MONDO

Fermata in Guatemala la nuova carovana di migranti honduregni diretti negli Stati uniti

Più di novemila migranti, che viaggiano a piedi dall’Honduras in direzione degli Stati Uniti, stanno attraversando il Guatemala incamminandosi verso il Messico. Il paese sarà il prossimo ostacolo nella ricerca di migliori condizioni di vita che i migranti sperano di ricevere dal futuro governo del presidente democratico Joe Biden

Nonostante l’utilizzo della forza da parte della polizia guatemalteca per contenere il progresso della marcia sia stata approvata da un decreto del governo, la decisione di aprire il varco di frontiera vicino a El Florido è stata presa dopo aver constatato che il gruppo [di migranti] era composto da molte famiglie con bambini, afferma un ufficiale delle forze dell’ordine. Il passaggio si è svolto in modo ordinato, senza resistenze e senza richiesta di documenti o di test di negatività alla Covid-19.

 

Arrivando nei pressi di Chiquimula, i migranti sono però stati fermati da un posto di blocco militare che, respingendoli, ha loro intimato di presentare dei certificati di negatività alla Covid-19 e li ha invitati a ritornare indietro, avvisandoli che ci sono più di 20 check-point fino a Tecún Umán (alla frontiera con il Messico) a 480 kilometri di distanza.

 

Una settimana fa è stata pubblicata la dichiarazione congiunta tra Messico, Guatemala, Honduras ed El Salvador sul tema delle migrazioni, all’interno del quadro dei principi stabiliti dal Patto Mondiale per le Migrazioni e dall’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile. Senza dubbio quello delle migrazioni è un tema multilaterale e richiede un’agenda condivisa.

Tuttavia, la cruda realtà che viene vissuta in Honduras porta molte persone a decisioni autonome, al di là di dichiarazioni, agende e accordi tra i paesi coinvolti. Le ultime due carovane sono state fermate dall’esercito guatemalteco, secondo l’accordo stabilito con gli Stati Uniti in quanto terzo paese sicuro.

Il governo guatemalteco, in un comunicato, ha lamentato la violazione della propria sovranità nazionale, chiedendo all’Honduras di contenere la fuoriuscita in massa dei suoi abitanti, attraverso azioni preventive permanenti. La stessa richiesta era già stata inoltrata durante lo scorso ottobre quando un’altra carovana di all’incirca quattromila persone venne dispersa in Guatemala.

 

La maggior parte dei migranti è partita venerdì [15 gennaio, ndt] all’alba dalla stazione degli autobus di San Pedro Sula, nel Nord dell’Honduras, luogo di origine abituale delle carovane. Quasi tutti vanno a piedi, alcuni fanno l’autostop.

 

Quasi tutti portano uno zaino con le loro poche cose e la maggioranza di loro indossa dei sandali infradito. Durante il tragitto spesso li si può sentire cantare in coro “Fuori JOH”, iniziali del presidente honduregno Juan Orlando Hernández, a cui addossano la responsabilità di questa situazione.

I migranti raccontano che fuggono da un paese fortemente colpito dal passaggio degli uragani Eta e Iota, nel novembre scorso e dalla crescente disoccupazione provocata dalla pandemia Covid-19, che si somma ai mali endemici d’un paese tormentato dalla violenza delle gang e del narcotraffico.

 

Il problema è l’Honduras

La dichiarazione congiunta tra il Messico, il Guatemala, l’Honduras e El Salvador sottolinea il tema della protezione dei minori e di una migrazione ordinata, sicura e regolare, facendo un importante appello per evitare di esporre i bambini, le bambine e gli adolescenti accompagnati, non accompagnati e separati dalle loro famiglie ai pericoli che implica il tragitto migratorio irregolare.

«Come interpretare quest’appello?», si chiede l’analista Jorge Durand su “La Jornada”. Sembrerebbe che si voglia impedire la migrazione di minori non accompagnati e di quelli che viaggiano con la loro famiglia per salvaguardare i diritti dell’infanzia ed evitare palesi situazioni di pericolo durante il percorso. Si suppone che questa politica sia il risultato d’un lavoro congiunto tra i tre paesi, a parte l’Honduras, che se ne è già lavato le mani.

Di fatto in Messico si è appena deciso di non privare della loro libertà i bambini, le bambine e gli adolescenti migranti, accompagnati o no, insieme alle loro famiglie. Queste persone non possono essere trattenute nelle strutture migratorie e dovranno passare per il Dif (Sistema Nazinoale di Sviluppo Integrale della Famiglia, organo assistenziale dello Stato Federale Messicano, ndt), anche se non ci sono abbastanza strutture adeguate per ospitare un alto numero di bambini e di famiglie e non c’è personale qualificato a sufficienza per assistere centinaia di persone.

 

Il dilemma è molto grande. Lasciar passare bambini, adolescenti e famiglie, nelle condizioni in cui si viaggia in una carovana, è andare contro il principio di una migrazione sicura, ordinata e regolare.

 

Fermarli e deportarli, anche rispettando tutti i protocolli di Diritti Umani, neanche non può essere una soluzione. Ancor meno lo può essere arrivare negli Stati Uniti per fare domanda di asilo politico, anche ai tempi di Joe Biden, che si suppone sarà più ricettivo e meno brutale, afferma Durand.

L’unica certezza è che la realtà supera tutte le previsioni, gli accordi e i protocolli stabiliti. Non si tratta di una questione prettamente centroamericana, e neanche che riguarda unicamente quello che con un brutto nome è definito Triangolo Nord, formato dal Guatemala, l’Honduras ed El Salvador. Le carovane sono sempre state honduregne, con alcuni aderenti di altri paesi che approfittano dell’opportunità [per migrare].

Il problema si trova in Honduras: per il fatto che è il paese della regione più esposto alle catastrofi climatiche; per il suo governo illegittimo, repressore e incapace di trovare soluzioni alle necessità basilari della popolazione, e per il suo alleato di sempre, gli Stati Uniti, che ha appoggiato il golpe, protegge i boss del narcotraffico ed è ossessionato dal possibile arrivo d’un governo di sinistra o semplicemente riformista, segnala Durand.

L’Honduras continua a essere una repubblica delle banane, con una dozzina di famiglie aristocratiche, alleate dell’esercito, che controllano il Congresso. A differenza del Guatemala, di El Salvador e del Nicaragua, in Honduras non c’è mai stata una rivoluzione. Per andare al di là dell’eterna povertà e della violenza rampante, in Honduras c’è bisogno d’una soluzione politica.

 

Gerardo Villagrán del Corral è un antropologo ed economista messicano, associato al Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (Clae)

Articolo pubblicato originariamente su Estrategia.la

Traduzione dallo spagnolo di Milos Skakal per DINAMOpress

Immagine di copertina da archivio (di Martin Càlix)