo con il governo). Uno sciopero solo annunciato, poi trasformato in un comizio sindacale in vista del primo maggio.

Attraversare la piazza e la sua densità politica e rivendicativa è un esercizio di inchiesta e mappatura della riorganizzazione delle forze sindacali dopo la fine del governo kirchnerista e a cinque mesi dall’inizio del governo di Cambiemos. Una marea che, a due giorni dal 1 maggio, si riversa fin nelle vie del vicino quartiere di San Telmo e sulle avenidas attorno alla piazza dove, proprio di fronte al Monumento ai lavoratori situato davanti alla Facoltà di Ingegneria, alle tre puntuali iniziano i comizi dei segretari dei sindacati argentini. Sono cinque i punti di convergenza delle forze sindacali che chiedono al governo di risolvere l’emergenza occupazionale e modificare le politiche di questi primi cinque mesi relative alla tassazione dei profitti, ai sussidi statali alle famiglie, al diritto allo sciopero (in particolare rispetto al nuovo protocollo sulla sicurezza che restringe la libertà di sciopero e di manifestazione), reclamando la libertà dell’attività sindacale dall’intervento politico del governo. Come segnala Aljeandra Soifer su notas, l’ultima piazza unitaria dei sindacati risale al 13 dicembre 2001, pochi giorni prima dell’insurrezione del 19 e 20 dicembre. Per quanto ci troviamo in una situazione sicuramente differente, la portata storica e l’importanza politica di questa giornata apre nuove sfide per i movimenti e le forze sociali impegnate nel rilanciare la resistenza al governo Macri.

Già dalla tarda mattinata migliaia di manifestanti raggiungono i concentramenti dei cortei che da differenti piazze della capitale cominciano a muoversi in corteo verso Paseo Colon y Independencia. Dalla stazione di Constituciòn, una impressionante mobilitazione della Confederazione dei lavoratori dell’Economia popolare, nuova esperienza sindacale che riunisce lavoratori informali, delle cooperative, dell’autogestione (appoggiati sia da settori kirchneristi che da movimenti e organizzazioni popolari della sinistra) ed esperienze di fabbriche recuperate, i cartoneros dell’ MTE (movimento dei lavoratori esclusi), in decine di migliaia avanzavano, a ritmo di murga e di tamburi lungo tutto il corteo. Comporre il frammentato lavoro migrante, le esperienze cooperative, ricostruire tessuti sociali e politici a partire dal mutualismo e dalla solidarietà in un contesto urbano e sociale profondamente segnato da violenza poliziesca, razzismo, lavoro schiavile e precario, narcomafie, rappresenta una sfida decisiva per pensare una alternativa sociale e politica attuale e all’avanzata delle politiche di tagli e indebitamento portati avanti da Macri.

Il servizio di Barricada TV

Da Avenida Cordoba sono partiti i lavoratori delle università, le scuole popolari, i docenti gli studenti e i lavoratori del mondo della formazione che da ormai due settimane hanno trasformato le lezioni in assemblee pubbliche e blocchi stradali, organizzando blocchi e cortei notturni contro i tagli annunciati dal governo. Accanto ai sindacati dei docenti, la CTA, la ATE (settore degli statali della CTA) protagonista di diversi scioperi in poco più di un mese, al momento una delle categorie più combattive, poi i lavoratori dei Centri di Salute, gli impiegati di banca, che hanno scioperato la settimana scorsa. Al centro della piazza, contraddistinti ognuno dai propri colori e dall’adesione ad una specifica corrente sindacale, lo spezzone blu dei metalmeccanici, il verde del sindacato dei camionisti, poi i lavoratori del settore alimentare, dei trasporti e dell’energia. Sul palco i loro leader, riuniti per la prima volta dopo anni: come sottolinea l’editoriale di Notas, sul palco di Paseo Colon si è giocata anche una partita “politica” tra le burocrazie sindacali, attorno alla gestione della rappresentanza dei lavoratori in questa fase delicata, misurando in piazza i rapporti di forza tra le diverse confederazioni e con il governo stesso. Se questa giornata aprirà ad una rottura tra le parti sociali e il governo, o sarà solo un passaggio utile a riaprire in forma differente la negoziazione, saranno le piazze e le prossime mobilitazioni a definirlo. E’ stata intanto annunciata per luglio la riunificazione della CGT (divisa attualmente in tre differenti sindacati) e la piazza unitaria con le due correnti della CTA apre spiragli di rilancio del conflitto sindacale, come non avveniva ormai da anni.

