ITALIA

Valditara, il ritorno

Sembra il titolo di un film dell’orrore, ma il relatore della Legge Gelmini ed ex senatore di Alleanza Nazionale, potrebbe ben presto essere nominato Capo Dipartimento della Formazione Superiore al MIUR, portando finalmente a termine lo smantellamento del sistema universitario pubblico di questo paese

Da qualche mese e, con più insistenza da qualche giorno a questa parte, nei corridoi delle Università e del Ministero dell’Istruzione risuona un nome che molti speravano di aver seppellito nel dimenticatoio per sempre: Giuseppe Valditara. Professore di Diritto Romano all’Università di Torino, per due anni è stata una delle persone più citate all’interno degli atenei e non certo per le sue opere intellettuali.

 

Valditara è stato infatti relatore di maggioranza della Legge 240/2010, meglio conosciuta come Legge Gelmini, che segna l’inizio dello smantellamento del sistema universitario pubblico di questo paese.

 

I commentatori delle maggiori testate giornalistiche in questi giorni attribuiscono, indebitamente, il “merito” dell’intera operazione di demolizione delle Università alla legge presentata in Parlamento da Valditara: in realtà era in buona compagnia, primo fra tutti di un altro Professore, il condonatore seriale Giulio Tremonti, che saccheggiò il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) degli atenei, tagliando oltre un miliardo di euro. Denaro che le Università non hanno mai più visto. Per dare a Valditara ciò che è di Valditara e per comprendere quindi come questa nomina sia un segnale politico molto chiaro, ricordiamo brevemente le misure contenute nella Legge Gelmini e il contesto in cui fu varata tale Legge.

La maggioranza dell’allora Governo Berlusconi, coadiuvata dalle sue televisioni, ma anche dagli editorialisti del “Corriere della Sera”, iniziò una campagna denigratoria del sistema universitario, facendo leva sulle dinamiche baronali e clientelari esistenti all’interno dei Dipartimenti. Naturalmente questo fu solo un pretesto per definanziare l’intero sistema, ma per fugare subito ogni eventuale dubbio sulla posizione di chi scrive e dei movimenti studenteschi che si svilupparono nel triennio 2008-2010, è bene sottolineare che tali meccanismi di potere all’interno delle Università erano, e sono tuttora, ben radicati (come studenti prima e ricercatori precari poi non nutriremo mai abbastanza rancore verso la classe docente per aver fatto questo assist a Valditara & co.). Per cercare di estirpare questo cancro dei baroni, era necessario tagliare i fondi al sistema e vincolare, finalmente, il finanziamento a «criteri oggettivi di valutazione». L’università del merito era finalmente all’orizzonte.

Per perseguire questo obiettivo encomiabile (non molto dissimile dall’odierna retorica grillina) fu resa operativa l’ANVUR, l’Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca (istituita dal Ministro Mussi del Governo Prodi), che attraverso l’elaborazione di algoritmi fondati su criteri in realtà molto discutibili (altro che “oggettivi”) era responsabile da un lato di individuare le sacche baronali e punirle e dall’altro di promuovere e premiare le cosiddette eccellenze (sempre in base ai criteri più volte criticati dalla comunità accademica). A questo organo spacciato come tecnico, negli anni a seguire è stata di fatto appaltata la politica universitaria, polarizzando la distribuzione dei fondi (la famosa VQR, Valutazione della Qualità della Ricerca, in base alla quale sono stati individuati i “Dipartimenti di Eccellenza” ai quali sono stati distribuiti quest’anno ben 240 milioni di euro) andando nella direzione di creare pochi atenei di Serie A (guarda caso concentrati quasi tutti nel nord del paese) e molti atenei secondari di atenei di Serie B. L’obiettivo, mai dichiarato esplicitamente, era quello di istituire un binario parallelo sul modello anglosassone: Research Universities e Teaching Universities. Le prime con lo scopo di fungere da centri di Ricerca per le grandi aziende del nord finanziate da fondi pubblici. Alle seconde il ruolo di parcheggio dei giovani da addestrare alla precarietà che li avrebbe aspettati una volta finito il percorso universitario.

