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Santiago Maldonado: perché siamo di fronte ad un crimine di Stato

A fine novembre, il giudice federale Gustavo Lleral ha deciso di chiudere il processo relativo alla desaparición forzata di Santiago Maldonado e di assolvere l’unico gendarme imputato nella causa, il tutto dopo aver comunicato alla madre del ragazzo di essere stato vittima di una estorsione.
Secondo quanto sostiene il giudice, non vi è alcuna connessione diretta tra la violenta repressione esercitata dalla Gendarmeria contro la comunità Mapuche e la successiva scomparsa e morte di Santiago. «Questo fatto dimostra nitidamente che ci troviamo di fronte ad un crimine di Stato», ha affermato la famiglia del ragazzo, avvertendo che impugnerà la sentenza del giudice.
In questo articolo “Lavaca” ripercorre le principali irregolarità e incongruenze di un’indagine che fin dal principio, 1 agosto 2017, ha visto una forte ingerenza dello Stato, principale accusato e responsabile, nell’occultare i fatti, travisare l’indagine e screditare costantemente la famiglia.

Alle 9:27 del 28 novembre il giudice federale di Rawson, Gustavo Lleral, ha chiamato Sergio Maldonado comunicandogli la decisione di chiudere la causa relativa alla scomparsa forzata del fratello. Sergio, per informare l’opinione pubblica della decisione del giudice, ha pubblicato un video dove assieme alla sua avvocatessa cercano di commentare l’inspiegabile: la decisione di un magistrato che, a quanto sostiene la famiglia di Santiago, afferma di essere ricattato, di subire continue minacce per chiudere il prima possibile un caso che ha commosso il paese intero. «Che rimane se non la paura?», domanda Sergio rivolgendosi alla telecamera. «Se un giudice dice di aver subito una estorsione, cosa resta ai familiari? Cosa resta ad Andrea, la mia compagna, a Veronica, e a me, che da anni siamo in prima linea e visibili in questa lotta per la giustizia, se non paura per tutta questa impunità garantita dalla giustizia? Chiediamo il sostegno delle organizzazioni dei diritti umani».

La famiglia ha reso noto che Llerar si è sentito telefonicamente con Stella Peloso, madre di Santiago prima di rendere nota la sua decisone: «La chiamo per prima affinché non riceva la notizia dai notiziari». Queste le sue parole.

La famiglia ha rivelato le parole esatte del giudice federale

  • «Sono stato ricattato»
  • «Io e la mia squadra siamo stretti in una morsa asfissiante per chiudere il prima possibile la causa».
  • «Per questo sono costretto a fare ciò».
  • «Non sa tutto il lavoro che abbiamo svolto io e il mio gruppo».
  • «I fatti non costituiscono reato».
  • «Spero che ora trovi la tranquillità per elaborare il lutto».

Stella lo incalzo domandandogli se per la morte del figlio fosse già stato arrestato qualcuno. Per ora no, è stata la risposta del giudice federale Lleral. «Non troverò pace finché non sarà fatta giustizia», risponde Stella.

In una intervista su Radio Mitre, rilasciata questa mattina, il giudice ha smentito questa conversazione. «Questo cosa significa che Stella ha mentito, che si è inventata tutto? Ancora una volta si vuol screditare la famiglia? In che modo può aver ottenuto queste informazioni se non direttamente dal giudice?». La notifica è arrivata all’avvocata alle dieci del mattino. In quel momento ha saputo che il giudice Lleral aveva deciso di unificare la causa per desaparición forzata di persona con l’habeas corpus. E anche, respingere le prove che la famiglia aveva allegato alla denuncia:

  • Dichiarazione dei testimoni che la mattina del 1 agosto si trovavano con Santiago a la Pu Lof, nel Dipartimento del Cushamen.
  • Dichiarazione dei periti secondo cui la autopsia fatta sul corpo del giovane ragazzo «non era stata effettuata correttamente».
  • Richiesta di analizzare il cellulare di Santiago per estrarne informazioni .
  • Altre domande sull’autopsia.

Nella risoluzione finale, Lleral ha inoltre assolto l’unico imputato nella causa, il gendarme Emmanuel Echazú. «L’unica persona accusata per decisione propria”, ha precisato Heredia. L’avvocatessa spiega che il giudice ha preso questa decisione dopo aver consultato le perizie relative al DNA de Santiago, prova che la famiglia aveva svalutato perché si era rotta la catena di custodia. In ogni caso, dopo questa perizia, Lleral ha emesso la sentenza. Heredia sostiene che una risoluzione di questa importanza non è stata scritta dall’oggi al domani. Leggendo le oltre 263 pagine della sentenza sostiene: «È grottesco. L’intera sentenza  è costruita con prove fittizie, con prove che non sono prove. Ad esempio, non abbiamo avuto la possibilità di controllare la testimonianza di Lucas Pilquiman, l’ultima persona che ha visto Santiago vivo: ha testimoniato da solo davanti al giudice. Inoltre per quale motivo scartare la testimonianza di Nicasio Luna, secondo cui Santiago era circondato da gendarmi?».

Nel video l’avvocatessa aggiunge: «come sosteniamo dal principio il dottor Lleral non ha avuto mai interesse nell’avviare una vera indagine, quello che vuole è chiudere il prima possibile questo processo facendo ricorso anche all’utilizzo di prove fittizie. Per questi motivi lo scorso 1 novembre abbiamo proposto a gran voce l’istituzione di un gruppo di lavoro composto da tecnici, avvocati, esperti in materia, liberi e indipendenti da ogni tipo di ingerenza politica, affinché realizzassero un’indagine in totale e assoluta autonomia e indipendenza. Proposta che Llleral non accettò». Inoltre anche la corte suprema espresse parere negativo.

E conclude dicendo: «Impugneremo questa sentenza e continueremo la battaglia contro l’impunità voluta dallo Stato argentino».

 

La giustificazione della violenza statale

Anche il CELS, organismo querelante, rifiuta la sentenza del Giudice. «Secondo quanto sostiene il giudice, la sparizione e la morte di Santiago sono il prodotto di una semplice convergenza, confluenza di eventi, di cause naturali quasi inevitabili. Vale a dire, secondo la sua analisi, non esiste nessuna connessione tra l’incursione irregolare della gendarmeria nel territorio di la PouLof, l’uso della forza, la persecuzione dei manifestanti e la successiva morte di Santiago mentre cercava di scappare. Questa costruzione dei fatti, che il giudice presenta come la verità, non fa altro che giustificare la violenza dello Stato».

In linea con quella che fino a ora è stata la posizione dello Stato, a partire dal 1 agosto, la ministra dell’Interno, Patricia Bullrich, ha twittato «la verità vince sempre contro la fantasia […] volevano ingannare la società innestando il virus della paura», e ha festeggiato scrivendo in prima persona: «Siamo riusciti a fare un passo in avanti, verso l’Argentina della legge e della verità». Il CELS ha controbattuto: «`Scindere un operativo di sicurezza, che in questo caso implicò l’occupazione militare di un territorio, dalle conseguenze che questa azione può produrre per l’integrità e la vita stessa delle persone è un precedente grave e pericoloso, che se accettato e naturalizzato legittima, nel corso nel tempo, questo tipo di intervento statale per la risoluzione di conflitti interni».

Nel suo comunicato la famiglia ha precisato:

  • La sentenza «dimostra che fin dal principio si è trattato di un crimine di Stato, una sparizione forzata finita con la morte, dove ogni persona appartenente a qualsiasi carica istituzionale o statale intervenuta dal primo agosto del 2017 a oggi è responsabile di questo omicidio di Stato».
  • «Questa sentenza emessa nella cornice del G20, con le forze di sicurezza dispiegate in tutto il paese dimostra che sono consapevoli tanto dell’ingiustizia e dell’arbitrarietà delle loro azioni, quanto della nostra forza, dell’appoggio che abbiamo da parte di tutto il popolo e che sanno che resisteremo».
  • «Continueremo a lottare giorno dopo giorno contro l’impunità che impone lo Stato con i suoi mezzi di comunicazione. Continueremo ad utilizzare come sempre, tutti gli strumenti che lo Stato di diritto ci garantisce accompagnati dalla società civile organizzata».

Lavaca condivide i fatti salienti di un caso ancora impunito.

 

La violenza dell’operazione

L’ultima volta che Santiago Maldonado è stato visto vivo è mentre fuggiva dalla violenta repressione esercitata dalla Gendarmeria contro la comunità Mapuche nel territorio di la Pu Lofa Resistencia, dipartimento del Cushamen, il 1 agosto 2017. Operazione oltretutto illegale, al di fuori di ogni carattere giuridico e senza mandato del giudice. Santiago era arrivato lì il giorno prima, il 31 luglio, per unirsi al blocco stradale della comunità Mapuche per chiedere la libertà del lonko [capo tribale mapuche, ndt] Facundo Jones Huala, arrestato il 27 giugno 2017. Santiago, che solo 4 giorni prima aveva compiuto 28 anni, avrebbe poi continuato il suo viaggio verso la sua città natale, 25 de Mayo, dove si sarebbe ricongiunto con i suoi familiari, la mamma e la nonna.

Di fronte al blocco stradale il giudice federale Guido Otranto ne ordinò l’immediato sgombero, limitando l’operazione di polizia allo sgombero della strada. Secondo i verbali della forza di polizia redatti dal caporalmaggiore Daniel Gomez, la Gendarmeria arrivò sul posto alle 3:30 della mattina del 1 agosto.  Nonostante il massiccio dispiegamento di forze dell’ordine la mobilitazione continuò, una decina di persone tornarono indietro rivendicando la liberazione del compagno e furono brutalmente repressi dalla Gendarmeria. Stando a quanto riportano i verbali delle forze di polizia, alle 11:15 la strada già era libera. Un rapporto del CELS evidenzia che nessun gendarme implicato in questa operazione, durata fino alle 17, è stato mai punito per le illegalità commesse:

  • Entrare nel territorio mapuche senza un ordine esplicito del giudice
  • Tirare pietre ai manifestanti
  • Bruciare tutti gli averi della comunità in un falò.
  • Trattenere in stato di fermo per circa 4 ore due donne e due bambini
  • Occultare fotografie, video, prove dell’operazione
  • Portare con sé bastoni, pietre, asce, fucili
  • Entrare nella comunità con 4 camionette e un camion
  • Inseguire i manifestanti fino alla riva del fiume

 

La risposta dello Stato

Fin dalle prime settimane, fondamentali per qualsiasi indagine, la famiglia di Santiago e il CELS denunciarono la complicità del potere esecutivo in questa vicenda, complicità resa evidente dalle dichiarazioni e dalle risposte che arrivavano dallo Stato che fin dal principio si caratterizzarono per:

  • Presentare ipotesi infondate secondo cui Maldonado o non era presente per sua volontà al momento della repressione o era già morto prima che questa avvenisse (di qui l’ipotesi di un blocco intestinale)
  • Occultare, nascondere e insabbiare l’operato della Gendarmeria
  • Inadempienza nella ricerca del corpo

Sostenere l’ipotesi che Maldonado non si trovasse in quel luogo, che era scomparso per volontà propria o che era morto prima della repressione (la falsa ipotesi del custode, che ha fatto perdere risorse e tempi importantissimi nella ricerca, è stata introdotta nel procedimento di habeas corpus dallo stesso Ministero della Sicurezza).

