Respect our dignity

La lotta dei richiedenti asilo e “l’emergenza Nord Africa”

Respect our dignity, questo è lo slogan gridato dalle donne richiedenti asilo che venerdì sono riuscite a bloccare il traffico in via Giolitti per quasi un’ora, munite di sola determinazione e tenacia hanno occupato il tratto di strada compreso tra le fermate dei tram e l’ingresso principale della stazione Termini. Verso le undici e mezza una cinquantina di richiedenti asilo, per lo più provenienti dall’Eritrea, hanno improvvisamente protestato contro il trattamento che l’accoglienza italiana le riserva quotidianamente. Le loro rivendicazioni erano molto semplici, come recitavano i fogli bianchi volevano solamente che si rispettasse la loro dignità umana. Chiedevano, inoltre, di poter godere di quei diritti garantiti dalla legge, che tuttora non hanno ricevuto: un alloggio e dei servizi dignitosi; il possesso di un regolare permesso di soggiorno. La dimostrazione è stata interrotta dall’arrivo delle forze dell’ordine che prima le hanno spinte verso il marciapiede e successivamente le hanno costrette a salire su un autobus in direzione dell’ufficio immigrazione della Questura di Roma in via Teofilo Patini.

Le ultime notizie sono giunte a tarda serata, finito l’incontro negli uffici della polizia è stata fissata per febbraio la riunione della commissione d’asilo che dovrà giudicare il loro caso. Una prima vittoria significativa, che pone definitivamente fine alla snervante attesa a cui la burocrazia italiana ci ha abituati in tema di richiedenti asilo, tuttavia si tratta solamente di un primo passo, laddove ancora persistono evidenti problemi nelle loro condizioni di soggiorno.

Le donne che hanno manifestato a Termini sono richiedenti asilo giunte in Italia cinque mesi fa e alloggiano in un centro di accoglienza nelle campagne di Anguillara, piccolo comune sulle rive del lago di Bracciano. Un C.A.R.A molto diverso dagli altri, si tratta, infatti, di un centro sorto improvvisamente ormai più di un anno e mezzo fa, quando il governo proclamò l’emergenza Nord Africa e in tutte le regioni italiane sorsero improvvisamente delle nuove strutture. La fretta nell’allestire l’accoglienza ha comportato in molti casi l’inadeguatezza di questi nuovi centri, Anguillara rientra perfettamente in questo caso. Ciò che viene definito C.A.R.A non è niente altro che un’ex fattoria isolata tra le campagne, adibita per occasione in centro di accoglienza, in assenza di qualsiasi confort. Le gravi mancanze risaltano dalle parole delle manifestanti, vivere in case senza riscaldamenti, molto lontane dalla fermata dell’autobus più vicina per cui diventa pericoloso spostarsi alle luci dell’alba per recarsi a Roma. I deficit non sono solo strutturali, mancano tutti quei servizi che dovrebbero essere garantiti secondo il contratto, come il servizio legale, il servizio medico o l’inserimento lavorativo.

L’emergenza nord Africa è ormai giunta al termine, il 31 dicembre scade l’ultima proroga, eccetto un paio di mesi che il governo ha lasciato per effettuare la transizione. Molti dei centri aperti in questa fase verranno definitivamente chiusi, altri, come è già stato fatto con quello di Anguillara, verranno trasformati in Cara. In entrambi i casi si lascerà ampio spazio all’indeterminatezza. Da una parte molte persone giunte in Italia nel periodo dell’emergenza si troveranno senza alcuna protezione letteralmente in mezzo alla strada; dall’altra si produrrà, ancora una volta, una “normalizzazione” dell’emergenza, per cui

la forma utilizzata per gestirla verrà riprodotta anche nell’ordinario, con edifici in affitto da privati e gestione affidata alle cooperative, una sostanziale privatizzazione.

I rifugiati che fino ad oggi sono rientrati nel piano d’accoglienza messo a punto per la cosiddetta “emergenza nord africa” hanno protestato negli scorsi giorni in molte città d’Italia, da Bologna a Padova, chiedendo alle istituzioni italiane cosa ne sarà di loro in questo paese.

Le loro richieste, estremamente semplici, riguardano la tutela dei diritti fondamentali di uomini e donne temporaneamente o in modo permanente presenti sul territorio italiano, tra cui il diritto all’iscrizione anagrafica o un titolo di viaggio per potersi spostare liberamente, per cercare di sopravvivere altrove vista l ‘inesistenza delle garanzie previste per loro in Italia. All’interno di questo filone si inserisce anche la protesta di Roma, anche se da una diversa angolatura, parliamo sempre del post-emergenza ma non della sua fine, quanto piuttosto di una sua istituzionalizzazione, con il prorogarsi all’infinito di tutte le carenze e le violazioni di diritti che questa ha comportato.

La nuova fase di transizione lascia aperte molte questioni, ciò che invece sembra essere certo sono le mobilitazioni che attraverseranno l’Italia nei prossimi mesi. I rifugiati e i richiedenti asilo non sembrano più disposti ad essere trattati senza rispetto della loro dignità e chiedono a gran voce i diritti che per legge gli spettano. E allo stesso tempo sembra essere arrivato il momento per le istituzioni, la stampa, la società civile di prendere consapevolezza di questo ennesimo abuso che all’interno della crisi economica specula sulle vite delle persone socialmente piú deboli.

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