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I movimenti sociali africani guidano la prevenzione contro il Covid19

In molti paesi del continente africano, attivisti dei movimenti sociali e rapper hanno dato vita a una serie di campagne di sensibilizzazione e presa di coscienza per combattere il virus

Il coronavirus da qualche settimana è arrivato nel continente africano, con il primo caso positivo registrato in Nigeria alla fine di febbraio. Per ora, la cifra totale in Africa ammonta già a oltre 10.000 casi registrati e i paesi più colpiti sono Algeria, Egitto e Sudafrica.

 

Fonte: Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie – Distribuzione dei casi di COVID-19 nel mondo. Data di aggiornamento: 8-04-2020 • Autore: Arnau Quinquillà A Flourish map

 

Il numero dei casi africani è considerato basso rispetto all’incidenza – al 9 di aprile – della malattia negli Stati Uniti (434.791), in Spagna (148.220) e in Italia (139.422). Ma, come riportato dall’OMS Africa, si teme che le infezioni aumenteranno nelle prossime due o tre settimane.

Non appena i primi contagi sono iniziati, i governi di Sudafrica, Nigeria, Senegal, Gambia e Kenya hanno immediatamente applicato misure come il confinamento, la chiusura delle frontiere, la sospensione delle attività scolastiche e il coprifuoco.

Da anni, paesi come la Repubblica Democratica del Congo, il Sudafrica, la Sierra Leone, la Guinea, la Liberia e l’Uganda, tra i tanti, memori dell’esperienza nella gestione di malattie come la meningite, il colera, l’AIDS, il morbillo o l’Ebola, hanno sviluppato protocolli e sistemi di allarme che si attivano con maggior rapidità e facilità.

Questi paesi dispongono di procedure consolidate, come il lavarsi le mani, gesto essenziale per combattere il virus Ebola che ha una mortalità media del 50% e tra il 25% e il 90% durante gli ultimi focolai.

In questa situazione di epidemia globale, si rendono necessarie azioni sociali e politiche per limitare la diffusione del virus, ed è qui che entrano in azione i movimenti sociali come Y’en a Marre in Senegal, Balai Citoyen in Burkina Faso e Lucha nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Y’EN A MARRE, PRESA DI COSCIENZA ATTRAVERSO LA MUSICA

Y’en a Marre [“Siamo Stufi” in francese – ndt] è un movimento sociale nato nel 2011 a Dakar, in Senegal grazie all’azione di rapper, writer e giornalisti. Da allora, chiedono un miglioramento del sistema sanitario, dell’istruzione pubblica e la riduzione del prezzo dell’elettricità nel paese.

Da lunedì 23 marzo, a causa dell’epidemia globale di Covid-19, il governo di Macky Sall ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Senegal e introdotto un coprifuoco dalle 20 alle 6, oltre ad aver chiuso moschee e scuole.

Simon Kouka, attivista e rapper del movimento Y’en a Marre, spiega che il governo ha preso le decisioni molto rapidamente. Il movimento è sempre stato molto critico nei confronti dello stato, ma in questa situazione afferma che è necessario lavorare insieme contro il virus. Per quanto riguarda il governo, l’attivista ritiene che «hanno fatto abbastanza bene, per una volta, mi dispiace, appoggio le azioni dello stato senegalese».

Dal movimento lanciano alcune richieste al Presidente, come quella di dotare gli ospedali di maggiori risorse, attrezzature e formazione. Hanno anche chiesto che i senegalesi con maggiori difficoltà economiche siano esentati dal pagare le bollette dell’elettricità o dell’acqua per i prossimi tre mesi.

 

Kouka spiega che molte persone che lavorano in maniera informale e che vivono giorno per giorno saranno colpite da queste misure e sottolinea che «Molte attività hanno chiuso o chiuderanno i battenti, i tassisti o gli autobus sono già senza carburante e molti mercati hanno già chiuso, quindi si perderanno dei posti di lavoro».

 

In questa situazione, Y’en a Marre continua ad essere un attore fondamentale per la presa di coscienza sociale e la sua musica mobilita le masse. Nel 2014 avevano già realizzato un video di sensibilizzazione sull’epidemia di Ebola. Ora la loro musica riguarda il Covid-19.

Ecco perché i rapper del movimento hanno creato la campagna Fagaru Ci Coronavirus [prevenire il coronavirus in lingua Wolof – nda], una canzone di sensibilizzazione nella quale informano sulle misure da adottare contro il virus.

