MONDO

USA: sfide e prospettive delle nuove forme di sindacalismo

Riceviamo e pubblichiamo una lunga analisi su alcune questioni strategiche e organizzative del sindacalismo statunitense.

La sinistra si chiede da molto tempo “Che fare?”. Fin da quando Lenin pose questa domanda retorica, essa è stata usata come base di partenza per una crescente serie di idee e di chiamate all’azione per il movimento sociale su ogni questione possibile.

“Che fare?” rimbalza da movimento a movimento, da crisi a crisi e, ogni tanto, illumina alcuni dei problemi esistenziali della sinistra. È con questo spirito che la recente rassegna di Jacobin “Manodopera” ha esaminato una delle questioni attuali più stringenti: che fare per ravvivare il movimento operaio?

Gli autori dei contributi hanno proposto numerose diagnosi e ricette. Charlie Post ha messo l’accento sul ruolo fondamentale che le minoranze militanti hanno svolto nei successi del movimento dei lavoratori del 20° secolo; Jane McAlevey ha chiamato a raccolta “l’intera organizzazione dei lavoratori”; Joe McCarting ha chiesto a gran voce che i sindacati non dilapidino la stretta finestra temporale tra la decisione di Friedrichs e il futuro attacco ai diritti di contrattazione collettiva mentre Sam Gindin ha proposto la “sinistra di classe” come alternativa al sindacalismo dei movimenti sociali.

Dalla pubblicazione di questi articoli ad oggi, la crisi del mondo del lavoro è diventata più profonda. La destra controlla tutte e tre i rami del governo federale e della maggioranza degli stati. Gli strascichi del caso Friedrichs, Janus vs AFSCME, sono indirizzati alla Corte Suprema, minacciando di decimare i sindacati del settore pubblico in tutta la nazione. La discussione sulla legge nazionale per il diritto al lavoro si sta diffondendo sempre di più.

Capire “che fare” è una questione che sta diventando sempre più urgente. Però riscontriamo un problema con questa domanda, evidente innanzitutto a livello grammaticale: “Che fare?” chiama in causa il peccato originale di ogni insegnante: la forma passiva. Chi è il soggetto in questo caso? Chi è che farà ciò che è necessario?

L’assenza di un soggetto attivo è un problema che va aldilà della mera questione grammaticale: rappresenta il problema della sinistra operaista. La minoranza militante è scarsa o inesistente e non è nemmeno chiaro chi si occuperà di ricostruirla. Un ampio divario è presente tra la sinistra intellettuale e la classe lavoratrice di cui si occupa.

Le voci della classe lavoratrice sono raramente presenti tra le teste pensanti che dominano la discussione a sinistra. Molti teorici della sinistra scrivono di lavoro dalla prospettiva di intellettuali che si ergono al di sopra del conflitto di classe piuttosto che da quella degli operai che ci si trovano immersi.

Chi prende le decisioni in tema di lavoro è spesso scollegato dalla propria base sociale. Come risultato, si parla più spesso dei sindacati che organizzano i lavoratori piuttosto che dei lavoratori che organizzano i sindacati. I lavoratori si trovano quindi nella posizione di oggetti più che di soggetti delle proprie organizzazioni.

Questa alienazione si manifesta in vari modi: gli iscritti non partecipano alle assemblee, sono impreparati o non inclini allo sciopero, accettano le contrattazioni accessorie e, come dimostrato nelle recenti elezioni, esprimono livelli allarmanti di sostegno a candidati di estrema destra.

I liberali operaisti credono che questi problemi possano essere risolti con piccole correzioni: social media, collaborazioni d’ufficio con associazioni territoriali, campagne puntuali contro questa o quella particolare legge della destra e altri spostamenti tattici che lasciano la struttura dei sindacati inalterata. Il momento attuale ci dimostra come questo approccio infermieristico abbia fallito nell’invertire il declino del mondo del lavoro.

E anche se potessero, non andrebbero sufficientemente lontani. La sinistra operaista deve porsi come obiettivo non soltanto la salvaguardia delle istituzioni del lavoro esistenti, ma anche di trasformarle e di costruirne di nuove. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di far diventare i lavoratori il soggetto e non l’oggetto delle loro stesse organizzazioni – e della storia.

La ricetta che proponiamo per il rinnovamento del movimento operaio ha bisogno di una nuova grammatica. Invece di chiederci “che fare?” potremmo partire da una domanda diversa: “Cosa dovrei fare io?”.

Come si è potuto vedere, gli agitatori di destra che abbiamo tutti incontrato hanno ragione soltanto a metà: dobbiamo trovarci un lavoro. Poi, dovremmo fare quello che diciamo di fare ai lavoratori: organizzare i nostri posti di lavoro.

Questa tattica ha un nome e una storia. Si chiama “salatura” ed è stata fondamentale per lo sviluppo del movimento operaio americano.

Il “sale” della Terra

La “salatura” affonda le sue radici nella storia del movimento operaio e della Sinistra. È stata chiamata in vari modi: industrializzazione, concentrazione industriale, “colonizzazione” (un termine stonato usato dal Partito Comunista negli anni ‘30) e “l’Établi” in francese. Tutte descrivono lo stabilirsi in un luogo di lavoro.

Ogni termine riflette un’applicazione leggermente diversa della stessa idea di base: trovare un impiego con il preciso scopo di organizzare il luogo di lavoro.

