ROMA

Roma, il futuro di una città meravigliosa e terribile

Un incontro per discutere delle politiche urbane che stanno trasformando Roma, senza rendere mai esplicita l’idea di città che si vuole costruire al Macro Asilo venerdì 27 alle 17 con Sarah Gainsforth, Rossella Marchini,Franco Purini, Ylenia Sina

Roma è meravigliosa e terribile, da odiare mentre si ama, suscita ammirazione e disprezzo, accettazione e rifiuto. Tutto contemporaneamente. Viene raccontata in preda al degrado, destinata al declino, vittima di cittadini incivili e indecorosi che impediscono che la città diventi… a questo punto dobbiamo fermarci. Nessuno ci dice cosa Roma dovrebbe diventare.

Qual’è l’idea di città che si vuole costruire?

Non è facile capire se questa idea di città esiste oppure si procede senza un progetto complessivo della trasformazione, che comunque avviene.

La Capitale non è immobile, come si racconta paragonandola a Milano. Lì sono avvenute enormi trasformazioni, guidate da scelte ben delineate. A Roma al contrario è attraverso operazioni frammentate che i quartieri assumono nuove configurazioni. Chi decide queste trasformazioni?

Si continua a parlare di emergenza. A Roma è vero si vive male, ce lo dicono le condizioni concrete della vita urbana. Pensiamo ai tempi e ai costi delle distanze, alla qualità e quantità dei servizi, alla mancanza strutturale di case per le fasce più povere di popolazione, all’assenza totale di manutenzione degli spazi pubblici.

In questa confusione dettata da emergenze continue, Roma non riesce a mostrare quale destino si stia disegnando per lei. Frammenti di discorso appaiono contraddittori e delineano un futuro peggiore del presente che stiamo vivendo.

Chi decide le trasformazioni urbane? Qual è la città che si vuole costruire?

Manca un progetto, un disegno urbano che guidi le trasformazioni di Roma. Come è avvenuto sino all’inizio degli anni ’80, quando si disegnavano la città e il territorio. La morfologia urbana sembra aver perso ogni valore, l’architettura è diventata design, gli architetti sono archistar.

Il pensiero utopico che aveva caratterizzato gli anni ’60 e ’70, con le ricerche di Yona Friedman, Archizoom, Superstudio, con gli studi di strutture urbane di Franco Purini, è sostituito da tecnologia, spettacolarità, mania green, indifferenza per il luogo.

È possibile tornare a progettare la città, facendo assumere valore alla qualità e identità architettonica degli ambienti urbani?

Roma è piena di case e di cittadini che una casa non possono averla. Una contraddizione che si porta dietro da quando è diventata Capitale d’Italia. Si è costruito tanto, si è consumato tanto suolo, si continuano a costruire case destinate a non essere abitate. La questione della casa è la questione della città, ma la risposta è la totale assenza di un programma che indichi la soluzione.

Sono quasi 10 mila le persone che vivono in case occupate (lasciate vuote o invendute). Tremila persone vivono nei residence, per i quali l’amministrazione paga ai proprietari 29 milioni di euro l’anno. Ci sono 85 mila studenti fuori sede che si rivolgono al mercato nero dell’affitto, perché sono solo 2000 i posti letto garantiti dal contributo regionale.

L’ultimo sgombero è stato quello di un’occupazione di un edificio di proprietà pubblica, che andava pacificamente avanti da 13 anni. Gli occupanti di via Cardinale Capranica erano integrati nel quartiere, i loro figli frequentavano le scuole e non era mai avvenuto il minimo problema sociale. Perché sgomberare senza avere prima predisposto una soluzione?

Da questo vicolo cieco si può uscire soltanto con la piena assunzione di responsabilità da parte delle amministrazioni pubbliche, comune di Roma e regione Lazio, dell’Ater, delle forze sociali, insieme ai comitati degli occupanti. Un “Piano straordinario” fu messo in campo dal sindaco Luigi Petroselli alla fine degli anni ’70 quando attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, si demolirono tutte le baracche esistenti.

Oggi esiste il programma di un piano complessivo che affronti il problema della casa?

Quando si parla di recupero e riqualificazione del tanto abbandonato che c’è, non si intende un grande progetto che capovolga le scelte insediative fin qui portate avanti avendo come unico parametro il valore di mercato e gli interessi della finanza. Si pensa piuttosto a operazioni di gentrificazione che produrranno esclusione. Gli abitanti saranno cacciati e sostituiti da chi sarà in grado di sostenere gli alti valori immobiliari generati.

Da anni una lenta inarrestabile trasformazione dei quartieri del centro storico della nostra città ha allontanato gli abitanti che lì risiedevano. Dagli anni ’80 con la terziarizzazione, uffici, banche, sedi istituzionali hanno preso il posto delle residenze e delle botteghe storiche.

A Roma nel 1951 il 25% della popolazione risiedeva nel centro storico. Nel 1990 solo il 6% era rimasto ad abitare nei quartieri centrali. Abitanti cacciati via dall’enorme aumento dei valori immobiliari e dalla trasformazione dell’abitare prodotta dall’espulsione delle funzioni produttive, artigianali, dei servizi sociali e del commercio di prossimità.

Il colpo finale è venuto dall’attuale massiccia turistificazione. Il boom di presenze ha travolto territorio e residenti. Lo spazio urbano si è trasformato per rispondere alla domanda di cibo e pernottamento veloce. Il fenomeno di Airbnb ha colpito ferocemente su una condizione abitativa già disastrosa.

Si vuole fare di Roma la meta esclusiva del turismo internazionale?

Una delle grandi capitali globali con i suoi sfavillanti grattacieli?

La Capitale della cultura con i suoi festival, rassegne, convegni?

Esiste questa idea o si naviga a vista, rincorrendo quello che decide la finanza per estrarre valore dal territorio?

Roma in questi anni ha costruito un’altra città, attraverso spazi occupati, attraversati da molteplicità che hanno realizzato nuove strutture sociali della vita quotidiana. Sono esempi di rigenerazione urbana capaci di opporsi alla mancanza di infrastrutture e servizi attraverso sperimentazioni sociali e culturali che hanno segnato il percorso di resistenza all’esclusione sociale. A queste realtà è stata dichiarata una guerra sistematica, per cancellare 30 anni di storia di autogestione che ha dimostrato di essere in grado di costruire un’altra idea di tessuto urbano, di socialità, di mutualismo e solidarietà, di welfare dal basso.

C’è spazio per queste realtà nella Roma che l’amministrazione vuole costruire?