 

 

La canzone è stata inviata per primo al governo per avere una conferma ufficiale e il Ministero della Sanità ha autorizzato la realizzazione del video presso l’Ospedale Universitario di Fann a Dakar, nel quale i rapper compaiono vestiti da tecnici di laboratorio, esaminando provette e microscopi e cantando a ritmo di rap «Stai attento, proteggiti, prendi precauzioni».

Il video ha avuto migliaia di visualizzazioni su YouTube e “MiPiace” sui social network e, secondo Kouka, «queste canzoni sono molto ascoltate, usiamo questa leva per parlare direttamente ai giovani e aumentare la loro presa di coscienza».

Il movimento ha preparato altre iniziative, come l’organizzazione di una carovana di sensibilizzazione con un impianto stereo in giro per le strade di Dakar e dei sobborghi trasmettendo la canzone «Fagaru Ci Coronavirus».

Continueranno anche a creare video di sensibilizzazione. Per ora hanno già pubblicato tre sketch sul loro canale YouTube, dove mostrano diverse situazioni e spiegano alla popolazione senegalese le misure che devono seguire per non diffondere il virus.

La musica gioca un ruolo fondamentale al giorno d’oggi, è davvero uno strumento di sensibilizzazione e presa di coscienza. In Senegal, prima di sentire la canzone, i giovani pensavano che fosse tutta una manipolazione politica. Kouka afferma come la musica, in particolare l’hip hop senegalese, raggiunga più persone di «certe dichiarazioni di politici, partiti o associazioni».

 

BALAI CITOYEN, «INSIEME, NON SIAMO MAI SOLI»

Balai Citoyen [“Scopa Civica” in francese – ndt] è un altro dei movimenti conosciuti nel continente africano per aver guidato la resistenza popolare contro l’ex presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré. Nato nel 2013, da allora continua a essere un elemento fondamentale della lotta sociale e politica del paese. Attualmente, si stanno preparando per le elezioni presidenziali e legislative che si terranno verso la fine del 2020.

Il presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christián Kaboré, lo scorso 20 marzo ha annunciato la chiusura delle frontiere terrestri e aeree oltre ad aver istituito un coprifuoco dalle 19 alle 5 a Ouagadougou, la capitale dove si concentra la maggior parte dei casi.

Fatoumata Souratié, attivista di Balai Citoyen, critica il governo per non aver anticipato la crisi, «avremmo dovuto prendere le nostre precauzioni prima, non appena avevamo visto come [il virus] si stava diffondendo in Cina» e aggiunge: «avremmo potuto fare di meglio».

 

Dal movimento chiedono che il governo «adotti misure tempestive e appropriate per quanto riguarda l’assistenza delle persone colpite dal Covid-19» oltre a «evitare qualsiasi speculazione sulla disponibilità e sul prezzo dei prodotti di protezione: saponi, soluzioni idroalcoliche, maschere, guanti, ecc.». Strumenti che devono essere «disponibili a tutti».

 

Le misure adottate per fermare il virus interesseranno l’intero paese, economicamente e socialmente. Souratié commenta come «le famiglie saranno colpite economicamente dalla chiusura di determinate attività come i trasporti e la chiusura dei mercati», ma che «paghiamo tutti il prezzo per fermare questo virus».

Per questo, azioni come quella di Balai Citoyen sono necessarie per contribuire a contenere questo virus. Il movimento lo fa attraverso due piani: sensibilizzazione dell’opinione pubblica e controllo delle autorità nella gestione delle crisi, poiché, come dichiara Souratié, «il buon governo deve essere un elemento chiave nella gestione della crisi sanitaria».

Attraverso la campagna “Ne pas paniquer, ne pas banaliser” [“Niente panico, nessuna banalizzazione” – nda] chiedono di mantenere la calma, di seguire le istruzioni delle autorità sanitarie e informano la popolazione sulle misure da adottare.

 

 

In ogni riquadro vengono illustrati i consigli per prevenire il virus: lavarsi le mani, coprirsi la mano quando si tossisce o starnutisce, chiamare il servizio sanitario in caso di sintomi, ecc. Il messaggio è stato trasmesso sui social network, sulla stampa, alla radio attraverso dichiarazioni e in giro per le strade, informando e sensibilizzando sulle misure preventive, «sia in città che nelle aree rurali».