La salatura ha costruito e sostenuto tutte le principali accelerazioni nel mondo del lavoro nel ventesimo secolo. Anzi, una volta era così importante per l’attivismo operaio che non aveva nemmeno un nome: gli operai spinti da ideologie radicali si organizzavano lì dove si trovavano, costruendo il movimento operaio mano a mano.

Sia i Knights of Labor (Nobile e Sacro Ordine dei Cavalieri del Lavoro, una delle più importanti organizzazioni dei lavoratori americani degli anni ottanta del XIX° secolo – ndt) che gli Industrial Workers of the World (Lavoratori Industriali del Mondo, associazione militante radicale del movimento operaio di inizio ‘900 – ndt) devono il loro successo all’attrazione che esercitavano su migranti e senzatetto, spingendoli verso la politica radicale. Politica che poi portavano con loro nelle fabbriche e nei luoghi di sfruttamento. Ogni membro era un granello di sale ed erano tutti organizzati, non solo le figure professionali.

L’IWW divenne la nave scuola del conflitto per una generazione di agitatori, molti dei quali si unirono in seguito ad altri gruppi radicali e costituirono il CIO (Congress of Industrial Organizations, confederazione sindacale dei lavoratori dell’industria di USA e Canada, nata nel 1936 e confluita poi nell’ AFL, American Federation of Labor – ndt). Superando la risacca degli anni ’20, questi militanti hanno mantenuto in vita i semi del radicalismo operaio, pronto a sbocciare nella militanza attiva una volta che il clima politico fosse cambiato.

Tutti gli scioperi generali storici del 1934 (lo Sciopero dei Camionisti di Minneapolis, lo Sciopero dei Portuali di San Francisco e lo sciopero della AutoLite di Toledo) sono stati realizzati grazie ad anni di scrupolosa organizzazione nelle officine da parte di cellule di lavoratori radicali di varie organizzazioni socialiste.

Gli scioperi di massa che la minoranza militante riuscì a catalizzare portarono all’istituzionalizzazione del movimento operaio con l’approvazione del National Labor Relations Act del 1935. Ironicamente, questa istituzionalizzazione creò delle contraddizioni che molti decenni dopo sfociarono in una nuova stagione di conflitto della base.

Quando la minoranza militante si ripresentò a cavallo tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, non si trovò soltanto a dover affrontare i datori di lavoro, ma anche sindacati che erano stati usati più per collaborare con le corporazioni che non per combatterle.

Come le azioni di massa del tardo ottocento e dei primi del novecento, l’ondata di scioperi selvaggi degli anni ‘60 e ‘70 (documentata nella collezione Manovalanza Ribelle) è cominciata con i militanti che portavano le loro politiche sul posto di lavoro. Questa volta non si trattava di immigrati socialisti o anarchici ma di attivisti del potere nero, attivisti dei campus universitari e veterani, tutti freschi dallo scontro in e contro la guerra del Vietnam.

Specialmente a Detroit, l’organizzazione coscienziosa ha aiutato la radicalizzazione spontanea di massa. Fondata da studenti e lavoratori radicali con profonde radici nella classe lavoratrice nera, la League of Revolutionary Black Workers LRBW (Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari – ndt) si organizzò contro la gerarchia razzista del capitalismo americano, sia sul lavoro che nella leadership della UAW (United Automobile Workers, uno dei principali sindacati americani – ndt) e della società più in generale.

Mentre Detroit bruciava dopo la Grande Ribellione del 1967 (una rivolta della classe operaia che richiese l’impiego di 17.000 soldati e l’utilizzo di 155.576 proiettili di M1 prima di essere sedata), la LRBW adottò la strategia rivoluzionaria di attivare il potere industriale della classe lavoratrice nera nel cuore pulsante del capitalismo industriale americano. La salatura divenne presto un’arma fondamentale del loro arsenale.

General Baker, uno dei militanti di spicco dell’organizzazione, ottenne un posto di lavoro alla fabbrica principale della Dodge e cominciò ad organizzare i lavoratori. Il 2 maggio 1968 l’organizzazione diede i suoi frutti: uno sciopero selvaggio di quattromila lavoratori chiuse la fabbrica in risposta ai licenziamenti su base razziale. Baker e altri dodici lavoratori persero il lavoro per aver organizzato lo sciopero.

L’industria automobilistiche tentò di far proscrivere Baker e la UAW si rifiutò di difendere lui o i suoi colleghi. Però, usando uno pseudonimo, riuscì ad ottenere un lavoro all’impianto della Ford Rouge (all’epoca la fabbrica più grande al mondo) e divenne presto segretario della sezione locale della UAW.

La Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari continuò ad organizzare i lavoratori nelle fabbriche, negli ospedali, in un centro di distribuzione della UPS, alla sede del Detroit News e ovunque in città. Pianificò scioperi selvaggi, sfidò le pratiche razziste e antidemocratiche della UAW, protestò contro la violenza della polizia, ottenne l’assoluzione per un lavoratore che aveva ucciso due capisquadra, ottenne lo scioglimento di un’unità anti-crimine razzista della polizia, costruì un ponte verso le classi medie e lavoratrici bianche attraverso un gruppo di lettura molto popolare, creò una casa editrice, una libreria, una stamperia e produsse un documentario sul proprio lavoro.

I successi della LRWB sono stati possibili grazie alla relazione complementare tra radicali che cercavano un lavoro per organizzarlo e lavoratori che organizzavano il proprio lavoro una volta radicalizzati, nelle fabbriche come nelle strade. I successi raggiunti dalla LRWB, seguiti da un’ondata di scioperi selvaggi a livello nazionale nei primi anni ‘70 e dalla percezione che i movimenti sociali degli anni sessanta avessero raggiunto i propri limiti, spinsero un’intera generazione di radicali a rivolgersi alla classe lavoratrice.

