MONDO

“Il modello Honduras”, viaggio nel paese esempio di estrattivismo

Fuori dalle rotte turistiche tradizionali, l’Honduras è un paese che condensa in sé molti tratti problematici della America Latina: la migrazione, la violenza politica, l’estrattivismo, fino ad essere esempio per i peggiori regimi

Quando ho dovuto decidere la meta delle ferie di quest’anno, ho pensato all’Honduras quasi andando per esclusione. Volevo tornare in America Centrale, dopo il Guatemala l’estate scorsa, ma in Nicaragua da più di un anno tira una gran brutta aria. Costa Rica e Panama mi sono sempre sembrate parchi giochi per gringos, almeno dai racconti di altri viaggiatori. L’Honduras, invece, è venuto spesso fuori parlando con compagni latinoamericani, con commenti che potevo comprendere solo parzialmente «eh ma la violenza politica che c’è in Honduras non c’è da nessun altra parte», «Beh, in quanto a estrattivismo l’Honduras è proprio emblematico», «Se andiamo avanti così facciamo la fine dell’Honduras». Ho pensato che valesse la pena capirci qualcosa di più.

Non aveva (inevitabilmente) il fascino dei paesi dove c’è stata una guerriglia importante o una rivoluzione (come Guatemala, Nicaragua, El Salvador, Colombia). Anzi, la famigerata Contras finanziata dagli USA che ha distrutto la rivoluzione nicaraguense aveva la sua base proprio in Honduras. Magari, però, accade qualcosa di così “forte” che in Europa non riusciamo a vedere. Almeno così mi sono detto.

L’Honduras è diventato recentemente famoso per Berta Cáceres, attivista ambientale conosciuta anche a livello internazionale, brutalmente assassinata nel marzo 2016 per la sua strenua opposizione alla costruzione di una diga in territorio indigeno. Il caso di Berta, però, è stato solo il più famoso di una lunga serie di attivisti ambientali assassinati per il loro lavoro nel paese. L’Ong Global Witness nel 2017 ha definito l’Honduras «il paese al mondo più pericoloso dove difendere l’ambiente» e ha prodotto un report specifico che spiega, con analisi ed esempi, la ragione di questo triste primato.

La prima cosa che mi colpisce, arrivando in Honduras, è il fermento politico. Sui muri campeggiano ovunque scritte politiche da «Fuera Joh» a «Joh asesino». E poi moltissime «Berta vive». Joh è Juan Orlando Hernandez, presidente del paese dopo un golpe (2009), un’elezione con brogli (2014), una rielezione con brogli e pure incostituzionale (2018). Il tassista che ci accompagna dall’aeroporto inizia subito un discorso molto articolato contro il governo e contro il presidente, mi colpisce il suo livello di analisi preciso e puntuale nel quale critica l’imperialismo statunitense nel paese di cui l’attuale presidente è il perno. Poche settimane prima il fratello dello stesso presidente è stato arrestato negli Usa per narcotraffico e molti dicono che il presidente collaborasse “fraternamente” alle sue attività. Il fermento politico del paese è poi confermato nei giorni successivi. Guardando un po’ i media locali, quasi ogni giorno si parla di cortei, scontri e repressione in varie zone del paese.

Le bellezze non mancano, ma anche se siamo in pieno agosto quasi non c’è turismo di nessun tipo. Qui, per fortuna, il turismo massificato non è arrivato tranne che in paio di isole nei Caraibi. Di sicuro la ragione è la famosa “insicurezza” del paese, che in parte è pure reale, in parte è amplificata dalla leggenda delle maras,  gang del narcotraffico che, come mi fa notare all’arrivo il mio tassista, «hanno ben altri obiettivi che quello di derubare qualche turista con lo zaino in spalla». Ne approfitto godendomi spiagge deserte, parchi naturali immensi e silenziosi, nonché hotel e autobus in cui non serve mai prenotare.

