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Sulle elezioni argentine: fase politica e potere di veto

Abbiamo tradotto e pubblichiamo le riflessioni del collettivo Lobo Suelto all’indomani delle elezioni ed in vista del ballottaggio, in quanto spunti interessanti e produttivi rispetto alla necessità di riaprire e rilanciare uno spazio del cambiamento nel contesto argentino e latinoamericano. Leggi anche Argentina un ballottaggio “storico” di Francesca Belotti e Alioscia Castronovo.

E’ difficile fare valutazioni sul nuovo panorama politico che il risultato delle elezioni di ottobre ha inaugurato. Se situazione era già molto complessa prima dei risultati, oggi lo è ancora di più. E’ troppo presto per avventurarsi in analisi e non ha senso cercare di anticipare i risultati. Fino ad ora tutti quelli che hanno preteso di far valere la propria analisi politica si sono poi sbagliati sui pronostici. Non tanto per errori di calcolo, quanto piuttosto per le categorie stesse con cui si formano e si comunicano analisi e punti di vista. Nonostante questo, alcune impressioni sembrano essere confermate:

1. La prima, che non rappresenta una novità ma appare adesso estremamente nitida ed accentuata, riguarda la riaffermazione, senza quasi nessuna resistenza, della politica tradizionale. L’inconsistenza dei tre candidati presidenziali, Daniel Scioli, Mauricio Macri e Sergio Massa, rende evidente un comune atteggiamento docile nei confronti dei piani del capitalismo globale e del discorso della crisi. Tutto ciò implica la fine di quel discorso, elaborato all’interno delle lotte del 2001, che ha incoraggiato, senza tuttavia riuscirci del tutto, la necessità di porre un freno alle politiche di aggiustamento strutturale e alla repressione? Solo l’insorgenza collettiva, in quanto espressione di potere di veto, può ricreare le condizioni per un tale mandato strategico, aprendo nuovamente gli spazi di possibilità per un vero processo politico.

2.Nuova destra? Fine del populismo? Disorientamento delle forze popolari e di sinistra? Questi interrogativi assumono valore solamente nella misura in cui ci permettono di valutare lo stato di salute delle forze sociali, di quelle che si costituiscono e di quelle che si scompongono. Niente è scritto, tutto è da compiersi. A condizione di abbandonare una serie di semplificazioni della prima ora:

a) la semplificazione positivista, che pretende di spiegare tutto a partire da un funzionamento autoconsistente del sistema politico;

b) la semplificazione moralista, che narra i fatti in base al binomio bene/male (ed intende il male minore e il voto in bianco come mere questioni di principio);

c) la semplificazione storicista, che ha come presupposto l’idea che il passato contenga già in sè il senso di tutto quel che sta avvenendo oggi davanti ai nostri occhi;

d) la semplificazione anti-progressista, che tenta di sfondare una porta che è già aperta da tempo;

e) la semplificazione volontarista, che riduce tuttala complessità al “che fare” (come se sempre vi fosse qualcosa da fare, pulsione che spesso viene canalizzata da facebook)

f) la semplificazione della mala fede, che considera come premesse ovvie ciò che in realtà sono complessi processi conflittuali (come il cinismo di dire “è l’economia”, così come dire “è il peronismo” in modo folkloristico)

Per uscire da questa pigrizia del pensiero il collettivo Jugetes Perdidos ci segnala, in un recente articolo (“Apuntes rápidos sobre el voto mulo”) una delle vie possibili: leggere la questione elettorale – fin dove possibile – in maniera intreecciata con la produzione di forme di vita; ovvero, con la gamma di strategie efficaci in gioco per muoversi all’interno della “decada ganada”. Perché solo la strategia ci consente di andare oltre la morale. Ovvero, detto in altro modo, solo tornando al problema della produzione delle forme di vita (e delle strategie sempre in trasformazione) è possibile riaprire dal basso ciò che la politica chiude dall’alto.

