ROMA

Vittorio Giannitelli

Nasce Priot, rete per un attivismo queer intersezionale

Mentre il governo Meloni parte all’attacco dei diritti lgbtqia+, nasce a Roma una rete che mette assieme istanze queer radicali per farne un percorso comune di lotta

Da qualche settimana ha iniziato a ritrovarsi e promuovere iniziative una rete queer radicale in città, PRIOT, acronimo di Pride Romano Indecoroso Oltre Tutto. Abbiamo intervistato alcuni membri del coordinamento per comprendere le ragioni e il progetto politico che lo ha generato.

Ci puoi raccontare come è nata l’idea della rete?

B. Lo stimolo è venuto durante un recente incontro della rete nazionale Stati Genderali, nel quale ci siamo incontrate tra soggettività transfemministe e queer della città e abbiamo condiviso alcune necessità. A Roma manca uno spazio di incontro e di rete su tematiche queer radicali che ponga a critica sistemica il mondo in cui viviamo e quindi si opponga a rainbow washing, omonazionalismo e cooptazione consumistico-capitalista delle istanze lgbtqia+. Siamo tornat3 a Roma dopo questo incontro, con il desiderio di incontrarci e di metterci in rete con le molte realtà che condividono questo stesso bisogno. La città ne è ricca, spesso però si mantiene una modalità di azione frammentata e isolata, crediamo sia il momento di fare un pezzo di strada assieme.

Abbiamo iniziato a contattare queste realtà e ne sono nati i primi incontri.

Nel concreto poi di cosa avete discusso nelle prime assemblee?

L. Siamo partit3 confrontandoci sui nostri desideri e su quello che ci produce rabbia, e abbiamo trovato notevoli affinità. Sentiamo le nostre identità non rappresentate dalla visione mainstream del mondo lgbtqia+. Sentiamo necessaria una visione intersezionale e queer, che veda la nostra lotta di liberazione come parte integrante di tante altre lotte e che sia critica verso questo sistema capitalista che devasta il pianeta, le nostre vite, i corpi tutti.

Sogniamo e vorremmo costruire un Pride – e il processo che lo porta a esso – radicale, conflittuale, intersezionale e libero dal peso consumista di un capitalismo che traduce la nostra lotta in marketing.  Sentiamo poi il bisogno di avere una rete larga e plurale che sia strumento di azione politica e di confronto allargato e sia uno spazio aperto e inclusivo.

È emerso poi il desiderio comune di costruire spazi di conflitto in città su questi temi, visto che viviamo in una sorta di anestesia perenne nella quale, ad esempio, i Provita prendono sempre più spazio pubblico e lo usano per fomentare il loro odio, nel silenzio cittadino.

Crediamo che il potenziale del nostro lavoro assieme possa essere più dirompente degli importanti percorsi che ogni giorno costruiamo singolarmente.

Veniamo allora al grande tema, il Pride, che riecheggia anche nel vostro nome.

D. Ovviamente il tema del Pride è parte del nostro orizzonte di cambiamento. Nel costruirci come coordinamento ci siamo però dett3 che da un lato vogliamo rivoluzionare la stagione del Pride, non solo una data, dall’altro ci sono altri 11 mesi dell’anno che hanno altrettanto bisogno di essere riempiti di lotte queer, non possiamo fermarci a giugno. Vorremmo costruire un orizzonte di lotta comune, pertanto, che vada ben oltre il Pride.

Cosa non vi soddisfa del Pride per come è ora?

P. La presenza impattante di soggetti che fanno rainbow washing, cioè utilizzano i temi lgbtqia+ per ripulirsi la coscienza sporca e che nel loro agire quotidiano riproducono violenze e sfruttamento: cioè le multinazionali, le ambasciate di paesi potenti o le associazioni che inneggiano allo stato di Israele come stato liberale che tutela diritti.

Questi soggetti snaturano quella che è l’essenza più profonda del Pride, cioè la riappropriazione orgogliosa dei nostri corpi, dei nostri desideri, delle nostre strade e rischiano di trasformare il tutto in una parata performativa, conforme e paradossalmente normalizzante. Il giorno dopo finisce lo show arcobaleno e se ne riparla l’anno successivo. Non è più accettabile oltre che essere spesso inutile o controproducente rispetto alla nostra lotta. Vediamo pure come problematici i tentativi delle istituzioni o dei partiti di appropriarsi delle nostre rivendicazioni in modo strumentale attorno a quella giornata.

Ovviamente siamo una rete larga, ci sono tante opinioni diverse su come cambiare quello spazio, le accogliamo tutte e cercheremo di vedere cosa si possa costruire assieme dentro e fuori la giornata che quest’anno a Roma sarà il 10 giugno.

V. Va pure detto che per come si è costruito negli ultimi anni il Pride non è neppure più uno spazio safe. La presenza invadente di security, il percorso imbrigliato in una gabbia, le norme impegnative per la partecipazione rendono la parata ancora di più uno spazio vetrina e ancora di meno uno spazio di libertà e di rivendicazione diritti.

