editoriale

Una testimonianza da Varsavia

Riceviamo e pubblichiamo da un attivista romano che si trovava in trasferta a seguire la Lazio.

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Io, laziale e compagno che stavo a Varsavia

Era il 26 maggio, finiva il derby più importante della nostra città e la mia squadra, grazie a Lulic, conquistava anche il lasciapassare per la Coppa Uefa. Si la Coppa Uefa, io la chiamo ancora così. Dopo un inizio anno in cui, nel giro di tre mesi, ero stato in trasferta a Monchengladbach, Stoccarda e ad Istanbul, si prospettava una nuova stagione di viaggi con gli amici e i “compagni” di sempre. Si perché oltre a essere laziale sono anche un compagno, strano ma vero. Un compagno ultras che si fa le trasferte. Questa volta decido di andare in Polonia per Legia Varsavia-Lazio, fine novembre, con una sola paura: il freddo.

Qualche giorno prima della partita arriva il primo problema, un compagno di viaggio, di vita e di militanza non può venire. La repressione lo colpisce e deve andare a Torino per il processo sui No Tav dove la Digos di Roma deve testimoniare proprio su lui. In compenso trovo subito un altro amico che si prende il suo biglietto. Finalmente arriva il giorno e si parte.

La compagnia è ottima, tre amici di cui due militanti come me e tanta, tanta, birra. Si, la birra. Quella che mi e ci ha salvato la vita.

Sembra strano che una birra salva la vita vero? E infatti non è stata solo una, ma svariate birre che mi hanno salvato perché a forza di bere in continuazione ci si è fatto tardi. Si avvicina l’orario della partita e allora usciamo di corsa per raggiungere il punto di incontro con tutti gli altri tifosi, Agricola Park. Come usciamo dal locale incontro casualmente un amico dell’università con altri suoi amici; meglio così, almeno da 4 siamo diventati 11, e siccome ci muoviamo a piedi in una città che non conosciamo, in una trasferta a rischio, questa nuova compagnia fa solo che piacere.

A piedi e quasi di corsa raggiungiamo il punto di incontro e ci meravigliamo che nonostante fossimo arrivati in ritardo non ci fosse nessuno, neanche una persona, solo la polizia con tre camionette. Ci vengono incontro quattro poliziotti, per fortuna parlano inglese e in modo gentile ma deciso ci dicono che ci devono scortare allo stadio per evitare il contatto con i tifosi del Legia, noi chiediamo subito di aspettare gli altri laziali. In totale dovremmo essere 750, non proprio pochi, ma ci dicono che hanno cambiato il punto di incontro e che li, dove stavamo noi, non sarebbe arrivato nessuno; per cui un po’ a malincuore andiamo tutti verso lo stadio.

La polizia ci scorta a piedi su di un vialone lungo che costeggia il parco completamente al buio, dietro di noi la camionetta che un po’ illumina la strada. Facciamo circa 500 metri e in un piazzale buio ci fermano e un’altra camionetta che aspettava li ci chiude la strada e ci mettono tutti ad un angolo. L’atmosfera non è delle migliori, freddo anzi freddissimo, buio e tutta polizia intorno a noi 11, per fortuna ci controllano solo i documenti, in realtà ci schedano proprio, e tutto dura una cinquantina di minuti nei quali ci congeliamo. Ci perquisiscono e ci fanno qualche domanda ma i toni sono e rimangono incredibilmente gentili. Finalmente ci ridanno tutti i documenti, una camionetta fa manovra a e riprendiamo a camminare verso lo stadio, altri 20 minuti al freddo e al buio e in lontananza vediamo altre guardie a cavallo che ci scorteranno anche loro fino ad arrivare finalmente allo stadio del Legia, il “Pepsi Arena”. La polizia finalmente ci lascia in un vicolo che poi scopriamo essere chiuso e finire direttamente con l’entrata del nostro settore.

