Notizie dal pianeta degli oranghi

Breve ucronia per capire i nostri tempi

Da Alfabeta2.it

Da qualche tempo le cose non vanno bene per noi orango. Circola la parola crisi. La foresta si dirada e le coltivazioni rendono meno. Fa sempre più caldo. Niente di grave, ma le prospettive non sono rosee e diffido di questi giovani e arroganti creature che vorrebbero venderci assicurazioni e scommesse sui futuri raccolti. Dalla precedente civiltà umana, bruscamente scomparsa, abbiamo ereditato pochissime testimonianze scritte, ma molti nastri e supporti magnetici con tutto quanto passava in televisione.

Abbiamo imparato parecchie cose della precedente civiltà anche se non comprendiamo bene come alcune di esse sono connesse fra loro. Per esempio, avevano elaborato cerimonie e discussioni con strane cose annodate al collo, poi però discutevano sempre di donne svestite (in Italia c’era sempre una certa Ruby, da cui dipendeva il governo) oppure appariva un’altra donna, con lo stesso vestito però ogni volta di colore diverso: la chiamavano Merkel e avevano tutti molta paura di lei. Era rotondetta e imperativa.

Usavano sempre quella parola crisi e l’associavano spesso a un’altra parola, derivati, che non riuscivano mai a spiegare chiaramente, ma assomigliava un po’ a quelle proposte che ci fanno quei giovani oranghi che chiacchierano tanto. Per via della crisi gli umani litigavano spesso fra loro e andavano sempre in televisione a insultarsi e accusarsi reciprocamente. Parlavano e avevano smesso di scrivere e di leggere. Addirittura per la crisi avevano chiuso le biblioteche e per questo ce ne sono rimaste così poche testimonianze scritte.

Noi oranghi all’inizio eravamo violenti, poi ci siamo civilizzati e a scuola ci hanno insegnato che probabilmente è stato un eccesso di violenza a provocare la scomparsa repentina della civiltà degli umani, quella che si chiamava Atlantide, pare. Ci facevano vedere quelle scene terribili di bombardamenti, poi tutto quel parlare di crisi, infine ipotizzavano ci fosse stato un regresso catastrofico e lo esplicitavano con altri filmati che si erano conservati e si riferivano a una festa tribale attribuibile alla fase di decadenza immediatamente precedente la loro scomparsa.

Questa festa aveva un nome strano – pekkenfest o begghenfest (la pronuncia era gutturale o l’audio era rovinato) e gli umani erano tutti vestiti di verde, prima facevano un balletto con le scope in mano con due che si abbracciavano e ruttavano, uno con gli occhiali rossi e un altro che farfugliava e si muoveva a scatti. Poi tutti applaudivano uno con la faccia tutta rossa. Questa tipica scena di violenza, ci insegnavano alle elementari, era un chiaro sintomo del processo autodistruttivo che dovremmo assolutamente evitare.

Penso spesso a quei poveri umani, che prima della follia ci avevano lasciato mirabili costruzioni che oggi poco a poco liberiamo dalla vegetazione e dalla sabbia. Adesso che la crisi ci sta sfiorando e alcuni oranghi cominciano ad alzare la voce e a insultarsi, mi domando come farli rinsavire e ritrarci ai nostri principi oranghisti.

Non con la violenza, ovviamente, ma neppure il ragionamento basta. Bisognerebbe farli vergognare, bollarli in modo tale che riflettano per analogia alle disgrazie umane. Ecco, ho trovato. Chiamerò il più accanito di loro con il nome del più famoso di quei deliranti ultimi uomini, il re della begghenfest o come diavolo si chiamava: Calderol o Calderul. In noi oranghi la vergogna ha ancora effetto.