ITALIA

Napoli insorge contro la direttiva Lamorgese

In migliaia hanno sfilato oggi per le strade del capoluogo campano: disoccupati, Movimenti per la casa e collettivi da tutta Italia per i diritti del lavoro e contro «un sistema che produce guerra e sfruttamento»

«Questo non è un corteo di solidarietà, ma è la voce di chi non si vuole arrendere». Sono in migliaia a sfidare oggi a Napoli la direttiva Lamorgese che intende comprimere il diritto a manifestare: lavoratori e lavoratrici da tutta Italia, movimenti della lotta per la casa, studenti autorganizzati si sono radunati verso le 14 sotto la statua di Garibaldi nel piazzale della stazione e hanno strappato la possibilità di muoversi in corteo.

C’è una continuità storica che lega la giornata odierna, la città partenopea e le lotte del mondo del lavoro: «Tutti i giorni come il sette novembre» è uno degli slogan che risuonano fin dall’inizio della mobilitazione, a echeggiare gli scontri che nel 2014 seguirono l’approvazione del decreto “Sbloccaitalia”. Da quel momento in poi precari e precarie di diverse aziende e da diversi settori diedero vita a un movimento coeso e molto attivo nel scendere in piazza ogni qual volta i diritti del lavoro venivano minacciati fino alla manifestazione di oggi che ha carattere nazionale.

Oltre alle realtà napoletane, come appunto il Movimento disoccupati 7 novembre che ha aperto il corteo, ci sono rappresentanti della Texprint di Prato, dell’Electrolux di Treviso, impiegati e impiegate nella logistica dell’area bolognese e modenese e tante altre realtà. Tutte denunciano un problema molto semplice: «Con la pandemia sono aumentati i profitti delle imprese, sono aumentati i costi delle bollette. Tutto aumenta meno che i nostri salari».

La protesta si avvia su corso Umberto I bloccando la strada, intonando cori e accendendo fumogeni. Dal carro in testa si susseguono testimonianze da tutta Italia sull’inasprimento delle condizioni lavorative, mentre alcuni cartelli forgiati a mo’ di scudi indicano coloro che i e le manifestanti reputano la vera «associazione a delinquere»: Mario Draghi, il presidente di Confindustria Bonomi e i sindacati confederali. Se la diagnosi è chiara, anche sul metodo di cura pare esserci una forte condivisione: «Il conflitto è la nostra unica speranza», urla un membro di SiCobas.

Tanta attenzione viene posta anche sul “nodo Green Pass”. In coda al corteo sfilano alcuni piccoli gruppi che si oppongono alla certificazione obbligatoria nonché a un’eventuale obbligo vaccinale, ma chi interviene si dice ripetutamente contro «a quelle piazze che non mettono al centro le questioni sociali». Le derive autoritarie della pandemia, dicono dal corteo, «vanno lette all’interno di un attacco più generale ai diritti del lavoro, dell’abitare e della salute, che deve diventare un concetto più ampio rispetto alla semplice assenza di malattia».

Perciò, insistono lavoratori e lavoratrici, «uscire dalla pandemia significa sempre più uscire dalla sindemia, ovvero da una crisi che è sanitaria e sociale al tempo stesso». Vuol dire anche, come affermano collettivi bolognesi, «combattere le norme eterocispatriarcali che vigono negli ambienti di lavoro». Significa, insomma, «creare un ritmo di vita e di lavoro diverso da quello del sistema. Un sistema che produce guerra e sfruttamento, quando invece ci sarebbe lavoro per tutti e tutte».

La massa sempre più compatta e rumorosa imbocca la salita che porta verso piazza Plebiscito. Davanti alla questura, vengono sparati dei fuochi d’artificio per porre attenzione verso le strutture che, alle richieste di chi è senza lavoro e senza casa, «risponde solo con repressione».

Dal megafono si grida: «Oggi Napoli rialza la testa», mentre le persone portano gli occhi al cielo. Un’immagine che fa il paio con lo slogan «Insorgiamo» del collettivo di fabbrica Gkn, che viene scandito più volte anche oggi e che sembra dunque diventare un auspicio di tutta la classe lavoratrice. La manifestazione si chiude proprio in supporto alla lotta degli operai e delle operaie di Campi Bisenzio, a cui vengono dedicati almeno dieci minuti di cori che riempiono piazza Plebiscito.

Tutte le foto di Sofia Cabasino e Francesco Brusa.