ITALIA

Vigila et castiga

Di insegnanti controllori e altri delatori

Ancora una volta, a pochi giorni da una tornata elettorale decisiva, nel dibattito politico entra la figura di una donna, un’insegnante e i limiti del suo mestiere. Capro espiatorio dei mali della società. Un fatto che condensa tutta la visione autoritaria e vendicativa che porta avanti questo governo.

 

I fatti

Il 28 gennaio scorso, sul profilo di Claudio Perconte, attivista monzese di destra, “condivisore seriale” di notizie spesso di dubbia autenticità che scrive per siti di estrema destra come Vox e Primato nazionale, era comparso un tweet — cui ne sono seguiti altri nei giorni successivi — indirizzato al ministro all’Istruzione Marco Bussetti, su cui si leggeva: «Salvini–Conte–Di Maio? Come il reich di Hitler, peggio dei nazisti. Una professoressa ha obbligato [enfasi nostra] dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina i migranti. Al MIUR hanno qualcosa da dire?». Il giorno dopo, la sottosegretaria leghista ai Beni culturali Lucia Borgonzoni commenta la vicenda su Facebook: «Se è accaduto realmente andrebbe cacciato con ignominia un prof. del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere».

Hanno dovuto però aspettare le nuove elezioni per arrivare alla sanzione emessa dal provveditore di Palermo. Lo scorso 11 maggio, com’è noto, l’insegnante di lettere Rosa Maria Dell’Aria dell’Istituto Industriale Vittorio Emanuele III di Palermo è stata sospesa per due settimane — con conseguente decurtamento dello stipendio — dall’ufficio scolastico provinciale con l’accusa di non aver «vigilato» sul lavoro di alcuni suoi studenti di secondo superiore i quali, durante la Giornata della Memoria, nell’Aula Magna del loro Istituto, avevano proiettato un video in cui accostavano la promulgazione delle leggi razziali del 1938 al cosiddetto Decreto Sicurezza del Ministro dell’Interno Matteo Salvini. In seguito alla delazione avvenuta sui social, dall’ufficio scolastico provinciale di Palermo è poi partita un’ispezione, con conseguenti interrogatori alla professoressa, ai ragazzi e alle ragazze dell’Istituto in questione, ed è stato emesso un provvedimento di sospensione di 15 giorni contro l’insegnante. «Mancata sorveglianza»: questa è l’accusa.

 

Di elezioni e delazioni

Un copione dannatamente familiare. Si riaccende la campagna elettorale, questa volta per le elezioni europee, e si rimette in moto la celere macchina del processo mediatico, “del tribunale populista”, al quale già avevamo assistito nel caso della maestra torinese Lavinia Cassaro, durante la campagna del 4 marzo 2018. Nel nostro articolo Zero in condotta già denunciavamo l’inedito e pericoloso meccanismo che si stava avviando, ma mentre noi provavamo a mettere in luce la torsione neoautoritaria della scuola altri/e hanno preferito concentrarsi sul turpiloquio e la postura, considerata «sguaiata e immorale», della collega. Due storie accomunate dalla medesima accusa: essere insegnanti che «fanno politica».

Ma cosa significa “fare politica” come accusa rivolta a un’insegnante? Insegnare la storia come se si trattasse di una materia di per sé neutrale? Ci chiediamo. E ancora: la filosofia, la letteratura o le lingue non sono espressioni di un pensiero politico? Solo un ingenuo/a potrebbe davvero credere che non lo siano. Vi ricordate quando si diceva: «A scuola non si fa politica, si lavora»? Ecco, allora c’era il fascismo. Chi ora afferma che “a scuola non si fa politica” sta rivendicando in sostanza il monopolio della discussione.

Una discussione che, peraltro, come nella vicenda della professoressa di Palermo, parte dai social e arriva sulle scrivanie dei dirigenti dell’amministrazione pubblica, secondo una modalità che di fatto ribalta il consueto ordine procedurale (e gerarchico) degli organi decisionali delle amministrazioni di un stato che si dice democratico: attraverso l’uso del network prende vita un nuovo tribunale populista, potentemente repressivo, all’apparenza informale, ma che in realtà è in grado di indirizzare le decisioni di alcuni apparati dell’amministrazione allineati con le posizioni più autoritarie e reazionarie del governo. L’arrugginimento e la perdita di trasparenza della “catena decisionale” sono d’altronde le prime avvisaglie di forme di governo non più democratiche, che tendono dritto verso autoritarismo, identitarismo, nazionalismo e sessismo, guidati dal potere carismatico del leader di turno che incarna i parametri del “maschio potente”.

