MONDO

Rosso e nero, la vita riemerge a Raqqa

Nella città liberata dall’ISIS che vuole ricominciare a vivere. Tra una ricostruzione difficile e una guerra sugli aiuti umanitari ancora in corso.

Rosso sono i casi gravi. Nero sono le persone in fin di vita. Da quattro mesi ogni giorno ne arrivano a decine nel centro sanitario della Mezza Luna Rossa Curda e di Un ponte per… alle porte di Raqqa, uno dei due soli presidi sanitari esistenti. Purtroppo ne arrivano più ora che la battaglia di Raqqa è finita che durante i combattimenti. Troppe persone sfidano i divieti dell’esercito e cercano di tornare alle loro case. In qualsiasi condizione gli sfollati vogliono recuperare la loro vita anche tra le macerie. E trovano case e strade piene di mine, trappole esplosive, ordigni vari. Tutto l’armamentario che il mondo civile esporta qui per fare scannare le persone tra loro. E chi pensa che sia finita la guerra e vuole tornare a casa rimane di nuovo vittima del conflitto siriano.

Cinque milioni e mezzo di rifugiati, 6 di sfollati, 13 milioni di persone in stato di bisogno. Migliaia di morti, l’80% delle scuole danneggiate. Una generazione perduta.

Rossi sono i casi che si riescono a volte ancora a salvare. Abbiamo 7 ambulanze che da Raqqa portano le persone stabilizzate verso ospedali attrezzati. A volte il cartellino che li accompagna è macchiato di sangue, perché il tempo per salvare una vita in pericolo è sempre poco. Neri sono i casi irrecuperabili. Nella maggior parte dei casi. I medici e gli infermieri si lamentano che se avessero più attrezzature potrebbero intervenire anche per loro. Ma qui non è ancora possibile, i centri di emergenza sono nascosti, Daesh si infiltra e spara. Solo due mesi fa, travestiti da soldati della coalizione, ne hanno attaccato uno. Uccidendo due persone. Nero è il colore della morte ed anche di Daesh.

Ma a breve potremmo aprire una clinica vera e propria, che serva le emergenze prima della riapertura degli ospedali. Ci stiamo lavorando notte e giorno e potrebbe essere uno dei primi centri sanitari dentro Raqqa ripresa a Daesh.

Intanto la vita prepotente riemerge ad ogni angolo. Nel coraggio dei medici e delle giovani madri che raggiungono incinta le nostre cliniche. Una unità mobile per i parti si muove da un mese tra Tabqa e Raqqa. Nelle campagne dove fino a pochi giorni fa si combatteva. L’ostetrica dopo una lunga giornata è contenta. Abbiamo visitato 170 donne, 80 minori. E’ nata una bella bambina. Domani l’unità mobile riparte. Ogni giorno a centinaia la cercano per assistenza. Da mesi non ci sono servizi, vaccinazioni, cure di base di ogni genere. L’acqua è inquinata, il suolo pieno di immondizia. L’emergenza è la guerra ma anche la vita interrotta. L’ospedale di Tabqa, a due passi da Raqqa, ha intanto, con il nostro aiuto, rimesso in piedi il reparto maternità. Ci sono due medici coraggiosi che lo stanno gestendo. La lista dei bisogni è lunghissima: medicine, attrezzature, salari per i medici. Intanto sono arrivati gli ecografi, il reparto è stato ridipinto. Il resto dell’ospedale è invece ancora un’ipotesi. E’ pieno di barricate messe su da Daesh che lo usava come sua base. L’unico segno della fine della battaglia sono le scritte Clear (pulito, in questo caso) sui muri. Una data di Agosto o Settembre e poi clear, la scritta degli sminatori che hanno verificato che le stanze siano senza ordigni. Che vicino alla sala parto non ci siano più rischi. Madri e bambini entrano ed escono tra le macerie in sicurezza ora. La vita continua.

In migliaia sono ancora nei campi profughi. Molti non sono ben attrezzati. Anche lì abbiamo messo su una clinica e dei servizi di base ma non è sufficiente. Manca la comunità internazionale. L’Onu è bloccata dal regime di Assad che non vuole che si intervenga nelle aree che non controlla. Sugli aiuti umanitari si sta giocando una guerra parallela a molti sconosciuta. Solo l’Unione Europea ed alcuni suoi stati membri e pochi altri riescono ad intervenire. Ma non basta. L’accesso alla Siria del Nord Est è dal Kurdistan iracheno che dal 28 Settembre è in conflitto con il governo centrale dell’Iraq. Gli aiuti arrivano a singhiozzo, migliaia di sfollati invece arrivano ogni giorno dal fronte di Raqqa e di Deir ez Zor. Ogni giorno di ritardo sono vite umane perse. E sono speranze nuovamente smarrite. Questa liberazione da Daesh dovrebbe avere la forza di portare nuova linfa, non solo il gelido inverno del deserto e nuove privazioni. Dovrebbe portare luce dopo il buio. Non sta avvenendo.

Per fortuna le persone in questo angolo di Siria hanno da sole la forza di recuperare fiducia nell’umanità. Grazie ai rischi che ogni giorno tanti medici ed infermieri corrono per salvare vite umane. Nei loro sorrisi tra le macerie. Nel coraggio di quel piccolo gruppo di giovani europei che sono in Siria a rischiare pure loro la pelle e ad aiutare i siriani, senza armi, ma con tanta solidarietà concreta. Ed è forse su questo termine desueto, solidarietà, che si sta giocando la partita più importante. Non riuscire più a praticarla, In Siria, in Italia, aprirà le porte solo ad altra violenza.

Articolo pubblicato su comune-info

L’autore è direttore dei programmi di Un Ponte Per