La svolta verso la classe lavoratrice

I marxisti hanno ribattezzato Detroit la “San Pietroburgo d’America”. Attivisti fuoriusciti dal movimento studentesco cominciarono ad arrivare in massa per lavorare nelle fabbriche, sperando di aiutare a creare un soggetto all’interno della classe lavoratrice che potesse finire la rivoluzione iniziata dai movimenti sociali del decennio precedente.

Si trattava di un fenomeno globale. In Francia, molti militanti identificarono il fallimento dello sciopero generale del 1968 nei deboli legami tra i lavoratori e il movimento studentesco. Sposando la visione marxista classica che vede il proletariato industriale come il soggetto rivoluzionario par excellence, un piccolo numero di attivisti entrò nelle fabbriche e lavorò per capire e superare la mancanza di impulso rivoluzionario da parte dei lavoratori. Una storia raccontata in prima persona nella narrazione avvincente di Robert Linhart in “La catena di montaggio” (opportunamente rinominato “L’Établi” in Francia).

In Italia, la rivolta del ’68 durò per un’intera decade. Focolai di organizzazioni indipendenti dei lavoratori spuntarono nelle fabbriche sotto la bandiera dell’autonomia, avvicinandosi più di ogni altro movimento alla creazione di un’organizzazione duratura tramite la quale la minoranza militante avrebbe potuto influenzare le politiche nazionali.

Max Elbaum racconta la svolta americana verso la classe lavoratrice facendo notare come i sondaggi indicassero che tre milioni di americani fossero a favore della rivoluzione nel 1971, in un periodo in cui la popolazione americana era 1/3 di meno rispetto a quella attuale. Di questi tre milioni, uno zoccolo duro di più di diecimila persone formava il Nuovo Movimento Comunista.

La variegata costellazione di organizzazioni che hanno contribuito a creare questo movimento veniva principalmente dal contesto prevalentemente bianco di ex-studenti e dai movimenti di liberazione nazionale nelle comunità di colore. Ispirati dal pensiero Marxista-Leninista, molti gruppi mandarono dei propri membri all’interno dell’industria pesante con approcci diversi per convincere i colleghi ad impegnarsi nel conflitto anticapitalista.

Secondo il parere dello storico Kieran Walsh Taylor, questi radicali riuscirono a riscuotere qualche successo, principalmente nel sostegno agli scioperi e alle iniziative di riforma, nell’indebolire il razzismo della classe lavoratrice bianca e nel lanciare interventi femministi sia sul posto di lavoro che, più ampiamente, nel movimento operaio stesso. Però questo ingombrante peso politico ha indebolito l’efficienza sul lungo termine dei suoi quadri.

Taylor spiega come il l’azione maoista nelle miniere, nelle segherie e nelle officine abbia provato a coinvolgere i lavoratori in una militanza poco pianificata o, peggio, speso il proprio capitale politico a combattere altre organizzazioni interne al movimento tacciandole di “revisionismo”.

Inoltre, questo movimento troppo spesso ha inteso la “proletarizzazione” come l’imitazione di una classe lavoratrice caricaturata, completa dei ruoli di genere patriarcali e di un’omofobia non affrontata. Ci si aspettava che i membri maschi portassero i capelli corti, evitassero espressioni non appartenenti alla cultura americana e che vivessero secondo quello che il partito considerava la vita ordinaria per la classe lavoratrice.

Ironicamente, questo conservativismo culturale si verificava durante un periodo in cui la classe lavoratrice stava progressivamente abbandonando gli usi e i costumi tradizionali. Le donne lottavano contro il sessismo, il movimento LGBTQ sfidava l’omofobia e il radicalismo, in generale, era in crescita.

Il Nuovo Movimento Comunista non riuscì a riconoscere lo spostamento politico liberatorio già in atto ma, al contrario, tenne fede all’ortodossia leninista: per loro, il partito di avanguardia sapeva cosa bisognava fare e dovevano riportare questa notizia ai lavoratori.

Questo modo di operare dall’alto ebbe un impatto sulle vite dei quadri dirigenti. I membri venivano spesso mandati a svolgere lavori che non erano in grado di gestire, sia fisicamente che socialmente. Alcuni dovettero lottare con gli sforzi dei lavori massacranti e per riuscire a creare legami con colleghi provenienti da background razziali e di classe ampiamente diversificati. Tutti questi fattori ridussero le aspettative di vita dei progetti di queste organizzazioni e molti fallirono nel giro di pochi anni.

Un’eccezione formativa al rapido fallimento del Nuovo Movimento Comunista può aiutarci a fare meglio in futuro. La Sojourner Truth Organization (STO, organizzazione comunista attiva dal 1969 al 1985 – ndt), descritta da Michael Staudenmeier in Verità e Rivoluzione, basava i propri interventi su una comprensione più dinamica della formazione della classe: una teoria della “doppia consapevolezza” derivata da Gramsci e da W.E.B. Dubois.

L’STO credeva che i lavoratori custodissero simultaneamente interpretazioni multiple e contraddittorie della propria realtà. Nella loro formulazione, al militante veniva chiesto di far emergere il lato socialista della coscienza dei lavoratori mentre smantellava le idee ormai antiquate. Questa attività non precedette l’azione collettiva ma si verificò tramite il processo stesso della di lotta classe.

Il compito del partito divenne quindi:

scoprire ed articolare le forme di pensiero, azione ed organizzazione che incarnano il potenziale rivoluzionario dei lavoratori. Questi modelli si manifestano, in fase embrionale, nel corso di ogni lotta reale […] Il vero lavoro del partito coinvolge il mettere in collegamento questi elementi autonomi frammentati e socializzarli in una nuova cultura del conflitto.

Molti militanti della STO si fecero assumere nelle fabbriche di Chicago, entrando in un mondo in cui il conflitto di classe era pienamente evidente. Lì avrebbero partecipato ed incoraggiato lo scontro nelle officine, agevolato la cooperazione tra la manodopera militante e messo a disposizione risorse che avrebbero permesso ai lavoratori di vincere le vertenze senza o contro le burocrazie sindacali ostili.

La recessione di inizio anni ‘70, accompagnata dalle fasi iniziali del neoliberismo e della globalizzazione, spensero la militanza organica che aveva attirato il Nuovo Movimento Comunista. Dibattiti teorici (come il corretto orientamento da tenere verso la Cina che si stava integrando nel mondo capitalista) e ovviamente questioni più mondane come le personalità e gli ego dei singoli, diedero il colpo di grazia al declino del movimento.

Durante i periodi di militanza, il confine tra la salatura e le rivolte spontanee degli operai si fa più opaca, come nel caso non solo della Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari ma anche per i Knights of Labour e la IWW. Quando l’onda insurrezionale arretra (come agli inizi degli anni ‘70) la minoranza militante si ritrova isolata, come un pesce rivoluzionario senza un mare in cui nuotare.

Mentre gran parte della sinistra bruciava e si disgregava tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, una corrente radicale riuscì a sopravvivere: gli Internazionali Socialisti, che fondarono il progetto Appunti di Lavoro e si divisero successivamente in Solidarietà e nell’Organizzazione Internazionale Socialista (ISO).

Per oltre trent’anni, Appunti di Lavoro ha cercato di ridare vigore alla forza lavoro all’interno dei sindacati tramite l’opposizione nelle assemblee, in cui i militanti possono intervenire direttamente e trasformarli. L’opuscolo di Kim Moody “La strategia della forza lavoro” illustra chiaramente questa pratica, i cui successi principali includono Teamsters for a Democratic Union (Camionisti per un Sindacato Democratico – ndt) responsabile dello sciopero alla UPS del 1997, e lo Sciopero degli Insegnanti di Chicago del 2012 organizzato da un’assemblea di attivisti secondo un modello simile.

Quando la prima edizione di Appunti di Lavoro uscì dalle stampe nel 1979, i suoi editori non avevano modo di sapere che sarebbero diventati i cronisti delle rivolte della forza lavoro contro la contrattazione accessoria che segnò il movimento operaio degli anni 80’. Più che custode della fiamma, Appunti di Lavoro alimentò il risorgere del sindacalismo militante. Rappresenta un approccio moderno all’interno della Lega del Sindacato della Formazione, una rete di militanti dell’AFL che provarono a “bucare dall’interno” il sindacato conservatore e a trasformarlo in un’organizzazione radicale.

Sindacalismo commerciale

Appunti di Lavoro ha aiutato a trasformare molti sindacati anche al giorno d’oggi, guidando diversi scioperi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. Però anche i sindacati commerciali si sono trasformati a partire dagli anni ‘20 secondo modalità che complicano il compito di espandere la minoranza militante. Non c’era nulla di precostituito o di naturale in questa evoluzione ma è stato il risultato di un conflitto politico. Conflitto che la sinistra ha in gran parte perso.

Le vittorie storiche del movimento operaio sono il risultato delle insurrezioni della manodopera portate avanti nelle officine di tutto il paese. Nel suo libro Siamo tutti leader: Il sindacalismo alternativo dei primi anni 30’, Staughton Lynd schematizza questa storia in una serie di casi studio dettagliati. Sfortunatamente, la democrazia, le politiche radicali, i legami comunitari e la capacità di azioni dirette di massa costruite da questi sindacati rappresentano una strada che non è stata imboccata dal movimento operaio statunitense.

Il National Labor Relations Act del 1935 (NLRA Legge Nazionale sulle Relazioni Lavorative – ndt) segna una delle prime battaglie. La legge cita:

Si rende noto che la politica degli Stati Uniti è di eliminare le cause di alcune ostruzioni sostanziali al libero svolgimento del commercio e di mitigare ed eliminare queste ostruzioni quando si verificano incentivando la pratica e la procedura della contrattazione collettiva.

L’obiettivo era quello di trasferire il conflitto di classe dalle strade (dove eserciti di operai si scontravano con eserciti di poliziotti) alle sedi amministrative e alle aule di giustizia, facendo in modo che la produzione continuasse senza ostacoli. L’ACLU (American Civil Liberties Union, Unione Americana per le Libertà Civili, ONG americana fondata nel 1920 in difesa dei diritti civili e delle libertà individuale), il Partito Comunista e molte organizzazioni di sinistra si opposero inizialmente all’applicazione del NLRA, ritenendolo il primo passo verso un terreno scivoloso che avrebbe spostato la bilancia del potere a favore degli imprenditori e dei funzionari statali. I leader sindacali dalla mentalità più burocratica sostennero la sua approvazione senza sorprese.

