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ITALIA

Strage di Viareggio, «La nostra battaglia politica continua»

Cosa dice davvero la sentenza di Cassazione sulla strage di Viareggio, parlano l’avvocato di parte civile Filippo Antonini e Marco Piagentini, presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei Viareggio” e familiare di alcune delle vittime

«Quando chiudo gli occhi vedo ancora mia moglie, in piedi davanti alla nostra casa, la vedo con Lorenzo tra le braccia e vedo Luca che si sente sicuro nella macchina in cui l’ho posato, loro sapevano come rendere felici gli altri. Poi guardo Leonardo che è capace di renderli felici ancora adesso, allora so che io non mi arrenderò mai, perché lo devo a loro e a me stesso».

È quello che ha scritto Marco Piagentini, presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei Viareggio”, dopo l’esito della sentenza della Corte di Cassazione, pronunciata settimana scorsa, sulla strage di Viareggio del 29 giugno 2009.

 

La strage

Mancavano 12 minuti alla mezzanotte di quel giorno d’estate di 12 anni fa, quando un treno, che sta entrando nella stazione di Viareggio e che trasporta 14 cisterne di Gpl, deraglia. Si ipotizza per il cedimento di un carrello. Da una delle cisterne fuoriesce del gas. Marco Piagentini abita a pochi metri da quella stazione, con la moglie Stefania e i figli, Luca, Leonardo e Lorenzo. All’improvviso l’onda d’urto, prepotente, fa esplodere le finestre; l’aria viene meno, si diffonde un odore assordante di gas.

Marco, senza capire il perché, prende il figlio Luca di 4 anni, esce di casa e lo posa in macchina, mentre il piccolo continua a dormire. Non fa in tempo a ritornare in casa per prendere in salvo gli altri, che un’esplosione disintegra tutto. Si innalzano le fiamme, portandosi con sé 32 vite. Marco perde la moglie e i piccoli, di cui si salva miracolosamente Leonardo. Marco resta gravemente ustionato sul 90% del corpo. Ma dopo un mese di coma, sei mesi di terapia intensiva e dopo 60 interventi, si salva.

 

Il dolore non mitigato dalla rabbia e dal desiderio di giustizia, stringe i familiari delle 32 vittime in un unico abbraccio, un’associazione “Il mondo che vorrei Viareggio”, di cui Marco è oggi presidente. L’obiettivo è ottenere giustizia.

 

 

La storia giudiziaria

Poco dopo si apre il processo. Ma sia il procedimento di I grado che quello di II si chiudono con le condanne dei vertici delle ferrovie. Il 18 luglio 2013 il Gup di Lucca, Alessandro Dal Torrione, decide per il rinvio a giudizio di 33 imputati, tra cui i vertici delle Ferrovie dello Stato. La data di inizio della prima udienza è fissata al 13 novembre 2013. Nonostante la richiesta fatta dai familiari delle vittime e dal sindaco di Viareggio, Leonardo Betti, lo Stato decide di non costituirsi parte civile al processo.

Il 31 gennaio 2017 il tribunale collegiale di Lucca ha emesso la sentenza di primo grado, condannando a 7 anni e 6 mesi di carcere Michele Mario Elia (nel 2009 amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana), a 7 anni di carcere Mauro Moretti (nel 2009 amministratore delegato di Ferrovie dello Stato) e a 7 anni e 6 mesi Vincenzo Soprano, ex amministratore delegato di Trenitalia e di FS Logistica. Tutti e 33 gli imputati sono accusati, a vario titolo, di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali.

 

Foto di Elena Torre (fonte Wikicommons)

 

La sentenza ha in parte ribaltato le richieste di condanna dei Pm, il cui impianto accusatorio attribuiva le principali responsabilità ai vertici delle ferrovie, per cui era stato chiesto fino al massimo della pena per i reati contestati (si parla di 16 anni). La corte lucchese ha ritenuto di disporre le pene più elevate ai responsabili di Gatx Rail e a quelli dell’officina Jungenthal, responsabili dei problemi di meccanica alla base dell’incidente.

La sentenza è stata confermata in appello il 20 giugno 2019, sebbene la procura generale di Firenze avesse chiesto la condanna a 15 anni e 6 mesi di reclusione. Moretti aveva rinunciato alla prescrizione scattata nel 2018 per i delitti di incendio colposo e lesioni personali colpose. Nel 2020 Moretti ricorre in Cassazione contro la condanna.

 

La sentenza della Corte di Cassazione dell’8 gennaio 2021

Pochi giorni fa, si arriva dunque all’ultimo atto in Corte di Cassazione. Questa, contro ogni previsione (o quantomeno contro la speranza di piena giustizia), a seguito dell’esclusione dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro, dichiara prescritti gli omicidi colposi e rinvia a un nuovo processo di appello l’accertamento delle responsabilità dei vertici delle ferrovie per il reato di disastro colposo.

Dopo 11 anni e mezzo, a caldo, l’esito di questa sentenza sembra far cadere ogni speranza. In realtà, nonostante le prime impressioni e i primi commenti rilevati dai familiari ma anche dalla stampa, la sentenza invita a diverse riflessioni. L’avvocato Filippo Antonini, avvocato di alcuni familiari delle vittime e del sindacato dei macchinisti, afferma: «Questa sentenza ha un doppio livello di lettura. Inoltre, l’accusa di disastro ferroviario rimane in piedi, e si tratta del reato più grave perché contempla una pena dai 5 ai 15 anni». L’avvocato spiega che l’impianto accusatorio, cioè quello che ha avuto la risultanza sia nella sentenza di I grado che nella sentenza di II grado e alla corte d’appello di Firenze ha retto, proprio perché sono state accertate tutte le responsabilità non solo dei tedeschi, ma anche delle ferrovie italiane, soprattutto dei loro manager.

 

Per la prima volta in Italia, spiega Antonini, sono state accertate le responsabilità dei manager di stato e non di aziende private e nei loro ruoli apicali. La sentenza, quindi va attentamente analizzata, in attesa delle motivazioni della stessa.

 

Quello che evince è che l’aggravante ex articolo 589 secondo comma del codice penale (violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) è stata esclusa dalla suprema Corte. Per effetto di questa esclusione, il reato di omicidio colposo plurimo è stato dichiarato estinto per prescrizione nei confronti di tutti gli imputati, eccetto per Mauro Moretti, avendo egli rinunciato alla stessa prescrizione in sede d’Appello.

Così come è vero che, per effetto di tale decisione, le società imputate, sia tedesche sia italiane, sono state assolte, ma se la sentenza applica la prescrizione per l’omicidio colposo plurimo, allo stesso tempo ribadisce sostanzialmente la responsabilità penale e civile dei singoli imputati, già riconosciuti colpevoli nei due giudizi di merito. Ovvero, è stata accertata la responsabilità penale degli imputati tedeschi e dei vertici aziendali delle società italiane coinvolte. Nello specifico delle singole posizioni, per tutti gli imputati tedeschi, tranne Lehmann (annullamento con rinvio per un nuovo giudizio), è stata confermata la condanna per disastro colposo.

Marco Piagentini, insieme a tutti gli altri familiari delle vittime e all’associazione che li unisce, ci tiene a sottolineare che «in questo momento, insieme ai nostri avvocati stiamo dando una lettura diversa alla sentenza, per scostarci dal momento caldo ed emotivo della prima lettura. Arrivavamo da un mese in cui, in attesa di questa sentenza, eravamo rimasti sospesi, eravamo presi da un’emotività che cresceva dentro di noi, che non poteva essere ignorata o cancellata dalla logica del ragionamento».

 

Tuttavia, aggiunge: «Chiaramente non pensavamo che l’aggravante dell’incidente del lavoro, che è stato l’architrave di tutto l’impianto accusatorio, potesse essere smontato così, oltretutto dopo due sentenze che l’avevano ampiamente confermato, motivandolo. Questa è stata la nostra più grande delusione».

 

Si resta in attesa ora delle motivazioni, che – come precisa ulteriormente Antonini – «ci daranno un quadro ben più chiaro di tutti questi rinvii dei profili di responsabilità non ci sono dei termini perentori, si parla più o meno di 30 giorni. Non credo ci siano poi tempi lunghissimi per un ritorno all’appello, anche perché su molti aspetti verranno determinate le pene».

Per Marco Piagentini il fatto che ci sia ancora un processo d’appello e successivo di Cassazione, dal punto di vista dell’associazione, presenta due aspetti. Uno di sicuro negativo: «Poiché non è stata riconosciuta l’aggravante sul lavoro, assolvendo le società di ferrovie e le società straniere da questo processo, si apre un passaggio grave e triste non per noi, ma per l’intero paese. Noi stiamo cercando di lavorare affinché che le norme del decreto 8108, norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, siano applicabili anche a luoghi come ferrovie, porti e luoghi di pesca, luoghi differenti da un’azienda normale, ma qualsiasi governo dal 2008 non è riuscito a fare nulla».

 

Marco è rammaricato perché in cuor suo, questa sentenza accelera un processo volto a eliminare le ferrovie dalle responsabilità sugli incidenti sul lavoro: «È il passaggio che ci ha ferito e colpito duramente. Si tratta di una battaglia politica, che il governo dovrà colmare».

 

L’altro aspetto, riguarda le condanne dei profili di manager importanti, in Italia si sa è difficile portare fino in fondo una battaglia nei confronti di chi ha poteri forti e mezzi economici maggiori. Dice Marco: «Questa battaglia è servita. Noi familiari e associazione vogliamo che passi questo messaggio, perché spesso nel nostro paese si dice “ma che lo fai a fare tanto in questo paese non cambia niente”, noi non accettiamo una frase così, è una battaglia che ha portato dei risultati importanti che non servono a noi, perché chi abbiamo perso non ci verrà mai restituito, ma serve a tutte le persone che affronteranno la giustizia anche su altre vicende».

L’associazione “il mondo che vorrei Viareggio” si è battuta da anni anche contro l’abuso della prescrizione. Marco fa riferimento a una legge approvata quest’anno che “stoppa” la prescrizione dopo il I grado: «Se fosse stata attuata prima, oggi non staremmo a parlare di prescrizione sull’omicidio colposo e su altri reati». Poi entra nello specifico: «Noi chiedevamo la cancellazione dell’istituto della prescrizione sui disastri colposi e disastri ambientali a partire dalla fine dell’indagine della procura. È stata fortemente voluta e ottenuta dai familiari, grazie al lavoro dell’associazione e di chi ci ha sostenuto, è stata chiamata “legge di Viareggio 2”».

 

La posizione delle istituzioni

Secondo l’avvocato Filippo Antonini lo stato ha lasciato soli i familiari da subito. Questo perché – come spiega l’avvocato – «le ferrovie sono al 100% a partecipazione statale, sia perché il ministero dei trasporti non si è mai costituito parte civile, sia perché in molte occasioni, la politica nazionale ha sempre assolto questi manager di stato promuovendoli all’interno dell’organigramma delle ferrovie; ricordiamoci, per esempio, che Moretti è passato da amministratore della Holding a essere amministratore di Leonardo».

Per Marco, anche nei confronti delle istituzioni, vanno fatte delle precisazioni. E, come ha accennato Antonini, anche Marco vuole fare una distinzione tra lo stato, che non si è mai fatto sentire vicino alle famiglie, e le istituzioni locali, come la provincia di Lucca e la regione Toscana, sempre a fianco dei familiari delle vittime, ancora oggi parti civili. Lo stato italiano, invece, non ha voluto mai dichiararsi parte civile. Al riguardo, diversi passaggi hanno particolarmente colpito Marco.

Nel lontano 2009 l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si reca ai funerali di stato delle vittime della strage di Viareggio. Marco ricorda che fa anche visita al figlio Leonardo ricoverato in ospedale e riceve in dono da lui un disegno. Ma durante il discorso di fine anno alla nazione del 31 gennaio 2009, l’ex Presidente non fa alcun cenno a quello che è il più grande disastro ferroviario in cent’anni di storie delle ferrovie. Primo cenno di uno stato lontano da ciò che era accaduto e dai familiari delle vittime.

 

 

Foto di Luca Ramacciotti (fonte Wikicommons)

 

Un secondo passaggio abbastanza doloroso, a dimostrazione che le parole non sempre combaciano con i fatti, si verifica quando Moretti nel 2010 è nominato Cavaliere del lavoro, nemmeno un anno dopo dalla strage. Un terzo passaggio triste «dimostra la banalità del male», racconta Marco: «Quando l’amministratore delegato Moretti va davanti alla commissione al Senato, l’organo istituzionalmente più alto, pronuncia le parole “spiacevolissimo episodio”. Si tratta di due parole spese da un professionista e suonano così fuori luogo. Non pronuncia neanche “incidente”, che avrebbe almeno significato assumersi delle responsabilità. Mi sarei aspettato dai senatori che erano lì a sentire queste parole, delle contestazioni. Anche qui abbiamo sentito una nuova ferita e nuovo distacco da parte dello stato».

Per Marco l’errore ancora più grande da parte dello stato è quello di ritirarsi all’inizio del processo da parte civile: «Al di là di stare affianco ai familiari, cosa che sembrava giusta, lo stato doveva stare in quel processo non tanto per noi, ma perché attraverso i legali, attraverso i propri periti, doveva e poteva capire, approfondire e comprendere quello che è un sistema ferroviario e il livello di sicurezze di quest’ultimo». Inoltre – aggiunge – «ci sono stati tre anni e mezzo di I grado e aver avuto, secondo me, la voce dell’avvocatura di stato che prende atto delle condizioni delle ferrovie era un passaggio doveroso».

Marco ricorda anche quando il ministro dei trasporti, alla pubblicazione delle richieste di condanna del Pm di I grado, dice durante una trasmissione che solo per Moretti la richiesta di condanna a 15 anni era una richiesta “spropositata”. Qualcosa cambia con il ministro di giustizia Bonafede: «Era venuto già prima di essere ministro e poi da ministro, ha continuato a stare a fianco ai familiari ed è colui che ha promosso e portato avanti la legge sulla prescrizione di cui parlavo. Quindi a un certo punto possiamo dire che lo stato si è scusato ma penso che sia facile prima dare uno schiaffo e poi scusarsi», afferma Marco.

Ora bisogna aspettare le motivazioni, che non arriveranno prima di tre mesi. Conclude: «Aspettiamo le motivazioni della cassazione per comprenderle bene e poi affronteremo l’appello e la cassazione nuovamente, mettendo con l’associazione a disposizione degli avvocati i periti come abbiamo sempre fatto in tutti questi anni, mettendo tutte le energie e le risorse che abbiamo per poter portare a galla la verità e per farla emergere in tutti i suoi aspetti e poi scrivere la parola giustizia davvero con la G maiuscola». Marco si augura solo questo.

 

Foto di copertina dal profilo Flickr dell’utente rabendeviaregia