Finalmente fuori dallo stadio vediamo qualche laziale ma sempre pochi rispetto al numero che ci aspettavamo. Nonostante fosse presto entriamo subito nel nostro settore e ci imbattiamo nei primi controlli: due controlli con perquisizione approfondita (addirittura ci controllano i calzini), poi un terzo controllo casuale, non fermano tutti, é l’alcool Test. Non è la prima volta che vedo un controllo simile, a marzo me l’avevano fatto anche a Stoccarda. Se si risulta positivi fanno aspettare una mezzoretta e poi fanno riprovare fino a che non passa la sbornia. Finalmente entriamo nello stadio, controllo del biglietto, altra perquisizione e poi un’altra ancora. Ora fanno entrare a due alla volta in un container, non ci toccano, non ci dicono niente solo ci fanno vedere dei fogli. Dobbiamo levarci le scarpe e agitarle per dimostrare che non ci sia nascosto niente. Passato anche questo ultimo controllo entriamo finalmente, dentro non vediamo più polizia ma gli stewards armati di manganello scudi e caschi e con nostra meraviglia pochissimi tifosi. Aspettiamo e cominciamo a scambiare qualche parola con gli altri tifosi ma nessuno sa niente degli altri, saremo a malapena una centinaio e attendiamo che arrivino tutti.

Lentamente e in modo molto confusionale arriva qualche notizia tramite sms e chiamate, pare ci siano stati degli “scontri” ma nessuno ne sa niente di più. Il settore piano piano comincia a popolarsi ma manca ancora circa un terzo di tifosi attesi. Verso il fischio iniziale entrano una decina di tifosi, ci dicono di essere riusciti a scappare dal corteo che è stato attaccato dalla polizia che ha preso tutti gli altri. Si levano le “pezze” e con calma si capisce tutto. La notizia è arrivata anche in Italia tanto che i nostri cellulari cominciano a impazzire, ci chiamano tutti dall’Italia e il bello è che noi non ne sapevamo niente.

Quello che è successo è ormai noto, lo abbiamo letto tutti. Durante la partita non si è cantato, sapevamo del fermo ma non che si fosse trasformato in un arresto di almeno due notti per almeno un centinaio di noi. Finisce la partita, vinciamo due a zero, ma quasi non ce ne frega niente nonostante otteniamo la qualificazione matematica, il pensiero è tutto verso i nostri fratelli. A fine partita comincia a diluviare almeno per mezz’ora, ci faranno stare ancora un bel po’. La partita è finita alle 20,50, usciamo solo alle 23 ma la polizia ci ferma subito fuori dallo stadio. Ci chiudono in un vicolo, siamo 400 persone circa, ci circondano davanti e dietro poliziotti in assetto antisommossa con manganelli, armi e spray al peperoncino; a destra abbiamo il muro dello stadio e a sinistra a piccolo un ruscello gelato. Siamo circondati e senza via di fuga, per fortuna non succede niente. Non ci fanno muovere da li per almeno una mezz’ora buona fino a quando la società Lazio per fortuna interviene e ci chiamano loro dei taxi.

La polizia farà uscire dal gruppo di circa 400 persone soltanto 4 persone alla volta ogni volta che arriva un taxi, praticamente siamo costretti ad andarcene tutti in questo modo ma questo incubo dura praticamente un paio d’ore dato che noi quattro, fra gli ultimi, riusciamo a prendere un taxi solamente dopo l’una di notte. Una gestione pazzesca, per fortuna siamo stati abbastanza tranquilli ma si è rischiato molto, gli animi non erano dei migliori dopo i fatti del pomeriggio e la pazienza veramente poca. Qualche urla verso le guardie ma tanto non c’era verso e ci è toccato aspettare al gelo questi momenti interminabili.

Finita la partita il giovedì sera per noi che avevamo il ritorno la domenica iniziava il fine settimana e la nostra vacanza.

Si alla fine ci siamo pure divertiti, tanta birra e tante cazzate con gli amici ma intanto la mattina dopo siamo andati in ambasciata a chiedere conto di qualche amico che non avevamo visto allo stadio e ne rispondeva al telefono. Ogni laziale incontrato in città chiedeva preoccupato e incazzato notizie degli altri. Inutile dire che siamo fortunati, come è inutile continuare a raccontarvi il resto, come ad esempio il contatto con l’ambasciata, dove ci hanno detto che non potevamo fare niente se non aspettare lo svolgersi dei processi.

La cosa più importante è successa qui a Roma a partire da quando siamo arrivati a Ciampino. Sul nostro aereo infatti, tranne una quindicina di persone, c’erano tutti tifosi che erano stati almeno una notte in carcere o in commissariato e che sarebbero dovuti tornare il giorno prima; sembrava una nave tornata dalla guerra, folla ad accoglierci festante, tanti sorrisi ma anche tante lacrime e li abbiamo incontrato anche un’altra compagna che “bazzica” San Lorenzo che aveva avuto due amici coinvolti negli arresti.