Accettando di giocare secondo le regole del liberalismo societario e di mantenere il flusso produttivo durante la Seconda Guerra Mondiale, i leader sindacali ottennero un posto al tavolo. C.Wright Mills li ha rinominati come i “nuovi uomini di potere”. Però il loro ingresso nelle stanze del potere richiese un prezzo da pagare. Nel 1948, Mills scrive:

La strategia dei leader sindacali nell’attuale situazione è di restringere il conflitto lavorando per la sua istituzionalizzazione. Eppure, la loro ricerca affannata di sicurezza tramite garanzie legali ed istituzionali significa che devono comportarsi come moderatore della forza-lavoro, ovvero della base di qualunque potere che possano ottenere. Cominciano con il santificare i contratti sindacali e si muovono verso il controllo delle relazioni della gestione del lavoro attraverso un governo sul quale hanno poca influenza reale.

Il gap tra la base e la dirigenza aumentò, mentre i leader sindacali si avvicinavano ai burocrati padronali e istituzionali.

Dall’approvazione della NLRA ad oggi, la sinistra operaista ha perso una serie di battaglie con questi sedicenti nuovi uomini di potere, permettendo che il sindacalismo padronale diventasse dominante. Gli accordi sulle trattenute sindacali e sulle procedure di “closed-shop” (procedura per vincolare l’assunzione di un lavoratore alla sua affiliazione ad un sindacato. Questa pratica è illegale in Italia – ndt) obbligarono i leader sindacali a dover fare affidamento più sulle buone relazioni con il padronato e con il governo che sui propri iscritti, alimentando la crescente reticenza alla convocazione di scioperi.

Questa tendenza è aumentata di intensità a seguito dell’approvazione del Taft-Hartley Act del 1947, che proibiva i boicottaggi indiretti, i picchetti di massa, le campagne politiche nazionali, la solidarietà politica e gli scioperi generali. Autorizzava anche i singoli Stati ad approvare leggi in materia di diritto del lavoro e pretendeva dai capi sindacali la firma di dichiarazioni giurate anticomuniste.

Nel 1950 molti sindacati avevano esonerato i comunisti da posizioni di rilievo, privando il movimento operaio di quell’immaginario politico così necessario. Il sindacalismo commerciale divenne sinonimo del sindacalismo stesso.

Per riassumere questa grande trasformazione, il metalmeccanico e accademico Marty Glauberman scrive:

I lavoratori americani di oggi hanno visto i grandi sindacati industriali degli anni trenta trasformarsi negli stati monopartitici moderni. Hanno visto l’anzianità sindacale ottenuta per proteggerli dai i licenziamenti e dalle promozioni discriminatorie divenire lo strumento per escludere i giovani e i neri e impedire ai lavoratori semiformati di guadagnarsi il loro posto nei settori specializzati. Hanno visto le trattenute sindacali passare dall’essere uno strumento per organizzare tutti i lavoratori in una fabbrica a mezzo per sollevare i sindacati dalla loro dipendenza dai lavoratori.

Hanno visto i contratti a tempo pieno per i rappresentanti o consiglieri sindacali passare dall’essere uno strumento per liberare i rappresentanti sindacali dalle pressioni dell’azienda a strumento per liberarli dalle pressioni dei lavoratori. Hanno visto i contratti sindacali e le procedure di reclamo cambiare da strumento per registrare le vittorie dei lavoratori a strumento di regolamentazione dei lavoratori. In breve, hanno visto i sindacati trasformarsi nella propria nemesi: da rappresentanti dei lavoratori a potere indipendente che impone le proprie regole ai lavoratori in un periodo di capitalismo di stato.

Siamo gli eredi di queste organizzazioni e, fin dalla metà degli anni ‘70, il sindacalismo commerciale è diventato sempre più corporativo.

Divisione del lavoro

Nel sindacalismo commerciale moderno, la dirigenza di carriera siede a capo di una gerarchia organica che svolge tutto il lavoro di costruzione dei sindacati, o perlomeno della loro conservazione. Come nel settore automobilistico o negli allevamenti intensivi, il processo è stato assoggettato ad una divisione del lavoro: un gruppuscolo di funzionari (apparentemente) eletti prende le decisioni mentre ricercatori e funzionari retribuiti svolgono il lavoro quotidiano, spesso senza costruire alcuna connessione duratura con le comunità in cui lavorano.

Per gli attivisti che lavorano sodo e che dedicano alle assunzioni il lavoro di una vita, questa struttura produce spesso contraddizioni strazianti, in particolare quando i leader sindacali prendono decisioni non all’altezza dei principi degli attivisti. Sfortunatamente, in quanto dipendenti di un sindacato, il personale ha poca influenza sulla propria dirigenza e sono pochi gli esempi di riforme di successo portate avanti dal personale sindacale.

Ogni bravo funzionario sindacale vi dirà che il loro obiettivo è quello di guadagnarsi il posto trasferendo competenze a capi operai, ma queste buone intenzioni si esauriscono di fronte alla realtà della divisione del lavoro dei sindacati commerciali. In molti di questi, i lavoratori vengono chiamati in causa solo saltuariamente in occasione delle assemblee o come firme sulle deleghe sindacali piuttosto che ricevere le competenze necessarie per costruire un sindacato.

Nel migliore dei casi, queste campagne danno ai lavoratori un assaggio fugace del potere dell’azione collettiva che però, generalmente, si esaurisce dopo la fine della vertenza contrattuale o della campagna politica. Nel peggiore, i lavoratori vengono considerati oggetti piuttosto che soggetti dell’organizzazione delle campagne.