3. Per quale opzione propenderemo allora? Quella del male minore (la “buona destra”) o quella che intende prescindere dai due candidati (son tutti uguali/le elezioni non contano/non cediamo al ricatto che obbliga tutti noi a pronunciarci)? Né l’uno né l’altro. Posto che tale dilemma non ha soluzione, l’appello a fidarsi di Scioli per fermare la destra “cattiva” si mostra tanto fragile quanto imperdonabile sarebbe ignorare o sottostimare il significato materiale e simbolico di un trionfo del Progetto-Macri, l’espressione più pura della classe proprietaria. In un momento in cui sul livello macropolitico si produce una chiusura, è reazionario sostenere che la micropolitica sia una realtà separata, occorre invece situarla nel luogo che più gli è proprio, ovvero quello di una forza capace di intervenire e riaprire spazi nell’ambito macropolitico.

4. Chi pensa che bisogna “resistere” (come se ci fosse una separazione tra il momento in cui resistere e quello in cui delegare) per stabilizzare i risultati ottenuti col Kirchnerismo (i miglioramenti) non riesce a comprendere il fatto che tale posizione conservatrice è già di per sé segno di un esaurimento storico. Manca un impulso all’innovazione, e tale assenza si è trasformata in una debolezza sul piano elettorale, il tutto per “frenare la destra”. Quella destra che ha già cominciato a vincere dal 2013. Ma non disconosciamo nemmeno l’importanza dell’utopia nazional-popolare (di cui l’attuale proiezione statale e sviluppista non è altro che una versione maldestra). Nonostante oggi i poteri globali si sforzino di distruggere molte delle conquiste ottenute dai cosiddetti populismi latinoamericani. Noi non possiamo certamente essere indifferenti nei confronti di ciò che accadrà da qui in avanti alle politiche volte al benessere sociale e al proiezione su scala regionale sviluppatasi negli ultimi anni.

5. Non è possibile mettere a nudo i limiti della politica convenzionale e della sua mala fede se non comprendiamo le questioni che sono concretamente in gioco nell’attuale congiuntura. A partire da questa constatazione occorre appoggiare tutte le iniziative che in modo autonomo e dal basso si sforzino di organizzarsi per bloccare il Progetto-Macri: solo lottando contro le forze che tendono alla vittoria possiamo tornare a rendere attuale il potere di veto. La situazione, per come ci si presenta oggi, impone a tutti noi la necessità di individuare nuovi strumenti per affrontare i tempi a venire. Oggi le destre (una parola vuota che dovremmo ripensare per sostituirla con una più puntuale) sembrano aver messo tutto sotto il proprio comando e contaminato secondo la propria estetica tutti i partiti, tutte le istituzioni e persino le relazioni affettive. Risulta abbastanza inefficace trattare da “infanti” i votanti di destra, immaginandoli come fredde macchine razionali del gioco elettorale, sfiduciati e disillusi, quando tutta la politica del “potere è una cattura (continua) degli affetti”.

6. Ora che il governo delle destre – revanchiste – ci sfida, è più che mai necessario andare fino in fondo con noi stessi (facendo i conti con le nostre pigrizie) e affrontare lo scontro con il nemico politico sul piano sociale: come, dove e con chi possiamo cominciare a forgiare le forze (i posizionamenti, le azioni, il linguaggio, le alleanze) per questa battaglia, in una fase mutata che è già iniziata, a dire la verità, da diverso tempo?

7. La filosofia di Spinoza insegna da secoli che il diritto è uguale alla potenza. Il sistema politico non garantisce di per sé alcun blocco rispetto alle politiche di spossessamento. Tutto il discorso sui diritti dovrà essere riscritto, ritessuto, adesso, a partire dalla potenza concreta delle forze collettive che si attiveranno davanti al pericolo rappresentato da una possibile vittoria di Macri.

1 novembre 2015

Pubblicato con il titolo “Efecto-manada: el poder de veto” sul blog anarquiacoronada , traduzione a cura di Alioscia Castronovo per Dinamopress.