Dopo un po’ di giorni e di giri, mi dirigo verso Tocoa, nella regione settentrionale di Colón, dove sarò ospite di Juana che lavora per la Fondazione San Alonso Rodriguez. Ho il contatto di Juana grazie ad amici messicani in comune. Nel cammino vedo sterminate monoculture di olio di palma, il famoso prodotto agricolo iperutilizzato nell’industria alimentare, cosmetica, dei combustibili, che spesso viene imposto a colpi di deforestazione e che desertifica e sterilizza i terreni in cui è coltivato. Arrivo dai miei ospiti e scopro che nel primo pomeriggio tutti i principali comitati di lotta del territorio si raduneranno in una stanza della fondazione per parlare con rappresentanti delle Nazioni Unite, assieme ai relatori della Commissione “Diritti Umani e Imprese”. Questi ultimi stanno svolgendo una visita per raccogliere le informazioni necessarie a un report sullo stato delle violazioni di diritti nel paese. Un’occasione da cogliere per capirci un po’ di più.

L’incontro è lungo e pure appassionante. Si scontrano, come sempre in questi casi, due mondi. Da un lato i racconti delle comunità in resistenza del territorio, marcati dalla passione e la determinazione di chi non ha nulla da perdere, perché la propria vita e la propria lotta stessa coincidono. Dall’altro i funzionari della Commissione che oscillano da atteggiamento comprensivo ed empatico, ma consapevole delle proprie limitazioni, fino a quello freddo e distaccato. Il panorama dei racconti che portati dagli abitanti della regione è parecchio inquietante. La regione di Colón è sostanzialmente una preda sbranata da imprese senza scrupoli che vogliono sfruttare il territorio, le sue risorse naturali, le sue bellezze, “estraendoci” quanta più ricchezza è possibile, senza alcuna considerazione per chi lo vive da secoli. È il famoso “modello Honduras” di cui raccontano i compagni latinoamericani.

Conclusa la riunione ci muoviamo in macchina fino alla comunità di Guapinol, a mezz’ora di distanza, per conoscere di persona la loro resistenza, citata durante l’incontro. A Guapinol, lungo il fiume Aguán, da un anno stanno lottando contro una impresa, la “Inversiones Los Pinares” che vuole aprire una miniera di ferro e costruire una acciaieria nella vallata. La ragione è che la zona di Tocoa è inclusa nelle cosiddette “Zone economiche speciali”. Previste dalle linee guida della Banca Mondiale nel 2008, queste zone che stanno aumentando in tutto il mondo e sono finalizzate allo sviluppo economico rapido (è forse retorico domandarsi di chi). Rendono possibile produrre e commercializzare godendo di esenzioni da controlli finanziari, legislativi e doganali e dalla tassazione normale. Sono scelte tendenzialmente in luoghi logisticamente rilevanti anche a livello internazionale e diventano delle vere e proprie zone off limit nelle quali il potere del capitale non ha vincoli (neppure di tipo ambientale) e può cavalcare profitti impensabili. Tocoa è vicina al porto di Trujillo, che deve espandersi notevolmente per le finalità della Zona economica speciale. Perché Trujillo si espanda è necessario l’acciaio. Per questo si è cominciato a estrarre ferro a Guapinol.

La comunità da un giorno all’altro si è trovata con il proprio fiume completamente inquinato dalla miniera. Per questo è iniziata una intensa resistenza fatta di presidi permanenti, azioni, manifestazioni e lavoro legale di supporto. Il presidio è stato sgomberato più volte con la violenza dei lacrimogeni ma la popolazione è riuscita per lo meno a bloccare l’inizio dell’attività estrattiva. Rimangono i preparativi per l’acciaieria in una zona murata, più in basso lungo il corso del fiume. Ci giriamo intorno più volte, il cantiere è circondato da filo spinato e presidiato h24 da polizia ed esercito honduregno. È inevitabile la sovrapposizione nella mia memoria con le tante immagini del cantiere di Chiomonte.

