ITALIA

I rifiuti radioattivi cercano casa. Il caso della Tuscia

78mila metri cubi di rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività saranno redistribuiti sul territorio del nostro paese, ma ben 22 dei 67 siti indicati per questa operazione sono stati individuati in Tuscia. La protesta dei comitati della zona

Dopo anni di ricerche, studi e valutazioni la Sogin (società statale incaricata dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi) con il nulla osta del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente, ha reso nota la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) dove realizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il parco tecnologico.

In una di quelle 67 aree indicate saranno sistemati in via definitiva 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività, provenienti soprattutto dal settore medico e ospedaliero. La necessità di dotarsi di questo deposito viene dall’obbligo imposto dalla direttiva del Consiglio Europeo 2011/70/Euratom. che impone a ogni paese della Comunità Europea di realizzare un deposito per i rifiuti radioattivi, in un’area che risponda a requisiti di sicurezza e funzionalità per le strutture da realizzare.

 

Attualmente le scorie sono conservate in depositi provvisori, sparsi in tutto il territorio nazionale. In Piemonte è accumulata la maggior parte di scorie ad alta radioattività, nel Lazio ce n’è una quantità ancora maggiore, ma meno radioattiva.

 

Ci sono decine di depositi più piccoli negli ospedali, nelle acciaierie, in centri di ricerche e altri depositi più grandi dove continuano ad affluire materiali contaminati.

La chiusura definitiva delle centrali nucleari di Trino, Caorso, Borgo Sabotino e Garigliano, avvenuta dopo il risultato del referendum del 1987, ha lasciato 8mila metri cubi di combustibile radioattivo, il 95% del quale è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato riprocessato per ricavarne materiale nucleare riutilizzabile, mentre i rifiuti radioattivi prodotti sono stoccati in contenitori che faranno rientro in Italia. Le 16 tonnellate rimaste ancora in Italia si trovano a Rotondella (Matera), alla Casaccia (Roma), a Ispra (Varese), nell’università di Pavia.

Con la pubblicazione dei siti individuati si è dato l’avvio al dibattito pubblico con la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti i temi legati alle ricadute sul territorio interessato e si arriverà alla scelta definitiva.

 

Gli amministratori e i cittadini della Tuscia viterbese nell’alto Lazio quando hanno visto la mappa che segnava ben 22 siti individuati nel loro territorio si sono immediatamente attivati per esprimere la loro contrarietà.

 

In un documento firmato da sei sindaci e da 40 amministratori di comuni della provincia di Viterbo scrivono: «Quando il 45% circa dei siti “verde smeraldo” (quelli con più requisiti di idoneità) viene individuato in una sola provincia, la nostra, è lecito domandarsi perché. La risposta non può essere semplicisticamente “non ce n’erano altre”, ma forse si è voluto identificarla partendo dal presupposto che il nostro territorio, area interna, già gravato da scelte improvvide del passato, quale la centrale nucleare di Montalto di Castro (che attende ancora la bonifica e la riconversione), fosse naturalmente predisposto all’accettazione di questo ulteriore gravame».

 

Tuscia (immagine da commons.wikimedia.org)

 

Nella scelta non si è tenuto conto del valore ambientale del territorio della Tuscia, testimoniato dalle numerose riserve naturali e aree protette istituite dalla Regione Lazio per tutelare il patrimonio naturale della zona.

 

Quello agricolo ha incrementato negli ultimi anni le coltivazioni biologiche di prodotti tipici, dando un grande contributo al cambiamento di assetti produttivi in senso ecologico e contribuendo a sviluppare un turismo di qualità. La Tuscia vede così minacciato lo sforzo che sta facendo per tutelare la qualità delle sue risorse naturali, storiche e archeologiche.

Anche l’assessore al Ciclo dei Rifiuti della Regione Lazio, Massimiliano Valeriani ha dichiarato che il territorio del Lazio presenta già un quadro fortemente impattante legato all’inquinamento nucleare di origine industriale e medica. «La Tuscia viterbese ha una forte vocazione agricola e turistica, in quell’area sono presenti numerosi vincoli archeologici e paesaggistici: condizioni che non consentono la realizzazione di grandi impianti con un rilevante impatto sull’ambiente».

A Corchiano è nato il Comitato per la salvaguardia del territorio di Corchiano e della Tuscia composto interamente da imprenditori agricoli che si uniscono per non vanificare gli sforzi fatti nella valorizzazione dell’agricoltura di qualità nella provincia di Viterbo. «Nella Tuscia molti, da tempo, stanno faticosamente lavorando per cercare di far conoscere il vero valore di questa terra sia livello nazionale che internazionale – scrivono i membri del comitato. Qui esistono e convivono da millenni pratiche e prodotti agricoli di qualità, paesaggi unici e cultura millenaria. Per questi motivi e per non vanificare gli sforzi che sono stati fatti finora, abbiamo sentito il dovere di vigilare con estrema attenzione».

 

Stessa reazione si è avuta in molte altre regioni. Il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha contestato la scelta dei due siti Altamura e Gravina che si trovano entrambi nel Parco Nazionale della Murgia.

 

I sindaci dei comuni della Val di Chiana e della Val d’Orcia rivendicano la difesa di luoghi di produzioni di eccellenza. Il Presidente della Regione Basilicata non vuole sentir parlare di localizzazioni che riguardano la sua regione.

Dovrà essere trovata una soluzione che tenga presente le esigenze delle comunità, consapevoli che una localizzazione andrà trovata. Il geologo Mario Tozzi avanza la proposta di utilizzare un sito militare, già gestito dallo Stato, che risponda ai requisiti richiesti. Potrebbe essere la soluzione.

 

Immagine di copertina di Dirk Rabe da Pixabay