ROMA

«Non per noi, ma per tutt*»: nel No Delivery Day romano, prove di convergenza delle lotte

Ieri, in tutta Italia, si è tenuto il No Delivery Day, il primo sciopero dei rider sul territorio nazionale. A Roma due gli appuntamenti: al mattino a piazza Barberini insieme ai precari dello spettacolo, in un’interessante unione tra «invisibili della pandemia», di pomeriggio con i sindacati confederali a piazza San Silvestro

Anche a Roma, come in oltre trenta città dello Stivale, ieri i rider hanno incrociato le braccia per il No Delivery Day, com’era stato rinominata la giornata di mobilitazione nazionale. «Oggi, come rider, puntiamo sostanzialmente a dare un segnale alle aziende organizzate in Assodelivery, le quali rifiutano di confrontarsi con le parti sociali e continuano a ribadire un modello basato sul rapporto di lavoro autonomo e sul pagamento a cottimo, tra l’altro proibito nell’ambito della sfera del lavoro subordinato», spiega Antonello Badessi, attivista del coordinamento nazionale Riders per i diritti.

 

La rete, sviluppata su iniziativa delle numerose Union sorte nel territorio italiano, «nasce per fare un discorso nazionale, poiché volevamo tutti le stesse cose, e ospita al suo interno anche singoli rider, indifferentemente che siano iscritti o meno ai sindacati».

 

Proprio i confederali erano ben presenti nel secondo appuntamento della giornata romana, quello pomeridiano nella piazza San Silvestro. Già prima che iniziassero ad arrivare i veri protagonisti della mobilitazione, la centralissima piazza capitolina è presa d’assalto dagli attivisti della Cgil e di Uil Trasporti. «C’è stato un ritardo del sindacato confederale nell’intervenire sulla questione, ma ora sembra essere stato colmato», conferma Badessi.

Quando però i rider cominciano a confluire in piazza San Silvestro, le riconoscibilissime scatole per il trasporto del cibo (arancione per JustEat, verde acqua per Deliveroo e gialla per Glovo) vengono accatastate tra le bandiere rosse e azzurre, per la gioia dei tanti fotografi presenti. Intanto dal microfono si susseguono gli interventi di sindacalisti, lavoratori e lavoratrici, sostenitori e compagni di lotta, come i ragazzi e le ragazze della Rete degli studenti medi.

 

 

Lorenzo Montanari fa il rider: già dall’anno scorso lavorava per JustEat, ma nell’ultimo mese si è iscritto anche a Deliveroo. Racconta di aver iniziato perché «vivendo a Roma devo pagare un affitto e non avendo trovato altri lavori ho dovuto arrangiarmi con uno dei lavori più richiesti e in cui era più facile venire presi». Anche se riesce a condurre «una vita abbastanza normale e tranquilla», preferirebbe «essere assunto con un contratto subordinato o comunque sia con alternative a all’attuale accordo quadro, siglato a novembre tra Assodelivery e Ugl, che prevede il mantenimento del cottimo totale, vietato in Italia per legge, e nessuna tutela retributiva quindi nessun contributo pensionistico, nessun contributo per la malattia, per gli infortuni e nessun minimo orario».

 

Roberto è invece fattorino Deliveroo già da qualche anno e può testimoniare i passi fin qui fatti nella lotta per i diritti, ancora ben lungi dall’essere terminata. «Fino all’anno scorso avevamo un sistema di statistiche con cui l’azienda ci inquadrava. Addirittura in caso di infortunio non solo non si veniva pagati, ma oltretutto si veniva puniti perché queste statistiche veniva abbassate».

 

Questo meccanismo è stato poi superato, ma le cose non sono migliorate tanto: «Adesso il sistema si basa sul free-login: il problema è che di nuovo, subdolamente, ti spostano dove vuole l’azienda perché sulla mappa c’è un sistema di poligoni più scuri e più chiari a seconda della richiesta. Quindi sei invogliato a spostarti nella zona dove c’è più richiesta, ma questa cosa non sempre corrisponde a realtà».

Un altro inconveniente di questo nuovo sistema è che spesso dà origine ad assembramenti pericolosi nei pressi dei ristoranti e, soprattutto, dei fast-food. Spiega Badessi: «Nell’ultimo hanno abbiamo assistito a una diminuzione del lavoro o, almeno, a una concentrazione in meno ristoranti e questo comporta anche anche potenziali assembramenti». Il contratto Assodelivery-Ugl avrebbe inoltre dovuto introdurre una tariffa oraria per i rider: dieci euro all’ora. Nella realtà pratica invece le cose sono differenti.

