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«State con noi o con i jihadisti?». La comandante Ypj Dalbr Jomma Issa a Montecitorio

A Roma conferenza stampa della comandante curda, che lancia un appello alla comunità internazionale per un intervento risoluto in Rojava: «L’attacco di Erdogan sta colpendo in maniera indiscriminata militari e civili e potrebbe aprire le porte a un secondo Califfato».

La fiducia nella propria forza rimane. È quella che ha permesso ai combattenti curdi e alle combattenti curde dello Ypg e Ypj di resistere all’avanzata dell’Isis nel nord della Siria ed è quella che, ancora, riunisce i popoli dell’area nel tentativo di costruire una nuova società.

«Crediamo nel coraggio e nella forza delle nostre unità e siamo convinti di poter contrastare sul terreno gli attacchi della Turchia», dice la comandante delle Ypg Dalbr Jomma Issa durante la conferenza stampa che si è tenuta a Montecitorio stamattina a cui hanno partecipato anche il membro del consiglio esecutivo della federazione della Siria del nord Ahmad Yousef e il presidente della regione dell’Eufrate ed ex-sindaco di Kobane Anwar Muslem. «Ma il problema sono gli attacchi aerei, non abbiamo mezzi per fermarli. E, fino a ora, l’offensiva del regime di Erdogan si sta concentrando appunto sui bombardamenti delle città al confine settentrionale».

Dopo le dichiarazioni del “Sultano” alle Nazioni Unite e l’approvazione da parte del parlamento turco (con il solo voto contrario dell’Hdp), ma soprattutto in seguito al “beneplacito” di Trump che ha ritirato le proprie truppe dal nord della Siria, è iniziata ieri pomeriggio l’operazione “Sorgente di Pace”. Un nome (che fa eco al “Ramoscello d’ulivo” del 2018) dai riferimenti tutt’altro che bellicosi, ma sotto al quale sono evidenti le intenzioni di completa destabilizzazione dell’area.

«Stanno colpendo anche la popolazione civile», prosegue la comandante mostrando alla sala delle prove fotografiche. «La situazione diventa ancora più esplosiva se pensiamo che sono presenti sul territorio circa 12.000 prigionieri di Daesh, che non sappiamo quanto possiamo tenere sotto controllo se l’offensiva dovesse continuare. Alcuni di loro sono foreign fighter, sulla cui sorte chiediamo da tempo che si esprimano gli organismi internazionali. Se dovessero tornare in libertà, potrebbero facilmente muoversi fra i vari confini arrivando magari in Europa. Non è un problema solo nostro: rappresentano una minaccia per tutto il mondo».

 

E il tema, almeno dalla prospettiva di questo appello da parte delle combattenti curde di fronte alla politica e alla stampa italiana, è appunto quale sia la responsabilità e quale dovrebbe essere il ruolo della comunità internazionale nella “crisi” che si è aperta in Rojava.

 

Senza che nessuno si fosse fatto illusioni, gli Stati Uniti di Trump hanno dimostrato pochi scrupoli nell’abbandonare i curdi al proprio destino. «L’esercito degli Usa si è ritirato dalle basi poste sul confine per lasciare spazio di manovra alla Turchia», spiega sempre la comandante Ypj. «Quando, con le Forze Democratiche Siriane, abbiamo formato una coalizione per combattere l’Isis avevamo un accordo: dovevamo difendere insieme le postazioni e i territori liberati. Invece Trump si è ritirato e l’unica azione che ha dichiarato di voler intraprendere è quella di ritorsioni economiche nei confronti della Turchia. È qualcosa che magari può anche funzionare nel lungo periodo, ma per noi è necessario fermare questo attacco ora e subito. Ripeto: il nostro principale problema è che siamo sprovvisti di contraerea e l’esercito di Erdogan sta bombardando i nostri territori. Gli Stati Uniti potrebbero magari fornirci gli strumenti per contrastare queste operazioni, ma significherebbe implicitamente condannare le azioni di Erdogan. Non credo dunque che lo faranno».

Nel complicato scacchiere siriano sembra dunque difficile per i curdi capire di chi potersi fidare in questo momento. Sebbene pare ci siano state aperture da parte di Damasco verso una possibile alleanza contro l’offensiva di Erdogan, la comandante non lascia molto spazio a una tale prospettiva:

 

«È chiaro che siamo in contatto con il regime siriano. Ma loro vogliono ritornare alla situazione di undici anni fa, mentre per noi è fondamentale invece che si vada verso uno stato siriano democratico e federale. Altrimenti, vorrebbe dire affossare il progetto che abbiamo portato avanti fino a questo punto».

 

Ciò che sta accadendo in Rojava non riguarda solo i popoli che abitano e combattono in quell’area, dai curdi agli arabi, ai circassi. Daesh e il fondamentalismo islamico hanno colpito e continuano a colpire dovunque, mettendo in pericolo non solo la vita di molte persone ma anche gli stessi principi per una convivenza democratica e per uno sviluppo sociale e politico tanto in Medio Oriente quanto in Europa (la quale, ricordiamo, se da una parte condanna timidamente le azioni di Erdogan, dall’altra continua a stringere accordi con lui per “bloccare” i profughi siriani sul suo territorio).

 

Ypg e Ypj sono state le uniche forze capaci di combattere il fondamentalismo. E lo hanno fatto sia sul piano militare che su quello delle idee: il progetto del confederalismo democratico parla infatti a tutti, rappresenta la concreta utopia di un nuovo mondo possibile, diverso e più inclusivo.

 

«Non abbiamo idea di quanto durerà l’attacco di Erdogan», conclude la comandante delle Ypj Dalbr Jomma Issa, «ma sappiamo che così c’è il rischio di un “secondo Califfato”. La comunità internazionale potrebbe istituire una No Fly Zone nel nord della Siria oppure portare le proprie forze di interposizione nei territori che ora sono sotto i bombardamenti. Il Presidente turco vuole portare sotto il proprio controllo l’intera area del nord della Siria e per farlo sta uccidendo indiscriminatamente militari e civili. In più, non è un segreto che si serva anche delle cellule dormienti di Daesh presenti nella zona. Mi chiedo come sia possibile che venga concesso a un membro della Nato di agire in questa maniera. Chiediamo che la comunità internazionale, i governi dei vari paesi e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intervengano subito. State con noi o con i jihadisti?».

A noi la risposta.