Per Souratié, i social network svolgono un ruolo importante in questa lotta contro il virus, spiegando che «li usiamo sempre per le nostre campagne, sono uno dei nostri canali di sensibilizzazione» e aggiunge che «prendiamo esempio e impariamo da altre lotte. Il mondo è aperto e dobbiamo tutti farci ispirare».

 

LUCHA CHIAMA ALL’AZIONE CONTRO IL CORONAVIRUS

Lucha [acronimo del francese “Lutte pour le Changement”, “Lotta per il Cambiamento” – ndt] è nata nel 2012 nella città di Goma, capoluogo della provincia del Kivu Nord. Per anni, il movimento ha incentrato le sue azioni sulla denuncia della mancanza di acqua ed elettricità, della mancanza di un’istruzione pubblica gratuita e per il miglioramento delle condizioni del servizio di telefonia mobile.

Durante l’epidemia di Ebola, Lucha ha dato il via alla campagna #StopEbola, con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione a seguire le misure igieniche, incoraggiarla a collaborare con gli attori che stavano lavorando per sconfiggere il virus e facendo pressione sul governo affinché adottasse una risposta efficace.

Attualmente, il paese sta per dichiarare la fine del secondo focolaio, visto che è passato più di un mese senza che si verificassero nuovi casi. Se tutto continua come previsto, il 12 aprile il focolaio di Ebola potrà essere dichiarato concluso.

Con la situazione attuale, Félix Tshisekedi, Presidente della Repubblica Democratica del Congo, ha dichiarato uno stato di emergenza il 24 marzo e ha chiuso i confini nazionali per fermare la diffusione del Covid-19. Dato che la maggior parte dei casi è stata registrata nella capitale Kinshasa, il governo ha decretato il confinamento intermittente: quattro giorni a casa e due giorni per poter uscire a comprare cibo e medicine. Kivu Nord, Kivu Sud e Ituri sono altre delle tre province colpite dal virus.

 

Rebecca Kabugho, attivista di Lucha e cittadina di Goma, ritiene che queste misure siano inefficaci e che il governo «non abbia tenuto conto delle realtà sociali ed economiche della popolazione».

 

Visto che gran parte della popolazione della regione lavora nel settore agroalimentare, le misure avranno un impatto diretto. La chiusura dei confini ha provocato un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari in base al principio della domanda e dell’offerta. Kabugho spiega che alcune imprese hanno già chiuso, che importanti attività sono state rimandate e che questa situazione provoca «rapine, fame e accentua la diffusione del virus».

Secondo il comunicato di Lucha, il gruppo si è impegnato per «risvegliare la consapevolezza dei cittadini e l’impegno della popolazione contro la pandemia». Ecco perché hanno creato una campagna su due piani: uno, tramite comunicati, sono azioni di sostegno delle raccomandazioni e delle misure adottate dal governo. L’altro, mobilitazione e sensibilizzazione diretta tramite megafoni per evitare assembramenti e informare sulle misure preventive da seguire.

 

Rebecca Kabugho chiede alle autorità di chiudere l’aeroporto di Goma

 

Alcune delle campagne, data la situazione di rischio, vengono realizzate in maniera virtuale attraverso la diffusione di video sui social network. Ad esempio, Kabugho ha trasmesso questo video sul suo account Twitter, nel quale lei e altri attivisti del movimento raccomandano di rimanere a casa ed evitare il contatto fisico per prevenire la diffusione del virus.

 

 

“Stop COVID-19” e #CoronavirusPasChezMoi [CoronavirusNonACasaMia – ndt] sono le campagne seguite su Facebook e Twitter. Per Kabugho, le reti svolgono un ruolo molto importante, visto che «oltre il 70% della popolazione congolese è ancora giovane e utilizza i social network per informarsi».

Lucha continua a collaborare con altri movimenti sociali a livello locale, secondo Kabugho «dobbiamo salvare il destino del pianeta da questa minaccia per la salute, coinvolgendo giovani, imprenditori, artisti, politici, avvocati … tutti. Dobbiamo mettere da parte le nostre differenze e i nostri interessi e lavorare insieme».

I tre movimenti continuano ad aumentare la consapevolezza nei rispettivi paesi, fungendo da ponte di comunicazione tra le équipes sanitarie che gestiscono questa pandemia, il governo e la popolazione. Attraverso la musica e i social network, strumento fondamentale per la diffusione, raggiungono più persone. Quindi, come dice uno degli slogan di Balai Citoyen: «Insieme, non saremo mai soli!»

 

Articolo apparso sul sito El Salto

Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress