CULT

Suoni dal quarto mondo. Addio a Jon Hassell

È morto ieri, a 84 anni, il trombettista e sperimentatore americano Jon Hassell. Dagli studi con Stockhausen alle collaborazioni con artisti diversissimi (da Eno agli 808 State, da Paolo Fresu a Ry Cooder), Hassell ha sempre immaginato una musica capace di raccontare mondi possibili, ma non sempre realizzatisi

È morto ieri, all’età di ottantaquattro anni, Jon Hassell, trombettista, compositore e fondamentale sperimentatore (tra jazz, elettronica e world-music) statunitense: la notizia della sua scomparsa è arrivata, non del tutto inaspettata, tramite un comunicato dalla sua famiglia. «Amava la vita e lasciare questo mondo è stata una lotta perché c’era molto di più che desiderava condividere nella musica, nella filosofia e nella scrittura», vi si legge: «È stata una gioia per lui riuscire a comporre e produrre musica fino alla fine». La sua ultima fatica discografica risale, infatti, allo scorso anno: l’album Seeing Trough Sound. Hassell ha poi subito un incidente nel suo studio, che lo ha costretto al recupero nell’isolamento ospedaliero tipico di questi tempi pandemici.

Nato a Memphis nel 1937, Hassell si è sempre detto orgoglioso di provenire dalla stessa città che aveva dato i natali al blues. La sua musica si è però ben presto allontanata dalla tradizione afroamericana, nonostante gli esordi affondino nel jazz della cosiddetta swing-era: in giovane età, infatti, si reca in Europa, per studiare con il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen. È soltanto la prima tappa di un continuo peregrinare in giro per il mondo, sempre alla ricerca di nuove suggestioni e nuovi stimoli.

Dalla Germania all’India, dove studia la tradizione musicale locale, approfondendo le strutture raga, passando per la madrepatria, al seguito di pionieri del minimalismo come Terry Riley e Lamonte Young. Tutte esperienze che confluiscono già nei primi lavori, come il debutto del 1987 Vernal Equinox. Un disco in cui iniziano emergere echi di quello che lo stesso Hassell chiamerà fourth world: «La combinazione di un suono primitivo/futuristico che unisce le caratteristiche degli stili etnici del mondo con tecniche elettroniche avanzate».

Il pieno sviluppo dell’idea, non solo musicale, del quarto mondo arriva però con i successivi lavori, il primo dei quali realizzato insieme all’instancabile avventuriero sonico inglese Brian Eno. Intitolati proprio Fourth World, Vol. 1: Possible Musics e Fourth World, Vol. 2: Dream Theory in Malaya entrambi gli album sono piccoli gioielli che, ancora oggi, a quarant’anni dalla loro uscita, continuano a svelare sempre nuove sfumature.

La tromba di Hassell, memore della lezione del Miles Davis più elettrico, spesso soffusa (tramite l’utilizzo della sordina) e altrettanto spesso dal retrogusto più acido, incontra nei solchi dei due dischi influenze dall’estremo Oriente, frammenti di un’elettronica autarchica e un’avanguardia sempre placidamente psichedelica. «Quella musica era un luogo dove condurre e mostrare nuovi esperimenti sociali», dirà poi Brian Eno omaggiando l’amico e collega nel 2007.

Sempre con Eno (e con David Byrne dei Talking Heads), Hassell avrebbe dovuto collaborare per il seminale My Life in the Bush of Ghosts, ma all’ascolto dei primi nastri Hassell si tirò indietro, definendosi addirittura «indignato» per il risultato che stava emergendo. Un rifiuto sorprendente, che però non ha interrotto il sodalizio artistico e l’amicizia con Eno. Nella sua carriera, Hassell ha poi collaborato con artisti provenienti da ogni latitudine e stile musicale: con Flea, il pirotecnico bassista dei Red Hot Chili Peppers, con il jazzista italiano Paolo Fresu, con la band house inglese 808 State, con il chitarrista e compositore di colonne sonore Ry Cooder, con i terroristi sonici Techno Animal (Kevin Martin e Justin Broadrick), con l’ensemble burkinabè Farafina.

Molto di loro hanno ricordato ieri sui propri profili social lo straordinario musicista e pensatore americano, rimarcandone l’enorme importanza e influenza. Come suggeriva, infatti, il titolo completo del primo dei due Fourth World, Possible Musics, Hassell ha saputo immaginare, in un’epoca di grandi contrapposizioni, la possibilità di una musica che mettesse in contatto l’avanguardia tecnologia e reminiscenze misteriche e spirituali. Perfetta sonorizzazione per verissime utopie geografiche, tutta la discografia di Hassell disegna una world-music irreale, una world-music per mondi che ancora non esistevano allora e che, forse, mai esisteranno.