MONDO

Uber mette sotto i poveri

Chi sono le protagoniste – fin troppo umane – del primo omicidio stradale in cui un pedone viene ucciso da un’auto a guida autonoma

Sono le dieci di sera sulla Mill Avenue, la main road di Tempe, Arizona, che esce dalla città per raggiungere Phoenix. Su quella stessa strada a poco più di un chilometro di distanza, nel centro della città, c’è uno dei centri di ricerca più avanzati al mondo per lo sviluppo delle smart city. Si chiama Decison Theater ed è l’orgoglio dell’Università dell’Arizona perché è un ambiente immergente che consente la visualizzazione e risoluzione collaborativa di problemi complessi.

Probabilmente quella piccola signora bionda di cinquant’anni, che sta attraversando a piedi la strada spingendo a mano la sua bicicletta sul cui manubrio ha agganciato un paio di buste della spesa, non sa nulla di quel eccellenza cittadina. Vuole semplicemente raggiunge la pista ciclabile che l’amministrazione della contea ha realizzato in modo improbabile, lungo quella che fuori dalla cittadina di Tempe diventa un’autostrada ad alto scorrimento.

La stradina da cui sta uscendo sembra indicare la possibilità di un attraversamento pedonale anche se un cartello dice che non può farlo. La donna si chiama Elaine Marie Herzberg e, da quando è morto il marito in un incidente stradale, è diventata una senza fissa dimora, ha problemi di tossicodipendenza e una serie di arresti legati all’uso di marijuana e altre sostanze stupefacenti. Secondo la sua amica Carole era una persona molto prudente quanto attraversava la strada.

In quello stesso momento sulla Mill Avenue c’è un’altra donna che sta viaggiando a bordo di un Suv. Anche lei è pregiudicata e ha quasi la stessa età di Elaine. Si chiama Rafaela Vazquez e ha passato quasi quattro anni in una prigione dell’Arizona per una rapina a mano armata nel videonoleggio Blockbuster in cui lavorava, con un complice avevano rubato 2800 dollari dalla cassa. A quell’epoca si chiamava ancora Rafael perché non aveva ancora deciso di cambiare sesso all’anagrafe.

Quella sera del 18 marzo Rafaela è al posto di guida di una Volvo XC90 che lei non potrebbe mai permettersi di comperare perché costa 50.000 dollari. Quella su cui è seduta Rafaela però vale molto di più. È accessoriata con 7 videocamere, un laser, un radar a 360 gradi e un’intelligenza artificiale che dovrebbe evitare qualsiasi collisione con oggetti, pedoni e altri veicoli. È una delle 200 automobili a guida autonoma che Uber sta facendo circolare nell’area di Phoenix in Arizona, dopo che la California ha revocato il permesso alla sperimentazione per mancanza di garanzie sulla sicurezza con particolare riferimento al riconoscimento delle bicycle lanes, le piste ciclabili.

Rafaela è una dei 400 safety driver impiegati da Uber e le è toccato il turno di domenica notte. Non sappiamo quale sia il suo stipendio perché Uber ha preferito non rispondere a questa domanda della CNN. Probabilmente guadagna poco più di un semplice autista perché di fatto è questo che sta facendo: sta accompagnando la macchina verso il prossimo cliente e deve intervenire solo in caso di pericolo. Non serve un curriculum da ingegnere dell’information tecnology e Rafaela è uno dei tanti latinos con esperienza da “tassista” Uber.

Il video che documenta l’impatto è finito su tutti i media del mondo. Forse Elaine e Rafaela si guardano negli occhi solo un istante prima della tragedia. Rafaela sta armeggiando con qualcosa che tiene tra le mani, forse sta controllando l’app di Uber sul telefonino per sapere chi sarà il prossimo cliente e per questo guarda oltre il parabrezza solo un attimo prima dell’impatto. Quando Elaine alza lo sguardo dalla sua bicicletta pare incredula di fronte a quella strana auto che aveva visto da lontano e che non ha ancora accennato la frenata.

Nelle immagini della videocamera Elaine appare all’improvviso, tra la luce di un lampione e un’altra. Quella però non è la videocamera che guida l’automobile e non è nemmeno quello che può vedere un occhio umano a bordo dell’auto. Quella Volvo XC90 ha sette telecamere sul tetto e una tecnologia radar avanzatissima chiamata LiDAR che Uber potrebbe aver rubato a Waymo, l’azienda di Google che sviluppa sistemi per le auto a guida autonoma. Per questo, secondo TechCrunch, l’auto era sicuramente equipaggiata in modo da dover individuare Elaine e reagire appropriatamente. Eppure qualcosa non ha funzionato anche se ancora non sappiamo cosa.

Quello che sappiamo è che sono due donne sottoproletarie della provincia americana le protagoniste fin troppo umane del primo incidente in cui un pedone viene ucciso da un’auto a guida autonoma. La prima è morta in ospedale poco dopo l’incidente, la seconda rischia di diventare il capro espiatorio di un processo epocale in cui sul banco degli imputati sarà chiamata la ricerca sull’intelligenza artificiale, la robotica e una multinazionale da 15 miliardi di dollari che ha fatto le sue fortune facendo guadagnare agli autisti una media di 3.37 dollari l’ora. Ed è proprio questo costo marginale quello che Uber aveva intenzione di eliminare nel giro di un paio di anni. Pochi mesi prima dell’incidente, infatti, l’azienda aveva ordinato altre 24.000 Volvo XC90 da mettere su strada a partire dal 2019: l’inizio dell’eliminazione fisica dei suoi lavoratori.

Per questo due dropout come Elaine e Rafaela sono le vittime designate di una economia rapace che, nascosta dietro l’idea democraticista della sharing economy, finisce per sfruttare, sottomettere e alla fine mettere sotto i più poveri.