Già da due mesi in Argentina si susseguono senza sosta scioperi, mobilitazioni, cortei contro i licenziamenti che, come leggiamo su Pagina12, sono arrivati ad “un totale di 127.144 nel primo trimestre del nuovo anno. Poco meno di due terzi nel settore privato, in particolare nel settore delle costruzioni, (il 44 per cento del totale) e a seguire nei settori metallurgico, meccanico, alimentare, automobilistico, commercio, trasporti e media. Un terzo dei licenziamenti riguarda invece il settore pubblico, l’amministrazione nazionale, il Congresso, le amministrazioni delle province e dei municipi, con 8083 licenziamenti solo nel mese di marzo, 16 volte di più di quanto accaduto nello stesso mese un anno fa”. Assieme alla crescente e smisurata inflazione (oltre il 40 per cento) e ai tagli ai sussidi statali per le forniture di luce, acqua e gas, il potere d’acquisto degli argentini, in soli cinque mesi del nuovo governo neoliberale di Macri, è stato pesantemente attaccato, mentre proseguono le approvazioni dei decreti-legge (senza discussione parlamentare) che concedono sgravi fiscali a imprese multinazionali. L’offensiva neoliberale del governo Macri, e dei settori imprenditoriali e del potere finanziario di cui il nuovo governo è espressione, avanza con inaudita violenza: l’attacco alle libertà di manifestare e alla libertà di sciopero, la legge contro i piquuetes, la repressione agita dalla polizia metropolitana in diverse occasioni contro presidi pacifici dei lavoratori.

Se fino ad ora le mobilitazioni sono state principalmente settoriali, spesso frammentate a livello politico e sindacale (con le burocrazie sindacali costantemente impegnate nelle negoziazioni corporative e le opposizioni indebolite sul piano sociale e parlamentare) in queste ultime settimane la densità di mobilitazioni sociali sembra aver riaperto uno spazio di rilancio e intensificazione della lotta. In pochi mesi di governo Macri, le piazze sono diventate il luogo di attivazione e di tentativi di riorganizzazione dell’opposizione, o sarebbe meglio dire delle (diverse) opposizioni: dopo lo sciopero generale di ATE del 24 febbraio e l’enorme mobilitazione del 24 di marzo, in occasione del 40simo anniversario del golpe militare e giorno della visita di Obama a Macri (primo presidente Usa a visitare l’Argentina dopo le mobilitazioni anti-ALCA nel 2003 al vertice con Bush a Mar del Plata), ricordiamo l’imponente mobilitazione del 13 aprile, quando oltre duecentomila persone hanno accolto il ritorno di Cristina Kirchner a Buenos Aires, impegnata a fronteggiare un processo giudiziario legato alla politica economica del suo ultimo mandato e, contemporaneamente, a riorganizzare il partito e le forze sociali e politiche di riferimento.

La richiesta che emerge da diversi settori in queste settimane, quella di uno sciopero generale, è diventata parte del dibattito pubblico, proprio mentre avanza l’iter parlamentare della cosiddetta “Legge contro i licenziamenti”. La settimana scorsa infatti, è stata approvata con una significativa maggioranza al Senato (46 voti favorevoli e 18 contrari) la ley antidespidos, che approderà la prossima settimana alla Camera. Nel caso la legge, che intende fermare per sei mesi i licenziamenti nel pubblico e nel privato (anche se oltre ai licenziamenti veri e propri, vi sono decine di migliaia di contratti precari nel pubblico impiego che semplicemente non sono stati rinnovati) dovesse essere bloccata con un veto presidenziale, come inizialmente annunciato da Macri, si prospetta uno sciopero generale. Intanto Macri, il 1 maggio, continua la sua offensiva mediatica contro il “lavoro inutile” rivendicando la necessità di ridurre il settore pubblico, come sta avvenendo ormai da mesi.

Come si riuscirà a riaprire uno spazio di conflitto andando oltre le dirigenze e le burocrazie sindacali, come si possano aprire spazi di tessitura sociale e politica tra organizzazioni, forze sociali, lavoratori in mobilitazione, e quali saranno gli strumenti, le forze, le alleanze e le strategie per fermare il progetto neoliberista di Cambiemos ed imporre una agenda politica e sociale differente, rappresentano questioni oggi al centro degli interrogativi, delle riflessioni e delle discussioni politiche che attraversano fortemente settori importanti della società argentina: la partita è aperta ed è appena iniziata, e nelle strade, nei quartieri e nei luoghi di lavoro saranno decisive le capacità di risposta ed organizzazione per costruire un autunno di conflitto a partire già delle prossime settimane.