MONDO

Venezuela, bisogna rompere l’isolamento

La situazione in Venezuela peggiora ogni giorno. È notizia di ieri che l’autoproclamato presidente Guaidó, leader dell’estrema destra, pare sia riuscito a bloccare i conti all’estero del paese. L’Europa ha lanciato un ridicolo ultimatum a Maduro, 8 giorni per convocare elezioni, mentre la tensione nel paese sale alle stelle. Il rischio di un bagno di sangue è sempre più elevato. Pubblichiamo un appello da Caracas perché la comunità internazionale e la società civile intervengano al più presto per fermare il golpe in atto.

Abbiamo una pistola puntata alla testa, e non è una metafora. Ce la sta puntando sia chi impartisce che chi esegue gli ordini. I primi sono gli Stati Uniti, i secondi la Colombia, seguita dal Gruppo di Lima, ovvero i governi di destra dell’America Latina. E, alla fine della catena, l’opposizione venezuelana. In questo ordine.

È ormai ufficiale, Maduro si è trasformato in un dittatore. Poco importa che abbia vinto democraticamente le elezioni del 20 maggio 2018 o che il chavismo abbia vinto 23 tornate elettorali su 25 in 19 anni. Avrebbero detto che era un dittatore in ogni caso. L’Assemblea Nazionale ha già nominato una presidenza temporanea, o qualcosa del genere, nella figura di Juan Guaidó, uno sconosciuto nel panorama politico del paese: nemmeno loro sanno cosa hanno annunciato di fronte alle poche persone riunite l’altro ieri, il giorno dopo dell’entrata in carica ufficiale di Maduro.

Si potrebbe peccare di innocenza se la storia recente del Venezuela non fosse nota. Dimenticare che la destra ha realizzato un colpo di stato nel 2002, o che nel 2017 è scesa in piazza insieme alla propria base sociale di ceto alto e ai paramilitari per cercare di prendere il potere con la forza. Quello stesso anno hanno iniziato la creazione di un governo parallelo, che attualmente erra tra vari paesi e che verrà messo in funzione di fronte alla “comunità internazionale”: gli Stati Uniti e i loro alleati/subordinati.

Avendo scartato la via democratica, ci sarà ancora più violenza. Ci saranno più attacchi all’economia e alla diplomazia, appelli alla Forza Armata Nazionale Bolivariana e sicuramente azioni di forza. In che modo, con quale scusa, con quale tipo di arma e con quali attori resta ancora da vedere.

Il chavismo combatterà. Perché il chavismo è qualcosa di più di un governo. È gente umile, che vive i quartieri, che lavora i campi. Lavoratori con un senso di comunità, è un movimento, un’identità politica e di vita. Dispone di forza, infatuazioni, contraddizioni, dispute, gioie, necessità di vincere e di risolvere la recessione economica con un’urgenza disperata. In caso di sconfitta, non ci sarebbe un altro governo ma una vendetta.

Si potrebbero mettere a nudo tutti i vari errori materiali del chavismo e scappare. Oppure, ci si può fare forza per difenderlo e correggerlo, in modo da non finire sconfitti da chi ci ha massacrato in massa per gonfiare i propri conti in banca. Milioni di persone hanno scelto la seconda opzione: non si arrenderanno. È necessario rompere l’isolamento, denunciare i golpisti uno a uno, dire che la rivoluzione non è da sola, che siamo un continente che riconosce i propri nemici comuni e si unisce per affrontarli.

La storia è oggi, inizia prima che sorga il sole, ci chiama a gran voce.

 

Articolo apparso sul blog hastaelnocau

Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress