DIRITTI

Reddito per tutti: una proposta per avviare il confronto

Una Carta per (ri)aprire il dibatto e lanciare una grande “Alleanza per il Reddito”, un documento e due dibattiti per tornare a discutere e organizzare una campagna sociale, sindacale e politica

Perché rilanciare una battaglia per il reddito di base oggi? Perché pensiamo si tratti di uno strumento in grado di riaprire uno spazio di lotta e di rivendicazioni all’altezza della situazione che viviamo, di connettere tra loro settori del lavoro frammentati, di restituire dignità e forza alle battaglie che si sviluppano nei luoghi di lavoro retribuiti e non retribuiti, di re-distribuire la ricchezza sempre più polarizzata, di essere un’arma contro il ricatto del “lavoro purché sia”, di denunciare le disuguaglianze sociali .

Parlare di reddito di base oggi vuol dire interrogarsi sulla “nuova povertà” che pervade l’intero tessuto produttivo, sui lavoratori poveri (working poor) e sull’utilizzo sistematico del lavoro gratuito o sottopagato di cui sono intrisi gli stage e tirocini, affrontare in maniera radicale la questione dell’“industria 4.0” e dell’ulteriore polarizzazione che produce nel mercato del lavoro. Vuol dire interrogarsi sulla precarietà come condizione di vita ormai permanente e rispondere a un processo lungo vent’anni, portato avanti in maniera sistematica dal “pacchetto Treu” in poi. Rilanciare una campagna potente sul reddito di base vuol dire tentare di spezzare la “coazione allo sfruttamento” come principio sistemico e strutturale dentro questa crisi economica e sociale e rilanciare con forza il primato della dignità delle persone prima di ogni cosa, di ogni calcolo e di ogni profitto.

Rivendicare un reddito di base oggi vuol dire anche e soprattutto reagire al REI (Reddito di inclusione) che partirà il 1 gennaio 2018 e alle varie proposte che le forze politiche stanno mettendo in campo, in vista della imminente campagna elettorale, segnando così una netta differenza, un confine che non può essere superato: Il reddito di base non può essere una forma di “governo della povertà”, non può diventare un cappio al collo, non deve essere una misura immaginata per i “poveri fannulloni”, che come tali vanno educati e controllati.

Rivendicare un reddito di base, oggi, vuol dire anche rivendicare uno strumento utile per tutte le lotte che vanno condotte senza nessuna contrapposizione: battaglie per il lavoro di qualità per tutt*, per i salari, per un permesso di soggiorno minimo garantito, per l’abolizione del lavoro gratuito e di quella precarietà diffusa dal Jobs Act . Vuol dire, soprattutto, svelare gli inganni che si celano dietro la propaganda politica ed utilizzare i numeri per renderli evidenti.

1 Miliardo e 700 milioni, tanto è stato stanziato per l’attivazione del Reddito di inclusione (REI). Briciole, non sufficienti nemmeno per tamponare l’emergenza della povertà assoluta crescente. Infatti, a fronte dei 4milioni e 742mila individui in stato di indigenza solo 1,8 milioni ne potranno beneficiare ( meno del 40%) e solo per un tempo assai limitato. Risorse economiche ridicole, oltreché offensive se si paragonano a quelle destinate al salvataggio delle banche (20 miliardi) o a quelle investite nelle grandi opere inutili per il paese. Una misura pensata su base familiare, dove il sostegno economico non potrà superare un importo massimo di 485 euro ma solo in caso di famiglie di 5 o più componenti. Una miseria dunque, erogabile attraverso un’umiliante tessera con la quale si potranno comprare solo una limitata tipologia di beni. Governo e colpevolizzazione della povertà, appunto.

Vogliamo lanciare un percorso aperto che ragioni insieme sulle modalità e sulle forme di lotta ma che sia in grado di fissare alcuni punti e portare avanti alcune proposte concrete.