Molto spazio viene dato nella Legge Gelmini a questo ruolo, centrale, di valutazione e indirizzo dell’ANVUR che di fatto diventa l’organo che commissaria lo stesso Ministero, avendo poteri di certificazione della qualità non solo della ricerca, ma anche dei corsi di dottorato e dell’intero sistema universitario. La legge è infatti intrisa della retorica della valutazione che è anche “principio ispiratore” della Legge, nero su bianco. L’ossessione valutativa si concretizza anche nell’istituzione del “Fondo per il Merito”, indipendente dalla condizione economica degli eventuali beneficiari, smontando anche quello che dovrebbe essere un pilastro della Costituzione in termini di istruzione e formazione. Ma la “vendetta” contro i Baroni dell’accoppiata Valditara – Gelmini non si è certo fermata all’ANVUR. Il chiodo fisso di rendere il sistema finalmente efficiente e produttivo ha portato i nostri eroi a realizzare un ulteriore capolavoro: l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). Ovvero, come con una capriola si conferiscono poteri di vita e di morte ai baroni in nome del merito. L’ASN prevede infatti che l’idoneità ai professori di prima e seconda fascia venga rilasciata (al livello nazionale!) da una commissione di cinque docenti, sorteggiati da una lista su cui l’ANVUR ha l’ultima parola («l’ANVUR stabilisce criteri oggettivi di verifica dei risultati dell’attività di ricerca ai fini del comma 8 [partecipazione alle commissioni dell’ASN]»). Una concentrazione di potere eccezionale e sproporzionata che, difatti, negli anni successivi ha prodotto diversi abusi e ricorsi, con interi settori disciplinari privati o quasi di professori idonei.

Già questo potrebbe bastare per rendere evidente come lo scopo fosse quello di smantellare il sistema universitario e non quello di aggredire le dinamiche clientelari che continuano ancora oggi a imperversare nei dipartimenti.

 

Ma la Legge si è spinta ben oltre, sia nel rafforzare le posizioni dominanti dei cosiddetti baroni che nel peggiorare le condizioni di vita di chi voleva fare della ricerca il proprio lavoro.

 

La legge Gelmini ha infatti ulteriormente precarizzato il lavoro cognitivo nelle Università, introducendo un’altra tipologia di contratto a termine, il Ricercatore di Tipo A (3 anni + 2 eventualmente rinnovabili). Questa misura, insieme alla messa in esaurimento della terza fascia (il ricercatore a tempo indeterminato) e al taglio dei finanziamenti, ha prodotto una massa di precari sempre più ricattabili e soggetti a dinamiche feudali di cooptazione messe in atto da chi, non toccato minimamente dalla legge, ha sempre continuato a gestire la vita all’interno degli atenei. Insomma, alla faccia della lotta ai sistemi di potere e alle clientele!

Alla luce di questo breve excursus storico sulle conseguenze a dir poco catastrofiche della Legge Gelmini (a onor del vero è doveroso ricordare che i Governi successivi non hanno minimamente tentato di invertire la rotta, anzi) sorgono spontanei due interrogativi: com’è possibile che un Governo (anzi il “Governo del Cambiamento”) abbia potuto nominare Valditara ai vertici del MIUR come responsabile dei provvedimenti in materia di Università e Ricerca? E, soprattutto, quali sono gli obiettivi politici che il Governo intende perseguire con questa nomina? La risposta alla prima domanda è alquanto immediata. Valditara è parte dell’entourage “intellettuale” del Ministro dell’Interno Salvini,  autore del libro Sovranismo, una speranza per la democrazia, introdotto da una prefazione di Thomas D. Williams (corrispondente da Roma per Breibart, sito della destra alt right diretto fino a gennaio da Steve Bannon) e con una postfazione di Marcello Foa, presidente Rai fresco di nomina. Un esponente di punta, quindi, del sovranismo de’ noantri, autore anche del pamphlet L’impero romano distrutto dagli immigrati (!) e collaboratore di Gianfranco Miglio, padre della Lega Nord, nella stesura della “Costituzione Federale” negli anni ‘90. Un rapporto di lunga data quello che lega Valditara al Carroccio dunque, che spiega le pressioni della Lega per la sua nomina, nonostante le resistenze di Lorenzo Fioramonti, vice ministro in quota Cinque Stelle (quello della iena Giarrusso come “controllore dei concorsi per professori”, per capirci) che a giugno non aveva fatto mistero di non volere Valditara fra i piedi. Questo episodio dimostra, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la totale inconsistenza politica dei grillini all’interno di questo Governo.

