ITALIA

Il sistema Studio 100 Tv

I trucchi finanziari dell’editore che non reggono alle prove dei giudici. I contributi pubblici per l’editoria percepiti indebitamente. Giornalisti lasciati senza stipendi e gravati da irregolarità contributive che hanno omesso di denunciare. I finanziamenti venuti a mancare dai grandi gruppi industriali come l’Ilva e i soldi in constante diminuzione dai leader politici locali per le campagne elettorali. Ecco come fallisce nel Meridione d’Italia un gruppo radio-televisivo.

In contrada Feliciolla, a Statte, stretto tra la zona industriale e la città di Taranto, c’è il quartier generale dell’impresa dei fratelli Giancarlo e Gaspare Cardamone. Qui dentro, fino all’estate del 2012, facevano la spola in cerca di maggiore visibilità i manager di grossi gruppi industriali italiani, Edison, Eni, Italcementi, e Ilva, su tutti; talvolta, facevano capolino negli studi e nelle trasmissioni televisive anche i vertici locali delle forze dell’ordine, alti prelati, alcuni magistrati in carriera, e, soprattutto, i politici locali in ascesa.

Erano gli anni in cui il progetto della classe politica pugliese di “unire” le province di Brindisi, Lecce e Taranto nell’operazione “Grande Salento” ebbe come principale effetto l’espansione territoriale e finanziaria del gruppo editoriale che faceva capo ai fratelli Cardamone. I quali allora risultavano proprietari dell’emittente radio-televisiva Studio 100 (oltre che di altri emittenti quali Studio 100 sat, Puglia Channel, Bs Television, Radio Taranto Stereo).

Il modus operandi degli imprenditori – editori tarantini, specialmente nel rapporto con i potentati economici locali, fu svelato qualche anno fa dai magistrati della Procura di Taranto, quando venne fuori la maxi inchiesta per il disastro ambientale causato dall’Ilva.

Tra le carte giudiziarie alla base del processo che poi ne è seguito, e che tuttora è in corso, dell’editore Gaspare Cardamone (che non è mai stato indagato) così si racconta in un’informativa della Guardia di Finanza: «Dalle attività tecniche emerge che l’Ilva ha commissionato ad un’agenzia pubblicitaria degli spot (al costo di 120.000 euro) che verranno trasmessi dal network dei fratelli Cardamone.

Appare chiaro che il pressing effettuato da Gaspare Cardamone abbia sortito gli effetti desiderati in quanto evidentemente ha avuto una grossa commessa pubblicitaria da parte dell’Ilva».

Riferivano i finanzieri: «La stessa Ilva, come ritorno, saprà di non avere attacchi mediatici ed anzi potrà sfruttare i predetti media attraverso una campagna di comunicazione tesa a ridimensionarne la figura (di Ilva) agli occhi dell’opinione pubblica». E poi ancora: «In ogni caso si ritiene che il contratto pubblicitario rappresenti soltanto un escamotage per mascherare la dazione di denaro di Ilva nei confronti del network dei fratelli Cardamone, per ottenerne, cioè, una linea editoriale favorevole».

Più in generale, anche i giudici certificarono come «fosse consuetudine dell’Ilva stanziare cospicue somme di denaro per controllare e orientare a proprio favore l’informazione locale sulle questioni che riguardano l’inquinamento ambientale provocato dalla propria produzione industriale».  Da allora, però, sarà un caso, il network radio-televisivo dei Cardamone entra, progressivamente, in crisi finanziaria, anche in considerazione del fatto che cominciano a diminuire le entrate provenienti dalla classe politica locale, la quale comincia ad affidarsi in misura minore alle tv per le proprie campagne elettorali.

 

Fino a quello che accade qualche giorno fa, quando i giudici della sezione fallimentare del tribunale di Taranto, Anna de Simone (presidente) Italo Federici e Remo Lisco hanno decretato, in pratica, il fallimento della società Mastermedia Club Srl che deteneva, di fatto, la proprietà di uno dei più grossi gruppi radio-televisivi del Sud Italia.

