ITALIA

Non vogliamo finire come Venezia

A Venezia è possibile osservare in modo esemplare quello che sta accadendo in molte città europee: la turistificazione dello spazio urbano. Contro questa macchina che espropria e divora tutto, è nata la rete SET, la rete delle città del Sud Europa contro la turificazione

Non vogliamo finire come Venezia. È il mantra che ritorna in tutti gli interventi che si succedono. L’immagine che facciamo vedere è quella del ponte di Rialto pieno di gente. Praticamente ferma. Non ci starebbe nemmeno uno spillo.

Gioco facile. A Venezia si mostra in maniera esemplare quello che succede in molte altre città. Complici lo spopolamento (nella città storica risiedono ormai meno di 54.000 persone, a fronte delle oltre 170.000 che questa ospitava nel dopoguerra), le dimensioni della città (non ci sono boulevard a quattro corsie ma piccole stradine, calli, che manifestano la loro insofferenza alla quotidiana pressione tursitica) e il fatto stesso di essere un’isola (e nonostante gli accessi siano molteplici, il ponte di Calatrava e la Stazione ferroviaria concentrano il gran numero degli ingressi), il caso di Venezia è un caso da manuale, isolato come in laboratorio dalla presenza della sua laguna, che al contempo la abbraccia e separa dal resto del mondo.

Siamo a Palma. È l’estate del 2017. Una sala gremita accoglie il dibattito sulla turistificazione. Palma, Barcellona, Madrid e Valencia affrontano le implicazioni e l’impatto del turismo di massa in Spagna. Lisbona e Venezia offrono due punti di vista molto diversi. Da una parte una città che si solleva dalla crisi economica puntando sul turismo che velocemente raggiunge numeri importanti trasformando la capitale portoghese (speculazione immobiliare, investimenti di capitali finanziari stranieri, espulsione della popolazione dal centro storico), dall’altra un fenomeno di lunga durata che ha già cambiato la città di Venezia e influenzato la sua economia, ritmato da grandi e piccoli eventi che potenziano gli arrivi in ogni momento dell’anno.

Da quell’estate del 2017 le occasioni di confronto si susseguono. Venezia, primavera 2018: in campo San Giacomo, di fronte alla Vida sgomberata, incontro di alcune città italiane sulla turistificazione. Al centro del dibattito: la (s)vendita del patrimonio pubblico, la mancanza di pianificazione urbanistica, l’espulsione degli abitanti dal centro storico. Le affittanze turistiche. Proviamo a smontare l’immaginario del “bel paese”, quello che racconta che di turismo si vive, si può vivere. Si deve vivere.

Barcellona. Estate 2018. Quasi un anno dopo quel primo incontro, e con l’emozione dentro propria delle grandi occasioni. Il secondo Fòrum Veïnal sobre turisme ospita il primo incontro della rete SET: la rete delle città del Sud Europa di fronte alla turistificazione. Ci sono stati incontri, mail, telefonate, analisi e iniziative. C’è un manifesto. Un video. Una mappa e un logo. Ci sono state molte adesioni: Siviglia, Pamplona, Malta, Malaga, Girona, Donostia/San Sebastian, Canarie, Camp de Terragona. C’è una forte consapevolezza: quella che è necessario uscire dall’isolamento. Non si tratta del ponte di Rialto intasato. Della coda agli Uffizi. Del numero chiuso alle cinque terre. Degli sfratti in centro storico a Napoli. Abbiamo a che fare con un sistema complesso e atipico. La produzione legata al turismo è composta da molti elementi: mercato, viaggio, destinazione e marketing, cioè tutto quello che serve ai bisogni del turista.

Il turismo è l’industria più importante del nostro tempo (lo dice bene Marco D’Eramo, nel suo Il selfie del mondo e lo dimostrano i dati: il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari secondo l’Organizzazione Mondiale del commercio, il 10% del PIL mondiale). E la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio, cementifica. Alimenta un indotto gigantesco: aerei, navi, treni, auto, pullman. Costruisce imponenti infrastrutture: potenzia e costruisce ex novo, aeroporti (Palma, 400 mila abitanti circa, è il terzo aeroporto spagnolo per importanza e per volume di passeggeri trasportati), porti per navi da crociera (il 31 marzo è partita dal porto di Barcellona Symphony of the Seas, la nave da crociera più grande al mondo, con 6680 passeggeri), strade. Costruisce nuovi alberghi, interi villaggi, abitazioni, campi da golf, piscine, impianti sciistici, impianti marittimi, attirando gli investimenti da parte di grandi capitali internazionali. Fabbrica e vende arredi, souvenir, valigie, suppellettili di diverso tipo. Senza dimenticare la rete, le piattaforme di quella sedicente sharing economy che contribuisce a sottrarre abitazioni dal mercato residenziale per offrile all’altare della speculazione turistica: Booking.com, Airbnb… E poi Trip Advisor, il meccanismo del rating. Si vende immaginario, si promuovono eventi e opuscoli, si inventano mode, si produce brand: la Regione Veneto diventa “The Land of Venice”, Palma si vende come Palma di Maiorca.

 

Il turismo visto da qui, dà le vertigini. Una macchina che divora tutto: acquista centri storici, trasforma i suoi commerci, le sue abitazioni, le modalità di lavoro. Trasforma il tessuto sociale e culturale ed economico delle città.

 

È per affrontare questo scenario complesso che nasce SET. Per analizzare il fenomeno, interpretarlo. Costruire iniziative comuni. In Italia dopo Venezia, aderiscono Firenze, Bergamo, Napoli. In altre città si avvia la discussione.

 

Davvero questo è l’unico modello di sviluppo economico possibile? Perché, ci diciamo, le nostre città sono al limite, e di turismo, più che vivere, sembrano ormai morire.

 

Di fronte a un’industria che ci espropria delle nostre case, delle nostre strade, dei nostri luoghi collettivi, in tanti stiamo cominciando a dire che occorre invertire la rotta, e farlo in fretta, perché assieme ai luoghi che abbiamo conosciuto, amato e vissuto, non muoia l’idea stessa di cosa vuol dire “città”, trasformata in una banale scenografia teatrale, consumata come una merce e venduta week-end dopo week-end a chi può permettersela.