«Il progetto della miniera e dell’acciaieria sono stati ritenuti strategici e di rilevanza nazionale da parte del governo che per questo le presidia con l’apparato militare», ci raccontano. La comunità intera si sposta con noi lungo il fiume e racconta i vari momenti della lotta, gli sgomberi, le minacce che continuano persistenti. Mi colpisce soprattutto un pensiero che viene ribadito più volte da un attivista del paese. «Vogliamo evitare di doverci unire alle carovane». Sta parlando di quel fenomeno che ha preso dimensioni impensabili a fine 2018, cioè le carovane di migliaia di migranti che, partendo proprio dall’Honduras, si sono dirette al confine con gli Stati Uniti, attraversando Guatemala e Messico. Spesso in Europa si discute fin troppo sulle ragioni che spingono le persone a migrare. Iniziano allora i distinguo tra migranti economici e migranti politici. Sentendo le sue parole, con gli occhi davanti al fiume che la comunità rischia di perdere, cadono tutte le barriere e le etichette che qui vengono messe in modo spesso “coloniale”. A Guapinol vogliono resistere, vogliono vivere il loro territorio, ma, raccontano, ad un anno dall’inizio della battaglia già in molti sono partiti per gli Stati Uniti, anche alcuni di coloro che hanno ricevuto denunce per la resistenza sul fiume. Si può forse dire che una migrazione del genere è “volontaria”? O “economica”? Cosa c’è di volontario nell’andarsene dal proprio villaggio perché il fiume da cui dipende la tua vita viene devastato dall’avidità del capitale?

Ritornando a Tocoa, a cena, i compagni che ci hanno portato lì mi aiutano a riannodare i fili e a capire un po’ di più di questo modello Honduras. Juana dice: «Per noi l’estrattivismo non nasce solo con il modello attuale delle imprese minerarie, è un estrattivismo storico, è il saccheggio sistematico che questi popoli hanno subito». Questo estrattivismo iniziò con l’installazione delle piantagioni di banane, a inizio secolo, nelle quali venne utilizzata la manodopera locale priva di diritti sindacali, che è pure una forma di estrattivismo umano. Pertanto per decenni la terra è stata sfruttata dalle grandi imprese europee e statunitensi per produrre frutta per l’esportazione. Corrispondentemente non c’è stato nessun tipo di sviluppo economico per il paese, che spesso viene utilizzato come giustificazione per accettare certe politiche e certe scelte.

«Quando se ne sono andati, si sono portati via tutto – continua Juana – Successivamente c’è stato l’estrattivismo dovuto all’agroindustria e alla produzione di olio di palma, che ha fatto sì che il governo ritornasse drasticamente indietro rispetto a passi importanti verso una riforma agraria che c’erano stati negli anni ‘90». Con l’olio di palma le grandi imprese si accaparrano della terra e poi espellono la popolazione che vi abita, concentrando la terra in poche mani. In questo modo non sfruttano solo la terra ma anche l’acqua e le altre risorse presenti. La piantagione di olio di palma distrugge la fertilità della terra e la desertifica.

«Infine c’è l’estrattivismo più recente delle risorse in senso ampio, da boschi, miniere, acqua, e include anche il tentativo di imporre progetti turistici lungo la costa e la costruzione di Zone Economiche Speciali per permettere di estrarre risorse senza controlli – conclude la donna – Si può quindi dire che stanno sperimentando cosa funziona e cosa no in termini di estrattivismo per poi replicarlo in altre zone del paese e in altre zone dell’America Latina. È una politica di messa alla prova. Qui in Honduras abbiamo sempre avuto basi militari statunitensi nel territorio che hanno influenzato questa politica. Pure l’Honduras può essere visto come un esperimento regionale, cioè come una dittatura collusa con il narcotraffico serva degli interessi delle imprese». Il tutto poi avviene grazie ad una fortissima militarizzazione del territorio, sempre giustificata con la lotta al traffico di stupefacenti.

Due giorni dopo aver lasciato Tocoa, leggo su internet che sette compagni di Guapinol sono stati messi in carcere con varie accuse, per la resistenza che stanno portando avanti contro la miniera. A tre settimane dall’arresto è stato deciso il trasferimento in carceri di massima sicurezza, in cui le restrizioni sono pesantissime. Gli avvocati hanno presentato appello contro la decisione. La lotta contro il “modello Honduras” continua.

Foto di copertina di contracorriente