 

Nella sentenza, di cui Dinamopress è in possesso, i giudici ricostruiscono la storia di come è stata gestita negli ultimi anni l’emittente studio 100, specializzata nella diffusione radio televisiva e digitale di programmi di intrattenimento, pubblicità, e informazione; attività, quest’ultima, svolta attraverso l’omonima testata giornalistica.

Una realtà editoriale che ora deve cinque milioni di euro alle casse pubbliche perché non avrebbe potuto beneficiare dei contributi pubblici per l’editoria negli anni 2015, 2016, 2017, «a causa di una consistente situazione debitoria nei confronti dello Stato e del DURC». Dunque per le gravi irregolarità contributive e gli inadempimenti finanziari commessi nei confronti dei suoi 26 dipendenti, la testata giornalistica non avrebbe potuto ricevere i contributi pubblici destinati all’editoria, e, si spera, dovrà restituirli. Già nel febbraio scorso alla società dei Cardamone erano stati sequestrati dal tribunale di Taranto 900.000 euro. Ora, però, la sezione fallimentare dello stesso tribunale, con la sentenza già richiamata, ha dichiarato «il fallimento della società di fatto costituita tra la Jet Srl e la Mastermedia Club Srl, nonché, in estensione, anche di tale ultima società nella persona del suo legale rappresentante, e inammissibile la richiesta di estensione del fallimento nei confronti di Cardamone Gaspare».

 

I fatti raccontati nella sentenza dicono oggi che i trucchi finanziari architettati dall’editore, in questi ultimi anni, non hanno retto alla prova dei giudici fallimentari.

 

Ovvero, l’editore Cardamone fallisce nel 2017 con la società Jet Srl allora proprietaria di studio 100. E che fa Gaspare Cardamone per salvare se stesso e il network televisivo? Vende a se stesso, ovvero alla Mastermedia Club Srl, società di cui è principale azionista, in tal modo continuando a incamerare i contribuiti pubblici per l’editoria. Attraverso «uno schema della cessione che è in frode alla legge», scrivono i giudici di Taranto motivandone il fallimento. Perchè, in sostanza la cessione sarebbe servita a occultare i debiti verso l’erario, i contributi, le ferie non pagate, i tfr dei 26 dipendenti.

Quel che è persino peggio è quello che oggi ricorda Andrea Lumino, segretario provinciale della Flc Cgil. Dice Lumino: «Quando SLC CGI e Assostampa sollevavano dubbi e perplessità sulla vicenda, c’era chi correva dietro al padrone e chi faceva appelli pubblici contro i sindacati che volevano vedere le cose chiare, tutto qui, giusto per ricordare le cose come stanno, adesso pensiamo a tutelare le persone». È lo sfogo del sindacalista.

Il riferimento, qui, è a un comunicato stampa diffuso dai dipendenti di Studio 100 all’inizio di quest’anno, in cui i lavoratori se la prendevano effettivamente con i sindacati. In tal modo: «Spiace rilevare un certo accanimento mediatico che, alla fine, crea disturbo in chi continua a lavorare tutti i giorni per l’emittente e, al tempo stesso, sfiducia nella affezionata clientela che continua a credere e investire in essa». Perché, scrivevano in una nota congiunta i 26 dipendenti:  «Lo sforzo che chiediamo a tutti in questo momento è proprio quello di lavorare insieme affinché Studio100 resti, come detto, quella voce tradizionale e storica della informazione territoriale per le province di Taranto e Brindisi e per la regione Puglia».  Ecco, spiegato, dunque, cos’è il sistema studio 100, e come fallisce un network di informazione, per colpe imputabili alla direzione, certamente, ma anche riferibili al contesto territoriale e professionale in cui ci si trova a operare.