ITALIA

«Interrompere il blocco delle navi». Un appello delle Ong attive nel Mediterraneo

Un comunicato congiunto Sea-Watch, Open Arms, Medici senza Frontiere e Mediterranea per chiedere di poter continuare a compiere salvataggi nel Mediterraneo, proprio nel giorno in cui si commemora la strage di Lampedusa del 2013 (368 morti)

Il 3 ottobre è la giornata nazionale della Memoria e dell’Accoglienza: una ricorrenza istituita quattro anni fa e che commemora il naufragio del 2013 al largo di Lampedusa in cui morirono 368 persone. Bambine e bambini, donne, uomini che avevano deciso di attraversare il Mediterraneo per autodeterminare le proprie vite e il proprio futuro.

Pubblichiamo di seguito un comunicato congiunto Sea-Watch, Open Arms, Medici senza Frontiere e Mediterranea:

 

3 Ottobre 2013/2020 nel Mediterraneo: “Salvare vite non è un optional”

 

IL GOVERNO ITALIANO INTERROMPA IL BLOCCO DELLE NAVI CHE SOCCORRONO

 

Le 200 persone – donne, uomini e bambini – che hanno perso la vita annegando in mare secondo l’ultimo rapporto di Alarm Phone sono la terribile dimostrazione che nel Mediterraneo Centrale si continua a morire, nella totale indifferenza di governi e istituzioni. Nella stessa settimana, sono emerse le proposte del nuovo Decreto sull’Immigrazione in Italia e del nuovo Patto europeo sulla migrazione, che non ha fatto alcun passo verso gli obblighi del soccorso in mare, sottoscrivendo invece la strategia italiana del blocco delle navi della società civile.

Sette anni dopo la strage di Lampedusa, il Mediterraneo resta uno dei più grandi cimiteri al mondo, a nulla vale la presenza, fino nella rada del porto di Tripoli, di mezzi militari italiani ed europei ad evitarlo. A nulla il fatto che i voli di ricognizione aerea dell’Agenzia Frontex e di Eunavformed siano in grado di controllare ogni movimento che avviene dalle coste della Libia, di fatto facilitando il respingimento illegale delle persone per procura. A nulla valgono gli imbarazzanti tentativi, nonostante i pareri contrari delle Nazioni Unite e le prove raccolte da Amnesty International e molti altri, di far passare la “Guardia Costiera Libica” come una legittima autorità in grado di soccorrere nel rispetto della vita e della dignità umana:  sappiamo  tutti   che   non  soccorre,   ma  cattura   e  riporta   forzatamente  nei  centri   di   detenzione   in   Libia   tutti coloro che si mettono in mare per fuggire a schiavitù, torture, violenza e sfruttamento.

Per   queste   ragioni, l’assurdo tentativo, operato attraverso un accanimento amministrativo di dubbia legalità e di sicura illegittimità, di bloccare ogni assetto di soccorso civile in mare da parte del Governo italiano, appare ancora più grave. La   pratica   del   soccorso   civile   si   è   resa   in   questi   anni   necessaria   a   fronte   della   colpevole   assenza   delle   istituzioni europee con decine di migliaia di vittime accertate e il ripetersi di stragi assolutamente annunciate.

 

Perché dobbiamo continuare ad assistere a questa vergogna? Perché ci viene impedito di reagire con dignità e umanità tentando di soccorrere quanti più esseri umani possibile?

 

Come organizzazioni di soccorso impegnate nel Mediterraneo, vogliamo solo che le persone non siano abbandonate al loro destino in mare, come previsto da Convenzioni internazionali sottoscritte anche dall’Italia. Vogliamo che la vita umana possa valere di più di ogni altra cosa. Vogliamo esercitare il nostro diritto ad essere solidali, in mare come a terra, verso chi chiede aiuto. Bloccare, con pretesti tecnico-burocratici, tutte le navi del soccorso civile e i mezzi aerei di monitoraggio mette il Governo italiano in una posizione che contraddice quei principi di legalità e umanità che i suoi ministri dichiarano davanti al Paese.

Chiediamo   un   confronto   serio   con   il   Governo   italiano,  senza   negare   la   complessità   della   situazione   dovuta   alla pandemia e alla posizione geografica dell’Italia. Siamo convinti che su tutto si possano trovare mediazioni, ma non sulla vita delle persone e sul soccorso, al quale tutti hanno diritto.

 

Chiediamo:

1. Il riconoscimento istituzionale, non solo a parole ma attraverso una pratica sottoscritta dai Ministeri competenti, del valore e dell’obbligo della necessità del soccorso in mare;

2. la fine del blocco delle navi e degli aerei delle organizzazioni della società civile europea;

3. l’immediata assistenza e assegnazione di un porto sicuro entro le 24 ore per tutti i mezzi navali che si trovassero a operare soccorsi in mare, al di là della loro classificazione – come previsto dalla Convenzione per il soccorso in mare nella dicitura “senza ritardo alcuno”-, con procedure sanitarie chiare e uguali per tutte.

4. la riattivazione di un meccanismo europeo per la salvaguardia della vita in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale.

 

Pozzallo, 2 Ottobre 2020