Ricercatori e funzionari sindacali pianificano le attività dei capi operai, cercando punti di pressione sulle aziende che richiedano la partecipazione del minor numero di iscritti possibile. Alla luce di quanto difficile e rischiosa possa essere l’azione collettiva, tutto ciò ha un senso. Però, il più delle volte, porta a dei quid pro quo indifendibili.

Ad esempio in California, dove il SEIU (Sindacato Internazionale dei Lavoratori dei Servizi, fondato nel 1921 – ndt) ha offerto ai datori di lavoro della sanità un accordo che impediva ai dipendenti di organizzarsi riguardo al rapporto tra il numero di pazienti e il personale o di farsi portavoce per i pazienti. In un altro caso, si è offerto di sostenere leggi che impedissero ai pazienti di fare causa per negligenza.

I problemi non riguardano solo il SEIU, sono sistemici. UNITE HERE (Uniamoci Qui, sindacato del settore della ristorazione e del gioco d’azzardo fondato nel 2004 – ndt) ha aiutato i gestori dei casinò a lanciare campagne propagandistiche guidate dall’alto per legalizzare il gioco d’azzardo nei quartieri operai in cambio di un impegno a non contrastare la sindacalizzazione. Tradimenti infami dei lavoratori abbondano nella costruzione dei sindacati, molti dei quali sostengono progetti ecocidi come gli oleodotti Keystone XL e Dakota Access. Recentemente, i loro leader hanno fatto visita al Presidente Trump alla Casa Bianca per discutere su come andare avanti con questi progetti, mentre rimangono in silenzio sui progetti del presidente di scatenare l’inferno sul resto della classe lavoratrice.

Così come i datori di lavori sono diventati più capaci nel combattere la sindacalizzazione, alcune organizzazioni dei lavoratori si sono adattate, creando opportuni accordi politici che proteggono il sindacato ma che svendono i propri membri e i potenziali alleati all’interno della comunità.

Eppure, ferme restando le critiche qualitative al sindacalismo commerciale, sono le critiche quantitative ad essere le più aspre. Il modello, così com’è, non funziona: i sindacati continuano a perdere iscritti, alimentando una lotta infinita per riparare le falle nel loro modello di business.

Alcuni tentativi di rattoppare la nave del lavoro che fa acqua da tutte le parti hanno incluso l’uso della salatura. Le sue radici all’interno della tradizione operaista radicale hanno alimentato la speranza di poter costruire non soltanto un movimento operaio più largo, ma anche un movimento operaio di sinistra.

Ad esempio, UNITE HERE ha utilizzato questo strumento regolarmente nell’ultimo decennio. Ingaggia studenti, spesso prendendoli dalle élites universitarie, per farli assumere in luoghi di lavoro specifici ed aiutare ad organizzare le vertenze.

All’interno di queste vertenze, alcuni “sali” di questo tipo si occupavano di forgiare la coscienza di classe tra i propri colleghi. Però, spesso e volentieri il sindacato usava questi attivisti principalmente per poter entrare nei luoghi di lavoro e identificare i lavoratori più carismatici, lasciando il lavoro sporco dell’organizzazione al personale qualificato. Il luogo in cui venivano prese le decisioni continuava a risiedere nelle alte sfere della catena di comando e la divisione del lavoro limitava il controllo dei lavoratori sul loro stesso sindacato.

Un certo numero di resoconti (e adesso anche un libro) illustrano alcuni problemi riguardanti lo strumento della salatura da parte dei sindacati commerciali. I libri-verità scritti dagli agenti di UNITE HERE ricordano le storie dei militanti marxisti-leninisti degli anni ‘70, i cui comitati centrali si spostavano di fabbrica in fabbrica, limitando così la loro capacità di costruire legami duraturi con i colleghi e diventare parte delle loro comunità.

Senza dubbio, l’uso di questo strumento da parte di UNITE HERE portò a numerose vittorie in giro per il paese, ma il suo uso strumentale e superficiale è in netto contrasto con la profonda dedizione al proprio lavoro e con la cura per i colleghi espressa dai militanti. Mentre questi agenti compiono grandi sacrifici per il bene dell’organizzazione, l’impatto che il loro lavoro potrebbe avere viene tradito da politiche organizzative egoistiche della strategia che spesso danneggiano l’intera classe lavoratrice. Mentre i militanti costruiscono coscienza di classe tra i lavoratori, UNITE HERE fa lobbing per i casinò o sostiene le agevolazioni fiscali per gli hotel di lusso.

La divisione del lavoro che regna nei sindacati commerciali determina il fatto che i funzionari e il personale di alto livello “pensi”, mentre il personale di basso livello, la manovalanza e i militanti occasionali “agisca”, spesso per obiettivi di compromesso e con poco controllo sulle decisioni che influiscono sulle proprie vite.

Se le assemblee dei militanti e dei lavoratori potessero prendere iniziative autonome e lavorare insieme democraticamente, la pratica della salatura potrebbe riguadagnare il potere di trasformazione che esercitava meno di un secolo fa. Possiamo definire questo modello “organizzazione incentrata sul lavoratore”.

La campagna incentrata sul lavoratore

Costruire una campagna incentrata sul lavoratore non solo trasforma i sindacalisti coinvolti, ma anche il sindacato di cui fanno parte. I lavoratori scoprono e sviluppano il proprio potere di esercitare il cambiamento, molto di più di quanto avviene con le campagne dirette dal personale sindacale.

