MONDO

Da Roma a Khartum «pace, giustizia e libertà» per il Sudan

Gli emigranti sudanesi si mobilitano in tutto il mondo per sostenere le proteste contro gli aumenti dei prezzi e la politica dittatoriale di Omar al-Bashir che da settimane scuotono il loro paese

Le comunità sudanesi protestano contro la politica repressiva e dittatoriale del presidente Omar al-Bashir. Sabato 6 aprile ci sono stati presidi e cortei in molte città del mondo tra cui Il Cairo, Berlino, Melbourne, Sydney, New York, Dublino, Bruxelles, Chicago, Denver, Stoccolma, Londra, Varsavia, Roma, Helsinki, Madrid, Vienna, Ginevra, Parigi, Lille, Canberra, Pretoria, Cape Town, Vancouver, Belfast, Oslo, Auckland, Monterey, Copenaghen, Praga e L’Aia. A Roma il presidio si è concentrato a Montecitorio a partire da mezzogiorno.

In contemporanea, i cittadini sudanesi hanno protestato a Khartum, raggiungendo la residenza del presidente. Nella capitale sudanese, migliaia di manifestanti si sono mossi in corteo contro il governo trentennale del presidente Omar al-Bashir, dando forma a quella che a oggi è stata la più grande manifestazione dall’inizio delle proteste contro il rincaro dei prezzi e il potere dittatoriale. Non sono mancati scontri con le forze di sicurezza che hanno risposto con il lancio di gas lacrimogeni contro i manifestanti che tiravano pietre fuori dalla residenza presidenziale. Nella giornata di domenica sono stati segnalati circa 5 morti, principalmente nella città di Khartum, a causa di colpi di arma da fuoco sparati durante le proteste.

Mentre i manifestanti si radunavano fuori dai cancelli del complesso presidenziale, che ospita anche il ministero della Difesa, il comando dell’esercito e il quartier generale delle forze di sicurezza, hanno sventolato le bandiere sudanesi e intonato slogan chiedendo “pace, giustizia e libertà” per il Sudan.

Le manifestazioni di sabato hanno avuto anche un forte richiamo simbolico. Il 6 aprile cadeva il trentaquattresimo anniversario del rovesciamento dell’ex presidente Jaafar Nimeiri a seguito di una rivolta popolare. A distanza di pochi anni dalla rivolta, l’ufficiale al-Bashir, alleatosi con gli estremisti islamici, prese il potere con un colpo di stato nel 1989. È rimasto in carica sino a oggi.

La situazione politica e sociale del Sudan è divenuta insostenibile e i moti di protesta sono esplosi con l’intento di far cadere al-Bashir e di porre un freno alle condizioni di vita durissime che gli abitanti di questo stato africano sono costretti a subire. Molti degli uomini e delle donne che hanno attraversato il Mediterraneo centrale per poi proseguire il proprio viaggio verso altri approdi europei o trovare asilo nel territorio italiano sono originari di questo paese lacerato dalla guerra civile, in cui dittatori corrotti hanno sollevato conflitti tra etnie, dividendo così la popolazione e perpetuando abusi di potere.

In Sudan governa un partito unico ormai da 26 anni. Qui il diritto all’istruzione, alla sanità e a una vita dignitosa sono appannaggio di una piccola élite. Ogni forma di dissenso è duramente repressa, ma anche la quotidianità è pervasa dal terrore. Rapimenti, carcere, torture e stupri sono gli strumenti di cui il governo si serve per esercitare il controllo e arginare ogni forma di opposizione. L’accesso all’istruzione è possibile solo a chi si dichiara filogovernativo, inoltre i costi delle scuole sono molto alti e quindi inaccessibili alle fasce più povere della popolazione. La corruzione è così radicata che anche il diritto alla salute diventa un privilegio ed è impraticabile per chi non ha i mezzi per curarsi.

Dal mese di dicembre del 2018 sono iniziate le proteste contro il rincaro dei generi di prima necessità alle quali il presidente Omar al-Bashir ha risposto con violenza, ordinando l’arresto di oltre 2.400 persone, tra cui giornalisti e militanti dell’opposizione. A loro si aggiungono le decine di morti per mano di esercito e polizia durante le operazioni di repressione dei moti di rivolta. Inoltre, vanno ricordati le migliaia di persone scomparse tra coloro che sono stati trattenuti dalla polizia per tempi indeterminati e senza alcun tipo di processo.

Lo scontro che ha dato il via alla rivolta vera e propria è avvenuto il 6 dicembre, quando un gruppo di manifestanti ha cercato di marciare sul palazzo presidenziale. Gli edifici e gli uffici dati alle fiamme dai manifestanti sono principalmente le sedi del National Congress Party (Ncp), il partito di al-Bashir. Il politico dopo aver preso il potere con un colpo di stato militare nel 1989 è stato oggetto di due ordini d’arresto da parte della Corte penale internazionale dell’Aja, nel 2009 e nel 2010, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a partire dal 2003.

Il 23 febbraio 2019 al-Bashir ha dichiarato lo stato d’emergenza in Sudan, ritrovandosi così ad avere mano libera nella repressione del dissenso. Sin dall’indipendenza del Sud Sudan, nel 2011, il Sudan settentrionale si trova in condizioni economiche difficoltose. È a sud, infatti, che si concentrano i principali pozzi petroliferi, per il controllo dei quali si susseguono scontri e disordini. Il Sudan ha perso i tre quarti delle sue riserve petrolifere, cui si è aggiunta un’inflazione di circa il 70% all’anno, innescando quindi una grave crisi monetaria. Ad aumentare sono stati i prodotti alimentari e i medicinali, che hanno raggiunto prezzi proibitivi oltre a scarseggiare in moltissime città. La popolazione ha dovuto sopportare la strutturale carenza di pane, l’altissimo prezzo dell’energia e l’inflazione. A questo si aggiunge il fatto che sul governo di Khartum pesa un debito pubblico di oltre 50 miliardi di dollari con Paesi stranieri.

La rivolta degli ultimi mesi è stata quindi sostenuta da diverse classi sociali, comprese quelle medio-alte. Ne sono un esempio i docenti universitari che, a seguito alle scorse proteste antigovernative, sono stati arrestati durante un’incursione della polizia dentro l’università di Khartum, o gli 8 arrestati durante la manifestazione convocata dall’associazione dei professionisti sudanesi, che raggruppa dottori, insegnanti e ingegneri. La protesta è proseguita nella giornata di ieri e l’obiettivo è quello di continuare a manifestare nei prossimi giorni.