ROMA

Roma e le occupazioni abitative

La questione della casa è la questione della città. Non servono operazioni tampone, soluzioni speciali, rifugi per alcuni e la strada per tutti gli altri. Le occupazioni hanno anticipato il grande progetto di recupero urbano che rappresenta la soluzione per garantire il diritto universale a un alloggio dignitoso per ogni persona. Mai più immobili vuoti e abbandonati in attesa degli interessi della finanza.

Le politiche abitative dei paesi industrializzati non sono mai riuscite a eliminare l’esclusione abitativa, anche se ci sono differenze marcate a seconda dei paesi e dei periodi.

Il caso italiano è caratterizzato da un disagio abitativo particolarmente pesante e un sistema di politiche particolarmente debole. Quel poco che si è fatto ha riguardato soprattutto quella fascia intermedia alla quale si riferisce l’edilizia convenzionata.

La povertà abitativa è rimasta fuori. Ed è proprio questa fascia di popolazione che ha bisogno di risposte specifiche e soprattutto ha bisogno di politiche sociali incisive, di ampliamento del welfare, oltre che di case pubbliche.

A Roma in particolare, ma non solo, si sono continuate a costruire case, accentuando i processi di esclusione per alcune categorie. La città è cresciuta a dismisura privilegiando il mercato privato, sostenuto in alcuni casi anche da finanziamenti pubblici.

Il riferimento erano i ceti medi, i redditi moderati, i lavoratori. L’esclusione ha riguardato la popolazione povera e molto povera, alla quale sono state riservate sistemazioni di bassa qualità, quando ci sono state, e affidamento a misure ad hoc, separate dalle normali politiche abitative, come i rifugi che vengono aperti con il piano freddo, i famigerati residence, i campi rom… Le soluzioni offerte, in particolare per le componenti che, oltre alla mancanza di casa soffrono per difficoltà sociali di vario tipo, sono strutture apposite, spesso temporanee, con standard ridotti, lontane dal modello di quello che chiamiamo casa. Strutture di cattiva qualità, senza un riconoscimento del titolo che da diritti all’abitante, precarie dunque, acuiscono la condizione di marginalità, senza risolvere il problema della casa.

Le politiche neoliberali con i tagli alle politiche sociali hanno ulteriormente ridotto la capacità redistributiva e protettiva delle politiche abitative, aggravando una situazione già molto grave. La sproporzione fra la domanda di case per le fasce povere e l’offerta sociale è cresciuta a dismisura. Incapaci di affrontare e risolvere il problema strutturale, si continua a parlare di emergenza. La volontà di riconoscere un alloggio dignitoso a tutti viene rimossa e si stabiliscono criteri del tutto arbitrari per selezionare chi ha diritto all’assistenza. L’apparenza di “privilegio” crea le condizioni per un conflitto fra ultimi e penultimi , che alimenta la speculazione razzista e xenofoba dei gruppi fascisti.

Una selezione durissima, che esclude categorie precise, quali i migranti, i rom, i senza tetto… Per loro, neanche per tutti, ci sono al più sistemazioni temporanee o strutture di accoglienza.

Il diritto universale alla casa, a un alloggio dignitoso viene sostituito da misure di assistenza, erogate con criteri discrezionali alla popolazione priva di reddito.

Siamo lontanissimi dal principio sancito dalla legge francese del 1990. Sono passati 30 anni.

«Tutte le persone e famiglie in particolari difficoltà, soprattutto per inadeguatezza delle risorse o delle condizioni di esistenza, hanno diritto a un aiuto della collettività per accedere a una abitazione e mantenerla».

Lo scenario urbano oggi ci restituisce la grande povertà, conseguenza obbligata delle pratiche neoliberali, che hanno annullato le protezioni collettive, indebolito i legami sociali, accresciuta la marginalità sociale. Intere categorie di cittadini sono escluse dai diritti di cittadinanza. Immigrati irregolari, richiedenti asilo, disoccupati da lungo tempo, rom, ma anche chi ha solo impieghi precari, costretti a vivere in ghetti o in strada.

Di fatto si è creata una cittadinanza differenziale che non da più diritto alla sicurezza sociale, ma tuttalpiù all’assistenza. Nella narrazione la povertà diventa degrado e dunque pericolosità. Questo scivolamento fa si che l’assistenza venga sostituita dalla repressione. Le ideologie securitarie e le logiche repressive hanno le loro declinazioni abitative nel controllo dello spazio urbano. Gli homeless sono considerati estranei, fuori luogo. Lo spazio pubblico che per definizione è di tutti, va regolamentato o privatizzato. Vietato l’accattonaggio, il dormire all’aperto, il consumo di alcool, perfino l’uso “indecoroso” delle fontanelle d’acqua…

Il valore urbano diventa l’eleganza e la decenza che ha come immediata conseguenza l’allontanamento della rappresentazione della povertà. I poveri sono indecenti. Il decoro ufficiale e socialmente prescritto si contrappone al comportamento indecoroso di poveri, marginali, prostitute, migranti e rom. Questi vanno allontanati, mentre i cittadini-retaker armati di spugnette e ramazza puliscono il giardino sotto casa.

A Roma 10 mila persone hanno trovato una soluzione occupando una casa. Erano immobili pubblici o privati lasciati vuoti da anni. Rischiano di essere sgomberate senza che sia garantita una soluzione alternativa.

La questione della casa è la questione della città. Non servono operazioni tampone, soluzioni speciali, rifugi per alcuni e la strada per tutti gli altri. È il momento di guardare a un grande progetto di recupero urbano che capovolga le scelte insediative portate avanti fino ad ora, avendo come unico parametro il valore di mercato e gli interessi della finanza.

Sono molti gli immobili da riutilizzare. La Prefettura ha censito gli stabili abbandonati a Roma. Sono 161 edifici, di quasi un terzo non si conosce il proprietario, gli altri sono divisi fra Comune, Demanio e privati.

La circolare di Salvini sostiene che «l’occupazione abusiva degli immobili costituisce da tempo una delle principali problematiche che affliggono i centri urbani del Paese» e quindi c’è «la necessità di attendere agli sgomberi con la dovuta tempestività».

Le occupazioni non sono affatto il problema.

Al contrario hanno anticipato la soluzione: un grande progetto di recupero urbano per dare una casa a tutti. Hanno iniziato a farlo costruendo nuclei della città della condivisione e della comunità solidale e rigenerando spazi inutilizzati.

Hanno dato vita a un’immensa galassia di pratiche e di strategie di vita per arginare la strutturale scarsità di risorse e di servizi inesistenti. Hanno costruito un’altra idea di città, quell’idea che si vuole cancellare con gli sgomberi minacciati.