In questo governo i diritti lgbtqia+ sembrano tra i primi a essere presi di mira.

F. Ovviamente questa rete nasce anche in questo particolare contesto politico. Viviamo un attacco legislativo e una violenza mediatica costante da parte di membri della maggioranza neofascista e delle loro associazioni di prossimità come i Provita.

In questo scenario agghiacciante ci accontentiamo di fare una parata luccicante un giorno all’anno aspettando che qualcuno elargisca briciole di diritti oppure ne approfittiamo per mettere a critica il sistema complessivo sul quale patriarcato e eterocisnormatività si basano? Per noi la scelta è per la seconda opzione, ma c’è bisogno di agire questa scelta assieme.

Il fallimento del percorso per il DDL Zan ha dimostrato una volta in più che in Italia nelle mediazioni al ribasso con la politica si rimane sconfitt3. Non è tempo di fare tavoli, ma di ribaltarli.

Nei vostri testi parlate spesso di spazi queer che siano anche safe. Mancano a Roma?

P. Ci sono indubbiamente molti spazi cittadini che costruiscono importanti iniziative queer, però al tempo spesso ce ne sono altri che ripropongono quella visione consumista, conforme e normata dei diritti lgbtqia+ e in quegli spazi ci si può sentire a disagio.

Avere una rete queer quale quella che stiamo immaginando permette pure di lavorare per costruire assieme ulteriori spazi di socialità dove sentirci sicur3 e rappresentat3.

La prima serata che abbiamo costruito, il 26 marzo presso la stazione Prenestina liberata, poco prima dello sgombero è stato anche questo.

Vi siete espressi rispetto a una questione delicata che riguardava la manifestazione “Protect the Trans Youth” ci puoi spiegare perché?

M. Abbiamo sentito l’esigenza di esprimerci perché nell’occasione di quella manifestazione si è verificato un problema già presentatosi in altre manifestazioni lgbtqia+ in Italia, ossia l’adesione formale di Polis Aperta, associazione lgbt delle forze dell’ordine. Come rete queer radicale abbiamo espresso il nostro dissenso per un’iniziativa che, proponendosi da un lato di proteggere le giovani persone trans, permette, dall’altro, la partecipazione di chi rappresenta il braccio più violento e repressivo del sistema che ci opprime.

Siamo persone queer, trans e non binarie e i nostri corpi sono politici e politicizzati. Non possiamo quindi immaginare una giornata di visibilità trans che non tematizzi l’intersezione tra le lotte e che non raccolga le istanze che sin dal primo Pride hanno guidato la comunità queer nella rivolta proprio contro le forze di polizia.

Non ci sentiamo a nostro agio ad attraversare una piazza insieme a chi fino al giorno prima ci ha oppress3 esercitando la violenza, discriminando le soggettività marginalizzate e togliendoci gli spazi che con cura cerchiamo di costruire. Rifiutiamo il sistema di potere eteronormato, patriarcale e machista che nella polizia e nelle forze armate trova massima espressione e riproduzione e ribadiamo l’incompatibilità della lotta queer con un’idea neoliberale di società. Ovviamente sosteniamo le singole soggettività che hanno deciso di partecipare e le ragioni che le hanno portate in piazza.

Ora avete organizzato un altro momento pubblico, per il 5 aprile, la via Frocis con quale obiettivo?

D. Ci sembrava assolutamente da cogliere la coincidenza tra la settimana santa, che in città ci fa sentire una volta in più il peso opprimente del Vaticano e del clero, con l’anniversario della prima protesta omosessuale italiana, a Sanremo dal 5 al 7 aprile 1972: una protesta poco conosciuta e troppo poco ricordata, contro un convegno di psichiatri che criminalizzava l’orientamento sessuale non eteronormato.

Abbiamo pensato perciò di riappropriarci delle strade di Roma proprio in questo giorno, a 51 anni di distanza da quella che da alcuni fu definita “la Stonewall italiana”.

Percorreremo un itinerario composto di 14 stazioni portando il peso della croce dell’eterocispatriarcato che ci condurrà alla stazione finale: la nostra resurrezione frocia. Nel percorso ci faremo guidare dallo spirito della nostra Sacra Vulva: l’Holy Vagina.
In ognuna delle stazioni ricorderemo una tappa della nostra storia di oppressioni e di lotte di liberazione.

Lo faremo con musica, divertendoci, ironizzando ed esorcizzando, sarà un bel momento, il Pride è già ora!

Come si può partecipare a PRIOT?

F. Siamo una rete inclusiva aperta a chiunque condivida l’antifascismo e le istanze che qui abbiamo raccontato. Ci ritroviamo in modo itinerante all’interno di diversi spazi romani. Le assemblee sono pubblicizzate tramite il nostro profilo IG e sono invitate sia soggettività singole che collettivi della città interessati come noi a una rete simile.

Immagine di copertina di Vittorio Giannitelli