 

«L’accordo Ugl-Assodelivery fa questa quantificazione di dieci euro l’ora per ora lavorata (dunque escludendo le attese), ma non è neanche per ora lavorata, ma è per il tempo, stimato unilateralmente dalle aziende, che si dovrebbe impiegare per la consegna», illustra Badessi.

 

Forse meno partecipata rispetto ad altre città d’Italia (a Bologna i rider hanno bloccato l’accesso al McDonald’s tra via dell’Indipendenza e piazza Maggiore), la manifestazione pomeridiana era soltanto una parte del Nodeliveryday romano. Infatti, alle undici del mattino, i rider e altri precari si sono riuniti in piazza Barberini, a pochi passi dal Ministero del lavoro, per un’assemblea promossa dalle sigle autoconvocate di lavoratori e lavoratrici del mondo dello spettacolo.

«Siamo qui tutti e tutte assieme per rivendicare il reddito e per uscire dalla precarietà del nostro settore, insieme a lavoratori e lavoratrici che oggi hanno indetto uno sciopero importante: i rider», così ha esordito al microfono David Ghollasi di Risp, la Rete intersindacale dei lavoratori dello spettacolo nata a Roma.

 

Le richieste di musicist*, tecnic* e artist* sono le stesse che ormai vengono portate avanti da un anno intero, innanzitutto la convocazione di un tavolo intersindacale.

 

«Abbiamo scelto questa data perché direttamente antecedente a quella della falsa riapertura evocata da Franceschini. E abbiamo scelto di manifestare insieme ai lavoratori della logistica e ai rider perché crediamo che le istanze siano comuni: la fine della precarietà, un reddito per tutti e tutte, lo stop allo sfruttamento nei nostri settori», ha proseguito Ghollasi.

Dopo di lui, al microfono, sono intervenut* component* del collettivo artistico Il Campo Innocente: pur concentrando la propria osservazione sul mercato dell’arte e le sue dinamiche «asimmetriche, tossiche, coloniali, razziste ed etero-normate», hanno saputo cogliere con efficacia una delle problematiche principali della gig economy.

 

 

Prima di leggere l’intero manifesto Ubi, hanno infatti dichiarato: «Il paradigma della produzione continua, offline e online, sembra essere la nostra unica possibilità di sopravvivenza: l’oppressione di sempre che muta e si adegua ai tempi, per poi produrre ancora, ma cosa, per chi, perché e per andare dove?».

Anche per questo motivo, per sfuggire al continuo pressing delle piattaforme digitali e a un meccanismo che li vorrebbe sempre più imprenditori di se stessi tramite anche l’autopromozione e la competizione, i rider avevano pensato a varie possibilità di espressione dello sciopero.

 

«Questo è un lavoro tutto particolare ci sono tante forme tecniche di astensione, semplicemente non ti metti online o ti metti online e rifiuti gli ordini. Lasciamo alla fantasia dei colleghi, ma anche alle circostanze locali», dice Badessi.

 

Presente anche all’assemblea di piazza Barberini, l’esponente di Riders per i diritti nel suo intervento ha concordato sull’importanza della convergenza tra i lavoratori e le lavoratrici di differenti ambiti: «Questa mattina, qui a Roma, siamo insieme alle associazioni autoconvocate dei precari del mondo dello spettacolo perché non siamo gli unici ad aver subito problemi di sopravvivenza durante la pandemia: è un’importante esperienza di alleanza».

«Oggi è una giornata preziosa e non scontata perché siamo in piazza insieme con i cosiddetti invisibili della pandemia che purtroppo erano invisibili anche prima, con chi ha pagato e continua pagare il prezzo più altro di questa crisi», afferma Tiziano Trobia delle Clap – Camere del lavoro autonomo e precario dal microfono del presidio: «Dobbiamo tenere altra la guardia, dobbiamo fare in modo, costruendo piazze, mobilitazioni e coordinamenti, che a decidere del proprio futuro finalmente siano le lavoratrici e i lavoratori. Andiamo avanti, è un momento difficile, ma abbiamo dimostrato che anche in un anno di pandemia si possono costruire delle cose grandiose».

 

 

Tutte le foto di Nicolò Arpinati