editoriale

Da Lampedusa a Ponte Galeria: chiudere i Cie, aprire le frontiere

Dopo un autunno in cui ha preso corpo nelle strade e nelle piazze un movimento meticcio[…] siamo stati a Lampedusa per scrivere una nuova pagina delle lotte contro le frontiere e per la libertà di movimento. Il prossimo 15 febbraio andremo a Ponte Galeria per dire “Mai più Cie”, un punto d’inizio per arrivare alla definitiva chiusura dei lager per migranti.

L’autunno appena passato è stato segnato da una serie di episodi che hanno messo a nudo i meccanismi di governo e le dinamiche di resistenza prodotti dalle migrazioni e dalla stratificazione su base “etnica” della nostra società.

L’ipocrisia delle dichiarazioni istituzionali dopo ogni nuova strage nel Mediterraneo, la campagna razzista della Lega Nord e delle organizzazioni neofasciste, la scoperta mediatica dei migranti denudati e “disinfestati” nel centro di Lampedusa sono l’evidenza più recente della barbarie delle politiche italiane ed europee di governo delle migrazioni. Allo stesso tempo, la presenza migrante nelle mobilitazioni dell’autunno, la composizione soggettiva degli scioperi della logistica, la rivolta nel CARA di Mineo, il grande corteo romano e la mobilitazione al CIE di Bologna del 18 dicembre, la protesta delle “bocche cucite” e lo sciopero della fame a Ponte Galeria segnalano l’esistenza di un decisivo spazio di possibilità per un intervento dal basso che pretenda libertà di movimento, diritti e accoglienza per tutti e la fine della detenzione amministrativa dei migranti “irregolari”.

Qualche settimana fa, in tanti siamo stati a Lampedusa e ci siamo impegnati a scrivere la “Carta di Lampedusa”, un documento che non chiede niente a Stati e governi, ma che afferma con determinazione le libertà inalienabili e le battaglie necessarie per trasformare radicalmente i meccanismi di esclusione e sfruttamento che definiscono la nostra società. Un tentativo ambizioso di immaginare, oltre la contingenza e le mosse della controparte, un programma scritto dal basso, dalle lotte e dai desideri di chi rifiuta un modello di governo della mobilità umana funzionale a perpetuare sfruttamento, disuguaglianze ed emarginazione.

Da Lampedusa siamo tornati a Roma con la forza delle parole sancite dalla Carta, ma anche con le immagini dell’isola/confine dell’Europa: un luogo che al di fuori della stagione turistica ti “schiaffeggia” con le sue contraddizioni; un lembo di terra che, oltre alle varie forme di esclusione patite dai luoghi periferici, è costretto a pagare il prezzo della militarizzazione causata dalla trasformazione della periferia in confine militare. Sull’isola abbiamo ascoltato le voci dei suoi abitanti e abbiamo ritrovato nelle loro rivendicazioni parole d’ordine che portiamo in piazza tutti i giorni: più welfare e diritti sociali, meno forze dell’ordine e militari; più istruzione e sanità, meno centri di detenzione; più giustizia globale, meno “emergenze migratorie”. I lampedusani ci hanno ricordato un punto molto preciso: le battaglie per i diritti dei cittadini migranti non riguardano solo gli “altri”, gli “stranieri”, ma interessano tutti perché la posta in gioco è la società stessa e i principi fondamentali intorno cui essa viene organizzata.

Siamo tornati a Roma con il desiderio di dare continuità al percorso iniziato il 18 dicembre dello scorso anno, quando la “Roma Meticcia” ha invaso le strade della città, rifiutando con forza qualsiasi ipotesi di soluzione nazionale alla crisi e ricordando che “le lotte contro l’asuterità non hanno frontiere”. Dopo quella giornata, le lotte auto-organizzate dei migranti hanno rimesso al centro del dibattito le questioni dei diritti e delle libertà negati ai cittadini stranieri: manifestazioni di massa a Mineo, davanti al centro di confinamento e segregazione più grande d’Europa; bocche cucite a Ponte Galeria; rivolte e danneggiamenti nel CIE di Torino.

Con molta onestà e umiltà, dobbiamo riconoscere che la mobilitazione che ci porterà sabato 15 febbraio a pretendere la chiusura di Ponte Galeria è la risposta dovuta alle proteste dei reclusi, ben più efficaci di ciò che in questi anni è venuto fuori dalle soggettività di movimento. Sono gli scioperi, le rivolte e le fughe che hanno reso i Centri di Identificazione ed Espulsione dei luoghi ingovernabili, spostando il dibattito politico su un terreno che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile e rendendo quantomeno possibile la chiusura di tutti i CIE.

Diciamo questo senza alcuna fiducia illusoria nelle promesse istituzionali piovute in questi mesi e ben sapendo che l’attenzione di parte del governo, e anche del Presidente della Repubblica, si sta concentrando sulla riduzione dei tempi di detenzione. A maggior ragione, riteniamo fondamentale praticare l’obiettivo e impegnarci fino in fondo per relegare i “lager di Stato”, le “galere etniche”, in una pagina passata della nostra storia.

In questo senso, il corteo del 15 febbraio sarà una tappa importante di una mobilitazione che ha bisogno di generalizzarsi, imponendo il tema della chiusura dei CIE a chi spera di riformarli e umanizzarli, raccogliendo il consenso di quelle componenti sociali che hanno espresso in forme diverse il rifiuto di strutture detentive in cui le persone sono private della libertà personale senza aver commesso alcun crimine. É una sfida non da poco, che il movimento deve saper raccogliere. Anche perché, su questo tema specifico, a partire da storie e percorsi soggettivi differenti abbiamo condiviso – dentro il movimento e oltre, con numerose associazioni e singoli che lavorano quotidianamente con i migranti e ne conoscono bene le condizioni materiali di esistenza – la rivendicazione determinata e radicale della chiusura di Ponte Galeria e di tutti i CIE.

Sappiamo infine che la chiusura dei CIE è necessaria ma non sufficiente a garantire diritti e libertà per tutti. Pensiamo debba essere un punto di partenza da cui iniziare a trasformare radicalmente il complesso sistema di governo delle migrazioni e di produzione di clandestinità, ricatti e sfruttamento. Un sistema che trova le sue basi nello stretto rapporto tra soggiorno regolare e lavoro previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione, nelle normative europee funzionali a filtrare e differenziare i movimenti dei cittadini dei paesi terzi verso e dentro lo spazio Schengen, nelle pratiche criminali di contrasto alle migrazioni attraverso l’esternalizzazione dei controlli di frontiera.

Chiudere i CIE, aprire le frontiere, garantire diritti e accoglienza per tutt*: con queste parole d’ordine ci prepariamo a scendere in piazza il 15 febbraio, in aperta sintonia e condivisione con il corteo che il giorno successivo sfilerà davanti al mega-CARA di Mineo. L’appuntamento è alle 15 di fronte al centro commerciale Parco Leonardo (fermata del trenino Parco Leonardo).

Leggi anche:

Il comunicato di lancio del corteo

>Le iniziative cittadine verso la manifestazione