Tale atteggiamento del Governo Nazionale non cambiò di una virgola nemmeno dopo la constatazione dell’uccisione di un manifestante per mano della forza federale durante la repressione. Non cambiarono opinione neanche in relazione alla “flagranza di reato”, che per il potere esecutivo costituisce di fatto l’istituto giuridico che legittima l’operato della Gendarmeria nella comunità Mapuche, pur non avendo un mandato diretto del giudice federale: l’unico ordine ufficiale ricevuto dal giudice era quello di sgomberare il blocco stradale e liberare la strada, tuttavia per volontà diretta dell’esecutivo, nello specifico, di Pablo Noceti, capo di gabinetto del ministero dell’Interno, presente nell’operazione del 1 agosto, che gestì e ampliò la figura della flagranza, la forza di polizia entrò nella comunità inseguendo i manifestanti.

Non ha nemmeno modificato la sua posizione la certezza che il Ministero ha sostenuto e riprodotto false notizie malgrado i verbali delle operazioni degli atti amministrativi della Gendarmeria, sebbene duramente messi in discussione dalla PIA – Procura per le indagini amministrative – per il loro rigore giuridico nullo, per lo meno mostrassero l’irregolarità del procedimento.

Il Comitato ONU che opera contro le sparizioni forzate pubblicò un documento molto duro, esprimendo viva preoccupazione tanto per l’inefficiente operato dello Stato nella ricerca di Santiago quanto per l’inadeguatezza dell’indagine giudiziaria volta a individuare i responsabili della scomparsa del ragazzo.

Il documento, firmato dal capo della sottocommissione dei trattati sui diritti umani, Ibrahim Salama, mette in discussione l’operato del Potere Esecutivo che in ogni dichiarazione pubblica nega costantemente, «l’ipotesi di un possibile coinvolgimento delle forze federali nei fatti». Gli esperti si soffermarono principalmente su alcune dichiarazioni della ministra di sicurezza Patricia Bullrich:

 

  • Il 7 agosto la ministra affermò «non ci sono indizi» relativi al coinvolgimento della Gendarmeria nella sparizione del corpo.
  • 27 agosto, in un’intervista al giornale “La Nación”: «Le indagini sono andate avanti, sono sicura che la Gendarmeria non è coinvolta con l’accaduto».
  • Il 16 agosto, rispndendo in Senato a un’interpellanza, sostenne che non c’è prova o testimone che possa confermare la presenza di Maldondo nella Pu Lof. Gli esperti segnalarono: “la Commissione rimane sorpreso ogni volta per queste dichiarazioni, dato che esiste già una testimonianza, riportata all’interno del procedimento giudiziario, secondo cui Maldonado si trovava nel territorio».

Per queste ragioni, conclude: «La Commissione è molto preoccupata per queste posizioni e ipotesi presentate pubblicamente prima che sia realizzata una ricostruzione integrale ed esaustiva dei fatti e, in particolare, dei modi di procedere della Gendarmeria. Come risultato di questa situazione, il possibile coinvolgimento della Gendarmeria è stato solamente inserito come ipotesi investigativa in modo serio oltre un mese dopo la scomparsa del signor Maldonado, tempo in cui non sono state compiute le azioni considerate urgenti secondo gli standard di base per la ricerca di persone scomparse».

 

Il ruolo del potere giudiziario

Come segnalato precedentemente, l’operazione di polizia aveva il mandato di sgomberare il blocco stradale, successivamente utilizzò l’ipotesi della flagranza per entrare violentemente nel territorio della comunità Mapuche.

Lo stesso giorno, il difensore ufficiale Fernando Machado registrò le irregolarità dell’operativo e la sparizione di una persona. È stato l’unico agente giudiziario a intervenire in prima persona all’altezza della gravità del caso. A denunciare l’accaduto fu anche Julio Saquero, membro della Regional Noroeste del Chubut della APDH, la cui denuncia permette l’inserimento nel dossier della voce 1: sparizione forzata. Tuttavia sia il giudice federale Otranto sia la procuratrice federale Silvina Ávila considerarono infondata suddetta denuncia, preferendo focalizzare l’indagine su due punti: la presenza o meno di Santiago sul posto dell’accaduto e la criminalizzazione della comunità Mapuche.  Ad esempio, durante l’udienza per l’habeas corpus del 4 agosto né il giudice né tantomeno il pubblico ministero chiesero spiegazioni ai rappresentanti della Gendarmeria lì presenti.

Altre irregolarità descritte dal CELS:

  • Le operazioni di ricerca furono tardive.
  • Le perizie sulle camionette utilizzate durante l’operazione vennero fatte con estremo ritardo rispetto all’accaduto e i gendarmi erano stati preavvisati.
  • Solo il 15 agosto, vale a dire 14 giorni dopo i fatti, ci fu una perquisizione degli squadroni di polizia per sequestrare prove importanti.
  • I rastrellamenti nel territorio non produssero alcun risultato: il 18 settembre una mega- operazione sequestrò per più di 12 ore i principali testimoni e non lasciò entrare durante la perquisizione né la famiglia né i querelanti.

Il giudice Otranto fu rimosso dal caso a seguito della presentazione di una richiesta di allontanamento, vista la sua scarsa imparzialità. A partire dal quel momento la causa viene seguita dal giudice federale di Rawson N2, Gustavo Lleral.

 

L’autopsia

Il corpo apparve/ricomparve il 17 ottobre nel fiume Chubut, a centinaia di metri da dove Santiago è stato visto vivo l’ultima volta. La famiglia comunicò che l’ipotesi dei periti circa la causa della morte di Santiago fu unanime, asfissia per immersione coadiuvata da ipotermia. Non vi è unanimità sulla data presunta di morte, si stabilirono tre differenti ipotesi: la prima stabilisce che il giovane era morto da più di 53 giorni, la seconda da 60 giorni, e l’ultima la fa risalire a più di 73 giorni rispetto al ritrovamento del corpo. Le speculazioni giornalistiche non mancarono: il Governo cercò in tutti i modi di convincere l’opinione pubblica che Santiago era morto affogato perché non sapeva bene dove si trovava. «Ho più dubbi di prima» – affermò Sergio. «Ciò che è chiaro è che non è morto da turista: è morto perché stava scappando dalla repressione illegale della Gendarmeria».”

In una conferenza stampa, tenutasi a distanza di un anno dai fatti, Sergio affermò: «L’autopsia non ha potuto darci risposte sulla morte di Santiago. Né come, né dove ne quando è morto, e neanche la permanenza in acqua, se di 20 o 50 giorni. Lo Stato ha scandagliato per ben due volte – 5 agosto e 18 settembre- il luogo dove è stato trovato il corpo, senza trovarlo. Ci hanno detto che lì non c’era. Furono loro a dire che si trattava di sparizione forzata: non ce lo siamo inventati noi».

Le foto del corpo di Santiago sono state filtrate alla stampa. La stessa procuratrice Ávila ha avvertito di essere in possesso di elementi che «permettevano di accreditare» che le immagini fatte circolare provenissero dal medico della Polizia Federale e responsabile comunicazione dell’attività mineraria a Esquel, Werther Augusto Aguiar, uno dei funzionari che aveva partecipato alla ricognizione giudiziaria sul fiume e accompagnato il “controllo” del corpo fino alla camera mortuaria di Esquel.  L’insieme di questi elementi non fa altro che confermare la richiesta che la famiglia Maldonado fa dall’inizio del processo: la necessità di istituire un gruppo di esperti indipendenti che analizzino e studino il caso, visto che i funzionari dello Stato, come risulta evidente dalla sentenza del giudice federale Lleral, non agiscono per trovare la verità ma per consacrare l’impunità.

 

Articolo apparso sul sito Lavaca

Traduzione di Michele Fazioli per DINAMOpress