ITALIA

Quei cannoni non devono partire

Da una fabbrica di armi che si trova a Roma lungo la via Tiburtina potrebbe partire nelle prossime ore un cannone da seicento colpi al minuto destinato all’esercito turco. Armi da usare contro la popolazione curda. Ma da stamattina una quarantina di attivisti stanno bloccando i varchi di ingresso e di uscita delle merci davanti alla sede della multinazionale Rheinmetal spa che li produce

Attivisti e attiviste della “Campagna Rise up for Rojava” si sono radunati alle 7 di questa mattina e da allora stanno bloccando i varchi di ingresso e uscita delle merci della sede dell’azienda Rheinmetal spa. Il motivo è presto detto: da questa fabbrica che si trova lungo la via Tiburtina è prevista la partenza, già dalle prossime ore, di un cannone da seicento colpi al minuto diretto verso la Turchia del sultano Erdogan.

È quanto denunciano gli attivisti e le attiviste della campagna “Rise Up for Rojava” che intendono continuare a oltranza il blocco. «È vergognoso che l’Italia continui a esportare armi che arrivano ad Ankara, legittimando e alimentando l’ignobile offensiva turca nel nord della Siria, che ha già comportato la morte e il ferimento di centinaia di civili e la creazione di una vera e propria emergenza umanitaria con la messa in fuga di 300mila uomini, donne e bambini», si legge su un volantino che gli attivisti stanno distribuendo all’ingresso. «Appare assurdo – continua il testo – che un eventuale embargo riguardi solo i futuri ordini, lasciando nel frattempo che gli armamenti prodotti in Italia continuino ad uccidere civili innocenti».

Già, perché l’Oerlikon fa parte di una commessa di 12 cannoni capaci di sparare 600 colpi al minuto  (nove sono già stati consegnati). Questo ordine di armi è stato commissionato alla sede italiana di Rheinmetal spa nel 2016 dalla Aselsan Elektronic, fornitrice dell’esercito turco. Sono i dati della Rete Disarmo a certificarlo. La Rete ha rivelato che solo dalla provincia di Roma, e soltanto nel primo semestre sono stati venduti ad Ankara componenti elettronici e relativi dispositivi per oltre 124 milioni di euro. Il pericolo è dunque che quello promesso dal Governo italiano sia un embargo di facciata. Per questo gli attivisti della campagna “Rise Up for Rojava” sollecitano l’opinione pubblica italiana a tenere alta l’attenzione sul tema, pretendendo un reale blocco dell’esportazione di armi alla Turchia.

 

Nel frattempo, lanciano l’appello alla mobilitazione in vista della manifestazione nazionale di Roma del primo di novembre contro la guerra, invitando le diverse realtà territoriali a dare un concreto sostegno alla lotta del popolo curdo: «segnaliamo i siti in cui si producono armamenti che potrebbero alimentare il massacro in Rojava». E soprattutto: «Chiediamo ai lavoratori ed alle lavoratrice della logistica e della produzione di svolgere un ruolo attivo nell’opposizione all’invio di macchine da guerra verso Ankara perchè se il Governo italiano non ha il coraggio di fermare l’esportazione delle armi esistono centinaia di uomini e donne pronti a realizzare un embargo popolare».