I sali, all’interno di una campagna incentrata sul lavoratore, sono allo stesso tempo ricercatori, analisti politici, lavoratori sociali, manifestanti, pubblicisti, attivisti comunitari e su tutti sono organizzatori. Ovvero, lavorano per costruire un comitato di colleghi che possa acquisire queste competenze e portare avanti una campagna organizzativa. Questo è il modello con cui ho preso dimestichezza come dipendente di un fast food e iscritto dell’IWW tra il 2006 e il 2012.

Ispirato dai baristi di Starbucks di New York che nel 2004 costituirono un sindacato insieme all’IWW, nel 2006 trovai lavoro presso lo Starbucks all’interno del “Mall of America” (centro commerciale di Minneapolis, il più grande degli Stati Uniti – ndt) con la volontà di organizzare un sindacato. Avevo già lavorato in altre caffetterie durante il mio periodo di studi e avevo bisogno di un lavoro. Decisi quindi di andare a lavorare direttamente nel ventre della bestia per poi provare a sindacalizzarla.

Partecipai a due giorni di formazione con organizzatori esperti prima di cominciare a parlare del sindacato con i colleghi. Supportato da uno stretto contatto telefonico con un ex-sindacalista, ho organizzato insieme ai miei colleghi una campagna clandestina di due anni allo Starbucks del Mall of America e in altri luoghi della città. Il nostro lavoro diede vita ad una nuova ondata di conflitti sindacali interni a Starbucks, da Fort Worth in Texas fino a Quebec City e oltre.

In seguito, ottenni un lavoro in un grande negozio in franchising della Jimmy John’s (grande catena americana di fast food -ndt) a Minneapolis, raggiungendo una mezza dozzina di altri lavoratori militanti che cercavano di sindacalizzare il primo franchising di fast food nella storia degli Stati Uniti. Nel 2010 la nostra campagna generò un movimento giovanile cittadino di piccola scala, anni prima che Fight for 15 (campagna per il salario minimo di 15$/ora per i lavoratori dei fast food – ndt) rendesse la sindacalizzazione dei fast food pratica di buon senso.

Centinaia di giovani dimostrarono la loro solidarietà con azioni ed eventi sociali per sostenere la vertenza sindacale e spesso portavano con loro i semi dell’organizzazione nei propri luoghi di lavoro, lanciando altre campagne. Non erano i sindacati ad organizzare i lavoratori, ma erano i lavoratori ad organizzare il sindacato.

Baristi, cassieri e altri dipendenti del terziario cominciarono a dirmi spontaneamente che volevano organizzare il proprio posto di lavoro. Centinaia di giovani parteciparono ad un corteo non autorizzato nel centro di Minneapolis alla vigilia di un’elezione sindacale all’interno di Jimmy John’s. Avevamo già organizzato piccole serate in casa per raccogliere fondi per l’organizzazione, e d’improvviso ci trovammo a realizzare rave nei magazzini a cui partecipavano centinaia di giovani lavoratori.

Per la prima volta dal 1934 sembrava che organizzare un sindacato a Minneapolis fosse “figo”. Il costo totale di questa rivoluzione su piccola scala è stato di circa 80 dollari, lo stesso di un fusto di birra scadente, mettendo insieme i lavoratori di diversi settori commerciali.

Ovviamente, non ottenemmo un successo completo. L’economia dei bassi salari si aggira ancora per il Minnesota; non siamo riusciti ad organizzare il Soviet delle Twin Cities (“Città Gemelle”, termine con cui si identificano due città molto vicine tra loro. In questo caso Minneapolis e Saint Paul nel Minnesota – ndt). Eppure, avevamo raggiunto un grande risultato con un budget ristretto. Quanto ci sarebbe voluto per rivitalizzare il movimento operaio ingrandendo la portata di questo esempio?

Anche se il sostegno economico aiuta (la classe operaia vuole più fusti, grazie) il vero fattore limite è rappresentato dagli individui. Abbiamo bisogno di più persone disposte a passare anni ad organizzare i sindacati sul proprio posto di lavoro, diventando membri attivi nelle proprie comunità di riferimento e sperimentando nuove forme di organizzazione dei lavoratori fino a trovare quella che funziona meglio: esattamente come fecero i militanti che costruirono l’insurrezione degli anni ‘30.

Sarebbe sufficiente che anche solo poche campagne come questa sbocciassero nelle principali città per trasformare il movimento operaio. Una manciata di attivisti sindacali di Minneapolis ha costruito una campagna che ha occupato i titoli di testa dei giornali locali per mesi, ispirato decine di lavoratori a cominciare ad organizzare vertenze e ha reintrodotto l’idea che i lavoratori possono autorganizzare i propri sindacati. Immaginate cosa succederebbe se accadesse lo stesso in cinque, dieci o venti altre città.

La nostra esperienza di Minneapolis ha molto da insegnare alle altre organizzazioni mainstream. Per i sindacati commerciali il denaro non sembra essere il fattore limitante. Nel 2012, Fight for 15 e OURWalmart (sindacato interno alla catena Walmart – ndt) ci hanno dimostrato che il movimento operaio mainstream era finalmente riuscito ad andare oltre le forme antiquate del sindacalismo incentrato intorno al NLRB, trovando nuove strategie che gli permettessero di entrare in contatto con i lavoratori più sfruttati.

Nei quattro anni successivi, Fight for 15 ha ottenuto aumenti salariali consistenti attraverso politiche riformiste ma non è stato capace di costituire sindacati militanti nell’industria dei fast food. Ricordatevi che la richiesta iniziale era di un salario di 15$/ora e di un sindacato. OURWalmart riuscì a sviluppare una base militante duratura, ma il suo sindacato-madre tagliò i finanziamenti in un miope attacco di lotta interna burocratica, spingendo gli organizzatori a trovare metodi di finanziamento alternativi.