Il mio racconto si interrompe qui e fa un salto fino a lunedì e martedì successivi, quando mi accordo che in realtà tutta la solidarietà che pensavo ci fosse attorno alla questione è abbastanza smorzata e soffocata, finta, ma non da tutti però. Anzi, solo da alcuni. I nostri compagni e la “sinistra”.

Si proprio loro, quelli che sono pronti sempre e comunque a indignarsi e scendere in piazza per qualsiasi ingiustizia perpetrata in qualsiasi parte del mondo a chiunque sia il malcapitato di turno. Sempre, tranne stavolta però. Alcuni sono coerenti ma in molti, troppi stanno facendo finta di niente. Vigliaccheria? Egoismo? Menefreghismo? Insensibilità? No i compagni non sono così cattivi, semplicemente hanno paura! Paura di affrontare un argomento tabù.

Quale? Quello degli ultras; violenti e di destra. Gli ultras poi in questo caso sono quelli della Lazio, i peggiori. Per cui perché difenderli? Fascisti, razzisti, xenofobi, antisemiti e violenti. Ti pare che un compagno si sporca le mani per una cosa simile? Ti pare che qualcuno del governo fa qualcosa? Ti pare che qualcuno dica una parola in merito? Nessuno, neanche il sindaco Marino.

Iniziano le discussioni sui social network, c’è chi come il sottoscritto si incazza a bestia per il silenzio di molti e chi da un lato e dall’altro cerca di parlarne e ancora chi smorza i toni glissando sul fatto che si tratta dei soliti “fasci” violenti e facinorosi. Si apre la guerra mediatica, le discussioni su facebook e su altri social networks ma sono destinate e rimanere qui, sono semplici batracomiomachie, discussioni futili e ridicole perché tanto nessuno ne parla. Oddio proprio nessuno no. Non ne parlano i compagni, perché è vivo anzi vivissimo l’assioma di cui sopra, laziale=fascista per cui non merita di essere difeso.

Poco importa se non ci sono prove, poco importa se sono stati prese 150 persone per quello che, eventualmente hanno fatto in 5 o 6. Poco importa se hanno arrestato così tante persone a fronte di nessun ferito, nessun incidente e nessun danno. Poco importa se chi è uscito dal carcere lo ha fatto solo dopo aver firmato un foglio in lingua polacca che ammetteva la colpevolezza su dei reati che non avevano commesso. Poco importa se sono stati processati senza tutela legale, con l’assenza di un avvocato e solo la presenza di un traduttore. Poco importa se parliamo di circa 150 nostri concittadini, importa talmente poco che sono stati tutti zitti.

Non solo i compagni però. Anche la sinistra che è da sempre assente su tutti quei temi contraddittori e scottanti, di solito mal visti dal proprio elettorato, lasciando quindi un vuoto che in politica e nella società non deve e non dovrebbe esistere. Anche perché questo vuoto lo riempie qualcuno, quel qualcuno più furbo e svelto di noi che da ormai un decennio la fa da padrone nelle curve d’Italia e nelle periferie delle nostre metropoli. La destra sociale. Casapound e Fratelli d’Italia ci hanno messo subito il cappello su questa storia, e sia chiaro, hanno fatto bene. Chi sbaglia è chi tace e lascia tutto in mano agli altri, la Meloni lo sappiamo tutti, ne ha tutto l’interesse a sposare la causa, ne va della sua immagine a livello cittadino e così come Casapound ci sguazzano per sensibilizzare l’elettorato. Si prendono Rino Gaetano, il “Che”, figuriamoci se non si esponevano dove hanno conoscenze con quanti coinvolti?

Fatto sta che in questi giorni abbiamo dovuto sentire da loro quelle parole che noi laziali compagni e antifascisti avremmo voluto e sentire da altre campane. Possibile ieri l’unico che sia indignato delle parole del primo ministro (che ha definito “banditi” i tifosi arrestati) debba esser Ignazio La Russa?

I nostri concittadini sono ormai da una settimana in carcere a Varsavia e c’è da dire che gli stessi tifosi del Legia stanno portando solidarietà, aiuto e sostegno ai laziali rimasti a Varsavia. Cosa che invece a Roma non succede per le cose descritte, che meriterebbero sicuramente una discussione molto più approfondita, senza ipocrisie. Ci proviamo?

Valerio Fini