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“Si muove qualcosa che non vedevamo da tempo”. Sciopero generale contro Milei in Argentina

Centinaia di migliaia in piazza ieri per il primo sciopero generale contro le politiche di Milei, nello specifico la Ley Omnibus e i decreti di necessità e urgenza che privatizzano tutto il settore pubblico e attaccano i diritti del lavoro. Foto e cronaca da Buenos Aires

“Da qualche settimana si muove qualcosa che non vedevamo da tempo… almeno dalla lotta contro la riforma delle pensioni del 2017”, racconta Pablo, ricercatore in storia presso l’Espacio Memoria y Derechos Humanos, istituito per ricordare e investigare i crimini della dittatura militare, responsabile delle migliaia di desparecidos e dei terribili vuelos de la muerte. Sotto il sole cocente, sono più di mezzo milione gli argentini riunitisi per protestare nel centro di Buenos Aires in occasione dello sciopero generale contro il “Decreto Necessità e Urgenza” e la “Legge Omnibus”, le prime misure della “terapia shock” annunciata da Javier Milei per ottemperare alle richieste del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

La piazza di oggi, si sente mormorare prima ancora di raggiungere il concentramento, è “moltitudinaria”. Convocato dalla Confederación General del Trabajo – da alcuni considerata troppo accondiscendente durante l’ultimo governo, guidato dal peronista Alberto Fernández – lo sciopero si è esteso su scala nazionale, con alta adesione e iniziative in tutte i centri principali, ma ha anche sconfinato le frontiere del lavoro salariato tradizionale, rappresentato dal sindacato.

Dalle femministe di Ni Una Menos agli attivisti ecologisti, passando per la galassia delle organizzazioni dei piqueretos, l’economia popolare e il Movimiento de las Empresas Recuperadas, la società argentina sembra essersi messa in movimento. Da giorni musei, centri culturali e ristoranti della capitale espongono cartelli che anticipano la chiusura e invitano alla mobilitazione.

Le serate queer del quartiere Almagro si aprono e si chiudono con appelli alla convergenza delle lotte: nei bar non si parla d’altro. Per Gustavo, lavoratore di un ospedale privato, “non si tratta soltanto di battersi per difendere i diritti dei lavoratori più protetti, come i camionisti”, particolarmente visibili e rumorosi tra le fila della CGT. Si tratta anche di rivendicare un salario degno per tutti coloro che sono stati considerati ‘essenziali’ durante la pandemia, ma di cui i governanti si sono presto dimenticati”. Per questo, e per rifiutare di “svendere la patria ai privati”, come canta una parte della folla, in tanti come lui sono scesi in strada durante il discorso con cui Milei ha annunciato il suo “piano di aggiustamento finanziario”, disturbandolo con decine di cacerolazos (concerti di pentole) organizzati dalle assemblee dei diversi barrios della metropoli rioplatense.

Nonostante il riflesso abbagliante dei caschi della polizia antisommossa, disposta a protezione del Congresso, la manifestazione sfila pacifica sulla Avenida de Mayo, in un clima determinato e gioioso. La accolgono molteplici striscioni, tra i quali spiccano, per numero e colore, quelli dei panaderos (i panettieri) e delle lavoratrici del settore alimentare. Gli impiegati ministeriali abbandonano gli uffici per unirsi alla piazza e i negozi abbassano a poco a poco le serrande in segno di adesione. Mentre giunge la notizia che oltre duecento voli aerei sono stati cancellati grazie allo sciopero, fuochi artificiali, trombe e dozzine di tamburi scandiscono il ritmo della marcia.

“Abbiamo bisogno della solidarietà internazionale”, e in primo luogo di quella “latino-americana”, insistono alcuni operai del settore portuale. Durante il comizio conclusivo, le persone non smettono di affluire, e bloccano, a dispetto dei ripetuti richiami dei dirigenti sindacali e degli interventi delle forze di sicurezza, lo scacchiere di strade e viali del centro della capitale. A metà pomeriggio, cortei spontanei si diramano in varie direzioni dalla piazza del Congresso, segnando la fine della manifestazione. C’è chi rientra a casa e chi vuole continuare festeggiando nei parchi della zona.

“La situazione era davvero dura, e ho pensato che Milei potesse rappresentare qualcosa di nuovo”, ammette Emiliana, che si trova senza fissa dimora da ormai tre anni. “Ma oggi sono qui, perché questi non hanno attaccato la casta: vogliono la dittatura dei grandi sui piccoli”. “Esatto, bisogna cacciarli tutti, questo è solo il primo passo”, gli fa eco Pablo, sorseggiando un caffè. Ora la palla passa ai deputati, che discuteranno la legge in seduta plenaria. In piazza, invece, si parla già di nuove giornate di lotta per resistere alla “motosega” anarco-liberale del loco divenuto presidente.

Tutte le immagini dal corteo di Buenos Aires di Matteo Polleri