Visto che la densità dei sindacati sta scendendo ai livelli precedenti la formazione del NLRB e che le leggi sul lavoro stanno erodendo i diritti dei lavoratori, i sindacati mainstream dovranno trovare nuovi modi per organizzarsi.

La salatura potrebbe essere la scelta migliore per organizzare gli organizzati se i sindacati perdessero la loro legittimità come entità giuridiche e non fossero più in grado di finanziare l’organizzazione dall’alto. Uno slittamento verso questa direzione in attività non sindacalizzate aiuterebbe a sviluppare una cultura del conflitto oltre le linee nemiche da cui potrebbero emergere nuovi movimenti.

Inoltre, aiuterebbe a risolvere la crisi di potere del movimento operaio all’interno delle aziende sindacalizzate. Come scrive Joe McCartin, l’organizzazione all’interno delle attività già sindacalizzate e un revival delle azioni di militanza diretta a sostegno dei beni comuni rappresenta il modo migliore per invertire la tendenza degli attacchi contro i sindacati del settore pubblico: i sindacati infermieristici potrebbero guidare la lotta per l’assistenza sanitaria universale; i sindacati dell’edilizia guiderebbero le lotte per l’energia pulita e per l’edilizia popolare; gli insegnanti quella per un’istruzione pubblica di qualità; i sindacati del settore automobilistico guiderebbero le lotte per mezzi di trasporto di massa e così via.

In molti casi però i lavoratori sono sindacalizzati ma non organizzati. Per ricostruire la solidarietà e la militanza che renderebbero possibili queste campagne globali su vertenze di classe, i sindacati potrebbero trasformare gli iscritti presenti e futuri in organizzatori della forza lavoro. Ovvero, “salare” le attività già sindacalizzate.

La storia ci insegna come la salatura abbia contribuito in maniera sostanziale ai principali successi del movimento operaio: dalla svolta degli anni ‘30 al movimento dei manovali degli anni ‘70, dalle lotte ispirate dalle riforme di Appunti di Lavoro degli anni ‘80 all’organizzazione dinamica e indipendente guidata dai sindacati di oggi. Ma la domanda è sempre presente: chi si occuperà di fare quello che serve?

Bisogna essere un eroe della classe operaia

Fin dal giorno delle elezioni, migliaia di persone sono confluite nelle organizzazioni di sinistra spaventate dalla realtà distopica in cui gli Stati Uniti stanno precipitando. Sono venuti da noi cercando risposte all’eterna domanda: “Cosa dovrei fare?”.

Il movimento anti-Trump si è avvicinato sempre di più verso forme di azione diretta economiche: sciopero delle donne, sciopero dei tassisti, sciopero dei negozi della comunità latinoamericana, astensioni dal lavoro nel comparto tecnologico e ora appelli per uno sciopero generale. Tutto questo non è realizzabile senza un’organizzazione di massa nei luoghi produttivi. Per poter aumentare le possibilità di vittoria dobbiamo portare le nostre politiche nel lavoro.

Una svolta verso i luoghi di lavoro è la scelta più logica per migliaia di persone che si sono avvicinate al socialismo negli ultimi anni. La salatura offre un modo significativo e accessibile per la militanza visto che ognuno di noi è costretto a vendere la propria forza lavoro per poter vivere. I Millennials in particolare stanno subendo una mobilità inversa senza precedenti. Se non siamo stati capaci di andare a cercare la lotta di classe, è la lotta di classe che è venuta a cercare noi.

La salatura può aiutare a colmare il divario tra la Sinistra e la classe lavoratrice andando quasi letteralmente ad incontrare i lavoratori lì dove si trovano: al lavoro. Diversamente dall’ottenere un posto di lavoro nello staff di un sindacato o di una ONG, dall’impiegare il proprio tempo libero nella militanza o dal diventare un accademico, l’organizzazione incentrata sul lavoratore è immediatamente accessibile alla classe operaia e non dipende dalle buste paga delle burocrazie che potrebbero essere cooptate o distrutte negli anni a venire.

Per quanto il sostegno alla salatura sarebbe una cosa di buon senso per i sindacati, l’attuale gruppo dirigente potrebbe o meno essere intenzionato a compiere tale mossa, specialmente dopo che il Congresso Repubblicano si è già dichiarato disponibile ad agire per renderlo illegale.

La sinistra operaista dovrà fare da apripista. Dovremo coordinare le nostre azioni in modo da concentrarci su settori e imprese chiave e occupare quei posti di lavoro che permetterebbero la costruzione del movimento, tendenzialmente all’interno di quei campi in cui siamo già attivi per ridurre al minimo la distanza tra gli “organizzatori” e gli “organizzati”. Oppure diventare eroi della classe operaia e cercare un impiego in quelle aree in cui l’organizzazione dei lavoratori possa avere un forte impatto, come nel caso della logistica.

Se dovessimo riuscire, questo cambiamento su larga scala potrebbe trasformare il movimento operaio e la sinistra mettendo al centro i lavoratori. L’operaismo radicale è iniziato con la salatura, ed è da qui che può ripartire.

Per decenni abbiamo detto ai lavoratori che è tempo di organizzarsi. Adesso, la sinistra operaia deve seguire il suo stesso consiglio e sappiamo quello che dobbiamo fare. Quindi trovatevi un lavoro e mettiamoci al lavoro.

Tratto da jacobin

Traduzione di Michele Fazioli, per DINAMOpress