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Il mondo si riscalda mentre si avvicina la COP24: non si può più aspettare

Intervista a Luca Iacoboni, responsabile “Energia e Clima” di Greenpeace, sugli scenari che attraversiamo in questa stagione di evidenti cambiamenti climatici mentre il tempo per invertire la rotta sta terminando

In questo autunno il maltempo e le sue drastiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, mentre la politica è completamente assente o dannosa.

Salvini, che si fa i selfie snobbando gli “ambientalisti da salotto”, fa parte di un partito che ha più volte negli anni espresso posizioni negazioniste in materia di cambiamenti climatici: votando una mozione in Parlamento, secondo cui il rapporto tra aumento delle temperature medie del Pianeta e concentrazione di gas serra non sarebbe «affatto chiarito»; votando contro la ratifica dell’Accordo di Parigi all’Europarlamento (nel 2016); elogiando il Trump che ritira gli Stati Uniti dallo stesso accordo sul clima; organizzando persino convegni per smentire ciò su cui oltre il 97 per cento della comunità scientifica internazionale concorda da anni.

I Cinquestelle, un tempo alfieri di ambientalismo, ancora una volta balbettano.

Lo scenario, come abbiamo più volte raccontato su Dinamo è potenzialmente catastrofico, mentre si avvicina la COP di dicembre in Polonia, momento in cui i leader mondiali devono prendere le scelte comuni in tema di cambiamenti climatici.
Abbiamo chiesto di commentare questa fase storica, in vista dell’incontro polacco, a Luca Iacoboni, responsabile Clima e Energia di Greenpeace Italia.

 

Le alluvioni e le loro conseguenze sembrano più evidenti che mai in questo autunno. Quanto di quello che accade può essere letto come una conseguenza immediata dei cambiamenti climatici in corso?

La scienza dice chiaramente che eventi meteorologici estremi come alluvioni, trombe d’aria, siccità aumentano di intensità e di numero a causa dei cambiamenti climatici. Quindi molto, anzi moltissimo di quello che viene chiamato erroneamente “maltempo” è imputabile ai cambiamenti climatici.

 

Pochi giorni fa l’IPCC ha prodotto un report per molti versi preoccupante in merito al futuro che ci aspetta. In Italia la notizia è stata coperta da pochissimi media nazionali. Poi però da giorni si parla solo di maltempo e alluvioni. Come superare questa contraddizione?

Chi fa informazione ha un ruolo fondamentale. Parlare solamente di maltempo invece che di cambiamenti climatici significa non fare una buona informazione. Ognuno di noi, di contro, può fare informazione. Mentre l’Italia era in ginocchio a causa di questi eventi meteo nelle scorse settimane, ho sentito spesso al bar parlare di “maltempo” o “pioggia”. Mi sono inserito nel discorso e ho cercato di spiegare che, ad esempio, le “bombe d’acqua” per la scienza non esistono. Sono tutte conseguenze dei cambiamenti climatici. Che hanno delle cause molto chiare (soprattutto carbone, petrolio, gas, deforestazione e allevamenti intensivi) e fortunatamente anche delle soluzioni concrete e perfino convenienti (rinnovabili, efficienza energetica, stili di vita meno rivolti al consumo sfrenato).

Molto però sono chiamate a fare le aziende e la politica ed è proprio a queste categorie che fa comodo si parli di maltempo e non di cambiamenti climatici.

 

Sono passati tre anni dal Paris Agreement. Quanto di quell’accordo può ancora essere una piattaforma per salvare il pianeta dalle conseguenze del global warming?  Si può dire che report come quello dell’IPCC ci segnalano che in qualche modo è un accordo superato dagli eventi?

Il report dell’IPCC dice due cose molto chiare: siamo ancora in tempo, ma siamo in forte ritardo. Perciò il tempo delle parole e degli annunci politici è definitivamente finito, ora è il tempo di azioni concrete e ambiziose.

A Parigi, tre anni fa, i leader mondiali hanno firmato un accordo che prevede di mantenere l’aumento di temperatura entro 2°C, massimizzando gli sforzi per stare sotto alla soglia di 1,5°C, come consigliato dalla scienza. Il problema è che, allo stesso tempo, hanno preso impegni di riduzione delle emissioni decisamente insufficienti, che porterebbero a un aumento di temperatura di oltre 3°C. In pratica, alla COP21 si è siglato un obiettivo ambizioso, ma si è tracciata una strada per non raggiungerlo. Una contraddizione enorme, che ora i governi di tutto il mondo sono chiamati a risolvere a cominciare proprio dalla prossima COP24.

 

Si avvicina, appunto, la COP in Polonia, il momento in cui i capi di stato devono fare scelte politiche internazionali in merito ai cambiamenti climatici. Quali significati assume questo incontro e quali sfide può lanciare questo appuntamento per chi prova a proteggere la terra dal global warming?

Il significato è semplice, dalla COP24 si capirà se la politica ha compreso il monito lanciato dagli scienziati pochi mesi fa e prenderà dunque impegni concreti e immediati per la difesa del clima e dei cittadini, oppure se prevarranno interessi economici di breve periodo e le intense attività di lobbying che le grandi aziende, soprattutto legate ai combustibili fossili, mettono in campo quotidianamente per offuscare il problema e proporre false soluzione, come il gas naturale, il “carbone pulito”, o i motori “più efficienti”. C’è bisogno di una rivoluzione energetica e ce n’è bisogno adesso.