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Peterloo: “Ye are many”

Il 16 agosto 1819 una pacifica adunanza di massa a Manchester, Saint Peter’s Field, che chiedeva la riforma elettorale fu aggredita dalla milizia cittadina borghese e dal XV Ussari reali, con un pesante bilancio di morti e feriti. Fu chiamato Peterloo, come Waterloo quattro anni prima, un atroce episodio di guerra civile. Mike Leigh ne ha tratto un film appena uscito in Italia.

Dopo la fine delle guerre napoleoniche si era aperto per l’Inghilterra un periodo di carestia e disoccupazione, aggravato dall’introduzione del Corn Laws, un sistema di dazi sul grano che favoriva i coltivatori locali con l’aumento dei prezzi a scapito dei salari operai e in parte degli stessi industriali. Una frazione di questi, soprattutto a Manchester, la capitale del tessile, partecipò ai movimenti di protesta e cercò di mantenere i profitti rivalutando i magri salari con la diminuzione del prezzo del grano e deviando la rabbia popolare sull’ingiusto sistema elettorale – di qui la battaglia contro le Corn Laws e per la riforma elettorale. Per la massa operaia che sostenne la lotta si trattava soprattutto di ottenere lavoro e maggior reddito. All’insanguinato comizio di Saint Peter’s Field il 12% – cifra inaudita per l’epoca – erano donne, operaie tessili o mogli e madri di lavoratori. Una delle vittime, John Lees, era un reduce di Waterloo e presumibilmente molti degli Ussari venivano da quel campo di battaglia. I giornalisti fecero presto a coniare il termine di “Peterloo”.  La milizia, che caricò la folla dopo essersi ubriacata ed ebbe le maggiori responsabilità nell’eccidio, era foraggiata dai grandi imprenditori e formata da padroncini, bottegai e piccoli agricoltori beneficiari delle Corn Laws, una mafia a cavallo in pratica.

Subito dopo governo e parlamento risposero con la più feroce repressione, arrestando e condannando i promotori della manifestazione nonché i giornalisti che ne avevano parlato indignati (lì e allora nacque il “Guardian”) e limitando ulteriormente la libertà di associazione e di riunione. Ma non era soltanto uno scontro sui diritti civili e politici, fra un’aristocrazia ottusa e feroce e una coalizione di (molti) proletari e (pochi) borghesi liberali.

 

 

Lo comprese il grande poeta Percy Bysshe Shelley, che non scriveva soltanto odi al vento occidentale e alle allodole, ma si impicciava attivamente nelle vicende del suo tempo (e a buon diritto il suo cenotafio sta, vicino alla tomba di Gramsci, nel cimitero acattolico di Testaccio) e attaccò furiosamente la classe dirigente inglese nella sua Mascherata dell’anarchia. La vantata libertà inglese non era che schiavitù del proletariato e «lavorare e avere una paga tale /appena da menare la vita /giorno per giorno nelle vostre dimore, /come in una cella /per lasciare gli agi ai tiranni», è soffrire la fame, mentre «lo Spettro dell’Oro /prende dal Lavoro mille volte /più di quanto mai poté la sua ricchezza/ nella tirannide d’un tempo». Che la “prostrata moltitudine” si ribelli, allora! «Levatevi come leoni dopo il torpore /in numero invincibile, /fate cadere le vostre catene a terra /come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi. /Voi siete molti, essi sono pochi».

“Ye are many – they are few”. Sono le parole d’ordine che Jeremy Corbyn ha fatto mettere a grandi lettere nel nuovo Manifesto laburista.

Anni dopo alcuni feriti cercarono di ottenere giustizia e citarono in giudizio alcuni ufficiali della milizia. La corte d‘assise di Lancaster li assolse nell’aprile 1822, ritenendo che le loro azioni fossero giustificate per disperdere una riunione illegale. Insomma, direbbe il nostro Senato giallo-verde, avevano agito nell’interesse superiore e insindacabile dello stato. Scuse già sentite…

Venti anni dopo arrivò a Manchester, per un tirocinio nella fabbrica tessile paterna, un certo Friedrich Engels e comincerà un’altra storia.

 

Mike Leigh

Mike Leigh ha narrato queste vicende nel 200° anniversario della carneficina con grande originalità e piena padronanza di uno stile epico che non conoscevano nelle sue corde, mentre l’aderenza ai paesaggi e ai dettagli della vita popolare, con luci fredde negli esterni e fioche negli interni, non sorprende nel regista di Turner. Due grandi scene di massa inquadrano il film: in apertura la battaglia di Waterloo nel fumo e nel fango, in sottofinale il comizio, le cariche e il massacro di Peterloo in una giornata di sole. Le unisce il soldato Joseph (il John Lees storico), il trombettiere traumatizzato sui campi belgi, che traversa durante il viaggio di ritorno le lande inglesi sotto le nuvole e in quei campi viene seppellito nel cupo finale. Ma in quel percorso incontra i many, la madre, i bambini, operai e operaie delle filande, agitatori politici, altri oppressi e poveri come lui. E il film mostra in contrappunto i few, ministri e militari di alto rango, ipocriti o distratti, gli ingordi proprietari di Manchester che richiesero la strage e i magistrati che l’ordinarono, l’ipocrita ministro di polizia Sidmouth che finse di rammaricarsene («Sidmouth on a crocodile rode by»), il flaccido reggente che se ne congratulò in stile “la pacchia è finita”. Ma anche i vaniloqui dei vanitosi capipopolo liberali, con le loro arringhe fiorite e sconnesse dalla realtà dello sfruttamento e della miseria. La “pancia” c’è, ma è quella dell’avidità della classe dirigente e della fame dei poveri, non quella della retorica e del sensazionalismo, che viene con cura evitato e decostruito, in un continuo gioco di specchi e di alternanza fra primo piano e sfondo, in un lucido ricorso all’argomentazione razionale e alla denuncia degli interessi sottostanti a opinioni e decisioni. Un’opera corale senza protagonisti ed eroi, che si chiude sobriamente sul seppellimento di Joseph, morto dopo due settimane di agonia.

Mike Leigh ha dichiarato in un’intervista al “Manifesto” di aver voluto mostrare «le forze della repressione messe a nudo» attraverso una storia mai prima narrata al cinema e censurata anche nelle scuole, una storia che è ben lungi dall’essersi esaurita, come dimostrano l’elezione di Trump, la Brexit e anche le recenti vicende italiane. «You only have to look at the things that are still happening today», ha ribadito il regista in un’altra intervista. Chi non ha pensato a Genova vedendo quelle cariche?

Leigh ha voluto che questo messaggio non fosse esplicito, gridato, ma scaturisse da un giudizio informato dello spettatore. E c’è riuscito molto bene, smontando il discorso politico dei reazionari e dei liberali borghesi alla luce della condizione operaia reale, enfatizzando i vuoti di comprensione delle parole dei riformatori quanto l’orrore di quelle dei governanti – siano i commenti dei ministri e degli industriali o la lettura dal balcone del Riot Act che segna l’inizio formale della strage. Raramente la performatività delle parole è stata esibita con tanta chiarezza. Una lezione per l’Italia farneticante e tutta “comunicativa” di oggi e per gli Usa appesi ai tweet di Trump.