Per immaginare invece le linee di intervento del Prof. Valditara, è sufficiente ricordare il nome di una associazione, TreeLLe, di cui Valditara è Eminent Advisor in compagnia, fra gli altri, di Domenico Fisichella, Franco Frattini e Giuliano Ferrara. L’associazione si descrive come un «think-tank rigidamente apartitico con l’obiettivo del miglioramento della qualità dell’education (educazione, istruzione e formazione) fungendo da supporto ai decisori pubblici in materia di Scuola e Università». Per rendere l’idea della composizione di questa punta di diamante di pensatori sull’Università, riportiamo qualche nome che si incontra scorrendo i diversi organi dell’associazione: Angelo Panebianco, Sergio Romano (entrambi editorialisti del “Corriere”, cvd), Innocenzo Cipolletta, Fedele Confalonieri, Marco Tronchetti Provera. Insomma la crème de la crème dell’intellighenzia di questo paese. L’aspetto più preoccupante non è naturalmente la composizione di questo parterre dell’orrore, bensì gli obiettivi e i suggerimenti proposti ai diversi ministri dell’istruzione che negli anni hanno zelantemente ascoltato le relazioni e i seminari organizzati da TreeLLe. Il Quaderno 13, Dopo la riforma: università italiana, università europea?, ad esempio, è un vero e proprio manifesto per una nuova riforma dell’Università che porta a termine «il processo di cambiamento innescato dalla Legge Gelmini [..] per la modernizzazione del sistema nella direzione della trasparenza e dell’efficacia»(p. 28).

Le misure centrali per il raggiungimento di questo scopo sono le seguenti: liberalizzazione delle tasse universitarie e istituzione del prestito d’onore, con conseguente iniezione di ingente liquidità nel sistema bancario; eliminazione della quota storica del FFO, che tende a riequilibrare le storture prodotte dalla valutazione dell’ANVUR, e distribuzione dei fondi quasi esclusivamente su base “premiale”; “diversificazione” del sistema universitario in nome dell’eccellenza, ovvero istituzione delle Università di Serie A e B; liberalizzazione degli stipendi dei docenti, per poter attrarre gli “eccellenti” potendo competere con Oxford e Cambridge (non ci si pone più il problema di formare bravi/e ricercatori/trici, basta andare a fare shopping all’estero); corporate governance , in altre parole come far gestire le Universitàa manager esterni scelti da un search committee, con un Senato Accademico ridotto di fatto a un organo consultivo di fronte a un Consiglio di Amministrazione con pieni poteri (si veda p. 129 per ulteriori dettagli inquietanti). Queste proposte sono state contestate duramente da studenti e ricercatori precari nel corso della presentazione del Quaderno alla Sapienza lo scorso anno, con tanto di schieramento di forze dell’ordine a difesa dei nobili pensatori. A quell’incontro erano presenti ministri dell’istruzione (Berlinguer, Fedeli), presidenti attuali e passati della CRUI e dell’ANVUR, funzionari del MIUR, a testimoniare il riconoscimento di quel consesso e la condivisione trasversale alla classe politica delle proposte contenute nel Quaderno.

 

Riuscirà il nostro eroe Valditara nell’impresa?

 

Certamente proverà a imporre provvedimenti nella direzione sopra indicata, caldamente appoggiata dalla Lega visti i colossali interessi economici in gioco, soprattutto per le Università del nord (immaginiamo soltanto a quanto potrebbero ammontare le tasse ai Politecnici di Milano e Torino se avessero carta bianca). Il contratto di Governo d’altronde non affronta minimamente il tema Università e Ricerca: forse per avere mani libere sul da farsi? E gli ultrà della meritocrazia a Cinque Stelle come si comporteranno? Sulla retorica della meritocrazia, abbagliati come sono, potrebbero anche essere d’accordo. Ma correranno il rischio di innescare processi di soggettivazione nelle Università e conseguenti mobilitazioni che, ricordiamo, riempirono le piazze e le strade nel triennio 2008 – 2010 in opposizione alla Legge Gelmini?

La domanda fondamentale che infatti forse ci dovremmo porre è un’altra. Saremo noi, studentesse e studenti, precari/e in grado di opporci ai tentativi reazionari di Valditara? Saremo capaci di ricominciare a tessere e intrecciare percorsi larghi, inclusivi e incisivi sul tema della formazione a dieci anni esatti dal movimento dell’Onda?