1) Il Reddito di base deve essere individuale e non familiare: per rilanciare l’autonomia dei soggetti mettendo al centro il loro benessere complessivo, per non vincolare le persone ad un ricatto ulteriore ed in sintonia con la rivendicazione di un reddito di autodeterminazione come descritto nel Piano femminista contro la violenza di genere del movimento femminista internazionale Non Una di Meno.

2) La lotta per il Reddito di base è una lotta contro la fiscalità regressiva: Bisogna riaffermare una fiscalità progressiva, tassare grandi patrimoni e transazioni finanziarie per finanziare il Reddito. Troppe volte il dibattito si è concentrato sulla sostenibilità della misura senza ricordare che il Reddito di base è anche uno strumento di redistribuzione della ricchezza in una fase di violenta polarizzazione

3) Il reddito di base deve essere strumento contro lo sfruttamento, il lavoro gratuito e sotto-retribuito, il ricatto del “lavoro purché sia”: per questo motivo non può che essere incondizionato e slegato dall’attivazione di percorsi di formazione obbligatori o all’accettazione di qualsiasi lavoro e non può diventare una forma di controllo sulle abitudini o gli stili di vita dei percettori.

4) Il reddito di base deve essere dato a tutti i residenti e non solo ai cittadini italiani: Senza combattere insieme ai migranti, senza il permesso di soggiorno minimo, non c’è lotta sul Reddito di base che non sia lotta escludente e corporativa. Per battersi contro una visione della cittadinanza che agisce come meccanismo di esclusione e segmentazione bisogna rivendicare una misura assolutamente universale, per autoctoni e stranieri, per impedire che le ricadute di qualsiasi misura finiscano sulle spalle dei soggetti più deboli e ricattabili.

5) La rivendicazione del Reddito di base non può essere slegata da altre battaglie: Salario minimo europeo, riduzione dell’orario di lavoro, permesso di soggiorno sganciato dal contratto di lavoro, rilancio del sistema della previdenza pubblica e difesa delle pensioni, welfare pubblico e lavoro di qualità. Ovvero un nuovo welfare universale Pensare oggi di portare avanti una battaglia per il reddito di base slegata da questi fattori sarebbe miope ed inefficace. Bisogna rivendicare una riduzione dell’orario di lavoro e parallelamente un salario minimo che sia su scala europea, la scala su cui si organizza l’offensiva del capitale; così come un permesso di soggiorno slegato dal contratto per far uscire i migranti da una condizione di ricattabilità e di sfruttamento assoluti, rompendo così la competizione verso il basso all’interno della forza lavoro. Il reddito di base, insieme a questi altri fattori, sarebbe in grado di permettere a lavoratrici e lavoratori di condurre questa battaglia contro la “massima elasticità” verso il basso di salari, diritti e tutele.

Lavoro gratuito e “gig economy”, stage e tirocini non pagati o sottopagati, finte partite iva, precarietà e conseguente ricattabilità, distruzione dei diritti nel mondo del lavoro, competizione verso il basso tra lavoratori autoctoni e migranti, incentivi alle imprese e libertà massima di licenziamento, polarizzazione delle ricchezze, fiscalità regressiva. Perché quella che è stata felicemente definita “lotta di classe dall’alto verso il basso” prosegue senza sosta e costruisce un sistema perfettamente funzionante. Per questo pensiamo che rivendicare un Reddito di base oggi voglia dire porsi all’altezza delle sfide che abbiamo davanti, far riconoscere tra loro i soggetti che, dentro a queste mille forme di sfruttamento, stanno subendo lo stesso attacco, dotarci di uno strumento che possa allentare il cappio che precarietà e povertà stanno stringendo al collo di milioni di persone e possa rompere questa infrastruttura di sfruttamento. Un Reddito di base per dire che prima delle banche, dei profitti e delle tasche dei miliardari c’è la dignità delle persone, di chi lavora e di chi non lavora, di chi ha una famiglia e di chi non ce l’ha. La strada sarà lunga ma è una strada che vogliamo percorrere insieme, lanciando un’alleanza che possa finalmente mettere al centro del dibattito la voce di chi sta subendo tutto questo.