DIRITTI

Voi Fontana, noi Marea!

Dalla marea femminista alla marea queer. Il racconto di un Pride partecipatissimo come da anni non se ne vedevano a Roma.

Secondo Repubblica, il Roma Pride del 9 giugno 2018 ha visto tornare a riprendersi le strade di Roma “centinaia di migliaia di persone”, che secondo gli organizzatori e le organizzatrici sarebbero più precisamente 500.000. Calcolo forse generoso, ma chi ha attraversato la marea arcobaleno romana (in mancanza di nuovi immaginari ci teniamo la storica bandiera dei movimenti LGBTQIA+) ha potuto sentire a fior di pelle quell’ordine di grandezza in più rispetto all’anno scorso.

Questo grande corteo ha avuto luogo proprio negli stessi giorni in cui la boccaccia di Matteo Salvini continua a vomitare odio antifemminista e islamofobo rischiando per giunta di produrre una delle peggiori crisi internazionali degli ultimi tempi – dove peggiore è naturalmente calcolato sul numero di vite umane (629, a quanto pare) immediatamente messe a rischio dal feroce razzismo di Stato che di questo golem grillo-leghista costituisce uno degli elementi più caratterizzanti, e che dovrebbe scatenare la stessa reazione immediata che ha permesso di convergere su Macerata dopo la tristemente nota sparatoria razzista di qualche mese fa (e che, sia detto per inciso, si è forse fatta sentire meno forte dopo l’omicidio del bracciante e sindacalista USB Soumayla Sacko di qualche giorno fa).

L’altro elemento più caratterizzante di questo governo, ed è probabilmente il motivo per cui il Pride romano ha visto una partecipazione tanto larga, è l’altrettanto feroce attacco alla questione di genere, intesa in senso ampio. Non sarà necessario richiamare l’affermazione del ministro Lorenzo Fontana – per il quale le famiglie arcobaleno non esistono – per capire quanto questo governo abbia a cuore famiglie rigidamente eterosessuali, immancabilmente riproduttive, bianche, pure e certificate 100% biologiche italiane.

La posta in gioco, nemmeno a dirlo, è la riproduzione sociale: più forza lavoro per la Bianca Nazione Italica. Sarà bene tenere a mente, nei prossimi mesi, chi è il ministro Fontana, ovvero uno degli uomini-chiave di questo governo.

Torniamo però alle cose belle, cioè a questo Pride partecipatissimo come da anni non se ne vedevano a Roma: il quadro delineato sopra dovrebbe spiegare bene quanto l’effetto Fontana abbia giocato un ruolo cruciale nel rendere questo Pride, come ha scritto l’ex presidente di Arcigay Paolo Patané, “il primo Pride istintivamente, emotivamente e politicamente “nazionale” da molti anni a questa parte. La generazione spontanea di un fatto […] è il prodotto autentico di un bisogno profondo della Comunità LGBTQIA+, forse persino prima che del Movimento, di restituirsi una grande occasione di coesione e di emozione condivisa”.

Nazionale, purtroppo, lo è anche in parte delle estetiche e dei discorsi che hanno attraversato il corteo, e basterà pensare per esempio al momento dell’inno di Mameli cantato da Monica Cirinnà. D’altronde è però anche qui la bella ma compatta eterogeneità di questa piazza: e questa Cirinnà “elevata a novella Libertà che guida il popolo”, come l’ha icasticamente descritta Dario Accolla, canta Mameli per “non lasciare il Paese a loro”, ed è sempre per fortuna temperata ed equilibrata da Bella ciao scandita (sempre Accolla) “perché loro non passeranno. E pazienza se a qualcuno questa canzone non piace. La canteremo ancora più forte, proprio perché vogliamo dare fastidio e per non assecondarlo, quel fascismo”. E già che ci siamo, con lo spezzone trans* che cantandola mette pure un po’ di paura alle frocie neoliberali.

Buffo quanto contraddittorio (ma fecondo, efficace), questo populismo di sinistra che non riesce alle vecchie ferraglie della sinistra eterosessuale e invece spontaneamente si ricompone in una piazza frocia: la stessa che a quella sinistra ha sempre fatto ripulsa, o che gli stessi soggetti (di partito e di movimento, per carità) hanno sempre guardato con pietà e compassione.

È la risposta pronta e immediata (e per una volta, santo cielo, spontanea davvero) di una comunità che si è sentita attaccata direttamente e nella sua totalità e complessità, nonostante Fontana – fascista in doppiopetto e uomo di potere vero – abbia selezionato un interlocutore privilegiato nelle sole Famiglie Arcobaleno (a meno che non si volesse pensare ingenuamente che l’espressione usata per designarle coincidesse per puro sbaglio col nome dell’associazione).

La risposta è stata invece articolata, plurale e di massa: discorsi, estetiche, soggetti e pratiche eterogenee ma compatte, con una grande capacità di salvaguardare la complessità che caratterizza le comunità LGBTQIA+ e queer. Non stupisce vedere, tra gli interventi più inclusivi, meno bianchi, più agguerriti, antirazzisti e molto poco “nazionali”, quello del Coordinamento Trans Lazio: “ci hanno assegnato alla nascita un genere che non era il nostro, e ci hanno costretto ad eteronormarci ad ogni costo.

Non siamo nati in corpi sbagliati, ma in società sbagliate: patriarcali, eterosessiste, misogine, omotransfobiche e razziste”. Da più parti saltano fuori parole irriverenti, ironiche, radicali e resistenti: dalle magliette di “Torpigna Frocia” ai cartelli con “meno fasci, più froci”, fino all’intersezione antirazzista e queer: “il culo non si nega a nessuno: #accoglienza”. Nessuno spazio alle destre, i carri degli sponsor molto meno visibili e presenti degli anni passati, sommersi da una bella marea di corpi liberi e differenti: single, in coppia, in threesome, rispettabili o glitterati, punk o normcore.

Avevamo già riconosciuto caratteristiche simili nella Marea femminista degli scorsi due anni di mobilitazione, e nella sua capacità di agganciare l’intersezione con una politica transfemminista queer e che tempestivamente ha saputo attraversare il mondo proprio nel momento in cui si stava manifestando appieno il ciclo politico reazionario.

E non è un caso: quando si incrina la produzione, si stringe sulla riproduzione (che è sempre, ricordiamo, riproduzione della forza lavoro e della disciplina sociale che la gestisce): è questa la sostanza della stretta di polizia politica globale maschile, eterosessuale e bianca, e non è un caso che soprattutto in Italia le mobilitazioni più attive insistano sul nodo del genere e dell’orientamento sessuale.

Non sarebbe una sorpresa, ma sarebbe gradita, la sottolineatura e la reinvenzione creativa di questa convergenza tra mobilitazioni femministe e movimento LGBTQIA+ nei prossimi mesi. Sarebbe allo stato attuale – purtroppo – una bella sorpresa riuscire invece a reinnescare questa vecchia alleanza all’insegna di una politica più migrante, più globale, più black.

Se queste sono le prove generali di un’opposizione arcobaleno, come ha scritto efficacemente Simone Alliva, ci sarà da divertirsi. E se non credo che la questione veda necessariamente protagoniste le famiglie costituite da coppie omosessuali generative, è del tutto evidente che sì, intorno alle famiglie nel senso più tradizionale del termine, che iniziano ormai a sorgere anche nella comunità LGBTQIA+,  si è iniziata a coagulare un’apocalisse queer gioiosa e ben più eterogenea di come ci si immagina. Si è risposto a una chiamata a partire dalla violenza eteropatriarcale che i soggetti LGBTQIA+ subiscono ogni giorno (anche senza sposarsi, anche senza aver figli),  istituzionalizzata, legittimata e riconfermata da queste nuove (vecchie) destre al potere.

Il dato di questa partecipazione più determinata, direttamente conflittuale con questo governo, meno disposta a scendere in piazza solo ritualmente in occasione dei Pride, è un dato che andrebbe raccolto sia da parte delle associazioni nazionali LGBTQIA+, sia dai partiti e dagli altri movimenti.

È il dato di una voglia di mobilitazione che va molto al di là delle parole d’ordine che hanno abitato lo spazio delle comunità e del movimento LGBTQIA+ negli ultimi anni, indica la riformulazione possibile del loro programma per come si è dato fino a oggi, e in questo momento costituisce un altro tassello cruciale del nostro divenire opposizione.