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Brutti, sporchi e senza diritti

Cosa è successo a Varsavia prima di Legia-Lazio?

Doveva essere una trasferta calcistica europea come tante altre, in una Varsavia tirata a lucido per l’occasione, spesa tra un giro in centro, un po’ di shopping, birre e il consueto corteo festoso diretto allo stadio. Per circa 150 tifosi laziali la partita tra Legia Varsavia e Lazio non si è mai giocata, anzi si è trasformata in un incubo, fatto di arresti arbitrari, notti in carcere, processi farsa e quella spolverata di minacce e molestie che, evidentemente, non è esclusiva della polizia italica.

La sceneggiatura messa in piedi dalle forze dell’ordine, in sedicesimi, ricorda le migliori performance italiane: capi di imputazione risibili (schiamazzi, travisamento), altri (assalto e resistenza) sostenuti da prove evanescenti. Come i due video pubblicati sul sito della polizia che mostrano un gruppetto di persone con caschi bianchi(!) intenti a tirare alcuni oggetti contro i blindati. L’immancabile ritrovamento di armi bianche (una decina di coltelli e un’ascia) ha chiuso il cerchio; nessuna specifica sul ritrovamento, tant’è che alcuni fonti non ufficiali affermano che la borsa appartenesse a un gruppo di tifosi di Sofia, nemici storici del Legia, gemellati con i gruppi ultras laziali per ragioni di affinità politiche.

Tutte le testimonianze raccolte in questi giorni parlano di misure preventive e arbitrarie, di interrogatori senza avvocati, di processi farsa in cui il giudice “consigliava” l’imputato di ammettere la colpa per evitare ulteriori problemi, di pressioni fisiche e psicologiche.

Dopo tre giorni di timidezze e attività di routine, anche il ministero degli esteri si è accorto che qualcosa non tornava dalle ricostruzioni della polizia polacca. Ieri sera, la ministra Emma Bonino è intervenuta con una nota ufficiale: “Certamente vanno fatti gli opportuni approfondimenti sulle modalità che hanno portato al fermo dei tifosi della Lazio e alla decisione delle autorità giudiziarie polacche di trattenere e rinviare a giudizio 22 persone – scrive la ministra – Voglio peraltro chiarire che più di un centinaio di fermati sono stati accompagnati in diversi commissariati di Varsavia ed è stato straordinario lo sforzo che la nostra Ambasciata ha fatto per giungere al più rapido rilascio dei connazionali”.

Ad oggi restano in carcere 22 tifosi, in attesa dell’udienza per l’identificazione dei video ed eventuale rilascio su cauzione. Rischiano tutti pene dai due ai sei mesi di reclusione (quattro sarebbero i casi più delicati), con accuse che spesso si sovrappongono, dal danneggiamento di cose, mezzi e all’aggressione alla polizia, all’uso del passamontagna.

La cifra di questa vicenda è duplice: da una parte, non si ricorda un’analoga operazione repressiva di questo livello durante eventi sportivi. Nemmeno durante gli Europei di calcio delllo scorso anno, svolti proprio in Polonia, quando ci furono scontri furibondi tra ultras russi e polacchi, amplificati dalla folle gestione dell’ordine pubblico, che portarono all’arresto di 56 persone poche ore prima della sfida tra le due nazionali, il 12 giugno 2012. Si tratta di un precedente inquietante che fa dello stadio, ancora una volta, un laboratorio di sperimentazione repressiva, questa volta a livello europeo, senza badare molto alla composizione dei tifosi oggetto delle misure. Questa volta, infatti, la maggior parte delle persone coinvolte nel “sequestro di persona” non fanno riferimento a gruppi ultras organizzati.

Dall’altra, spiccano le reazioni timide, i distinguo, i silenzi di tanti media, commentatori, esponenti istituzionali di vari livelli che subordinano l’appartenenza calcistica alla esigibilità dei diritti e delle libertà personali. Lo schema era già pronto in diverse redazioni del giornalismo “progressista”: il tifoso laziale, si sa, è per antonomasia violento, razzista e fascista, se si trova al centro di qualche vicenda repressiva sicuramente se l’è cercata. E un po’ di carcere è pure pedagocico. Man mano però che la notizia assumeva i contorni palesi della violazione di diritti fondamentali, il modellino si è incrinato. Su tutti spicca come sempre La Repubblica che con Fabrizio Bocca si è sperticata nell’eleogio preventivo della polizia polacca, espressione di “un Paese da dieci anni membro della comunità europea, mai protagonista di palesi violazioni dei diritti umani”. Qualcuno dovrebbero informare Bocca di ciò che è accaduto durante gli europei o quello che è successo poche settimane fa nei confronti degli antifascisti polacchi, attaccati dai gruppi nazi con la benevola complicità della polizia locale.

D’altronde è cosa nota che la sensibilità democratica sia un affare a geometria variabile. Per molto meno abbiamo visto consigli comunali ed aule parlamentari discutere di ordini del giorno e/o richieste di commissioni di inchiesta su “arbitraggi scandalosi”, scalate di società quotate in borsa, premi da intitolare al giocatore x o y. Soltanto una settimana fa, l’aula Giulio Cesare di Roma, con il consenso trasversale di tutti i gruppi, ha deciso di sospendere la delicatissima discussione sul bilancio, a rischio commissariamento, per garantire a tutti i consiglieri la visione del posticipo della serie a Roma-Cagliari.

Per fortuna, dal mondo del tifo organizzato, seppur con qualche ritardo, sono giunti attestati di solidarietà nei confronti dei tifosi presenti a Varsavia, ben oltre la banale complicità ultras. Per ricordare che i diritti o valgono sempre o non valgono per nessuno.