Dal canto suo, il provveditore di Palermo, che in ultima istanza ha emesso la sanzione contro Rosa Maria, ha dichiarato di aver agito «secondo coscienza». Come se la “coscienza” non fosse un elemento soggettivo, del tutto arbitrario, niente affatto consono al ruolo di un funzionario pubblico, che avrebbe dovuto agire, invece, secondo le leggi e i diritti ancora costituzionalmente garantiti. Inoltre, ha anche affermato che la libertà di espressione e di insegnamento devono avere «un limite». Chi lo stabilisce questo limite? Nella realtà l’unico limite che un insegnante ha il dovere di porre alla propria libertà di insegnamento, l’unica censura che può opporre agli/alle studenti e alle studentesse riguarda l’eventuale espressione fascista del pensiero. Mai viceversa. Ciò che dovrebbe essere sanzionato dalle istituzioni scolastiche, quindi, sono semmai le idee razziste, l’apologia di fascismo, il linguaggio machista e sessista, le posture religiose fondamentaliste, come per altro prescritto dalla Costituzione.

L’oggetto della sanzione riguarda la mancata «vigilanza» da parte dell’insegnante sul lavoro degli studenti. Ma qual è in sostanza il tipo di vigilanza che si richiede alle insegnanti? Lo sforzo di assicurarsi che gli studenti crescano come persone dotate di senso critico? L’attenzione alla natura delle relazioni all’interno del gruppo classe? Niente di tutto ciò. La vigilanza vuole essere trasformata in censura, delazione, controllo, repressione: come se tra le funzioni “di cura” della docente, che vanno dalla costruzione del soggetto a quella del gruppo classe, debbano ora essere aggiunte alcune inedite micro–funzioni di polizia.

D’altro canto è quello che accade in molti altri segmenti del lavoro e della società, come, ad esempio, i navigator, ovvero i nuovi operatori dei centri per l’impiego che dovranno controllare e sanzionare le condotte dei poveri, o i cittadini stessi, i quali devono installare le telecamere per reprimere i “produttori” di degrado. Una diffusa proliferazione nel corpo sociale della funzione di controllo e repressione, una sorta di “polizia molecolare”, si affaccia anche nella scuola e altro non è che una delle tante espressioni di questa congiuntura politica segnata dal neo–autoritarismo e dal nuovo nazionalismo.

L’ossessione sulla reintroduzione di elementi tipici della scuola autoritaria, come il grembiule, il crocefisso, il presepe, il giuramento e la nuova saldatura con pezzi di fondamentalismo omofobo, di cattolicesimo autoritario che imita la peggiore impostazione teocon americana, puntano ancora una volta alla necessità di una nuova restaurazione della scuola pre–sessantottina. 

 

Manifestazioni e video

La maestra Lavinia Cassaro è stata sanzionata per il suo comportamento considerato «immorale» fuori dall’orario scolastico, durante un corteo anti–fascista a Torino. In quell’occasione in pochi/e colsero fino in fondo la sproporzione della sanzione che minava i diritti sindacali con il superamento del confine tra orario di lavoro e vita privata.

La docente Rosa Maria, invece, è stata accusata e sospesa nell’esercizio delle sue funzioni. Il fatto non rappresenta soltanto la mera ripetizione dell’antecedente: è da considerarsi ancor più grave in virtù del controllo e della censura esercitati a discapito delle idee dei ragazzi, autori del video.

Video su cui peraltro ci sentiamo di esprimere un giudizio più che positivo: i ragazzi mettono al vaglio presente e passato mediante un’analisi attenta e minuziosa (condivisa anche da molte voci più autorevoli) delle leggi varate dal Ministro degli Interni.

Esprimiamo fortemente tutta la nostra solidarietà alla collega Rosa Maria, alle studentesse e agli studenti dell’istituto industriale Vittorio Emanuele III di Palermo, ferme nella convinzione che la scuola non possa diventare come una chiesa o una caserma, ma che debba restare sempre il luogo dei saperi critici, delle relazioni senza stereotipi, della cooperazione, dell’accoglienza, della solidarietà e della cura reciproca.

 

Articolo apparso sul blog delle Cattive Maestre