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MONDO

Le elezioni negli Stati Uniti viste dall’America Centrale

Gli Usa sono sempre stati protagonisti nel sostenere guerre, destabilizzazione, disciplinamento del lavoro e sostegno alle filiere globali di merci e, nella sua espressione più positiva, nella creazione di buoni “climi di investimento” a beneficio delle multinazionali e delle élites locali. Tutto sotto l’egida della salvaguardia degli interessi nazionali degli Stati Uniti, venduti alla regione sotto forma di amicizia, alleanza, progresso. Cosa cambia con queste elezioni?

Storicamente, la presidenza degli Stati Uniti ha offerto ben poco ai popoli dell’America centrale, anche se conserva la sua importanza nella definizione delle politiche e delle culture democratiche delle nazioni istmiche. L’ufficio della presidenza Usa è stata la forza trainante nel sostenere guerre, destabilizzazione, disciplinamento del lavoro e sostegno alle filiere globali di merci e, nella sua espressione più positiva, nella creazione di buoni “climi di investimento” a beneficio delle multinazionali e delle élites locali. Tutto sotto l’egida della salvaguardia degli interessi nazionali degli Stati Uniti, venduti alla regione sotto forma di amicizia, alleanza, progresso.

Per raggiungere questi obiettivi egoistici gli Stati Uniti hanno riversato risorse in Centro America per schiacciare gli sforzi di autodeterminazione e, di conseguenza, hanno acquisito un ruolo decisivo nella vita amministrativa dei paesi della regione. Cambiamenti minimi nella politica statunitense hanno conseguenze dirette e talvolta durature per la popolazione dell’America centrale. Oggi El Salvador, Honduras e Guatemala portano i segni di queste manovre storiche. Il rapporto imperialistico degli Stati Uniti con questi paesi ha esacerbato continuamente le contraddizioni economiche e sociali, rendendo la migrazione transnazionale l’unica opzione di sopravvivenza per molti. Dalla casa alla maquila, dal cantone al mercato, il potere del governo statunitense ha influito, se non determinato del tutto, come si vive in America centrale.

Tra pochi giorni i cittadini statunitensi voteranno per chi pensano sia più idoneo per prendere il timone della nave da guerra imperiale per i prossimi quattro anni. Le loro opzioni non sono le più attraenti: uno è un fascista autoritario vero e proprio, un megafono del suprematismo bianco che ha galvanizzato e incoraggiato i populisti di destra di tutto l’emisfero, come Nayib Bukele [Presidente di El Salvador – ndt]. L’altro è un tiepido centrista di destra che sembra pronto a portare avanti la solita strategia di sviluppo nella regione e che, da vicepresidente nel 2009, era restato a guardare il consolidamento del colpo di stato in Honduras. Le conseguenze di quegli anni sono ancora in corso, visto che il sostegno post-golpe (in particolare attraverso il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti) ha di fatto gettato l’Honduras in un pantano di corruzione, violenza sommaria e cultura dell’impunità.

 

Per i centroamericani le cui vite dipendono dai legami con gli Stati Uniti, sia come fonte di reddito attraverso le reti di migranti sia come faro di speranza per un futuro immaginifico, entrambe le opzioni appaiono cinicamente identiche.

 

Per coloro che sono stati offesi e umiliati dagli Stati Uniti, di recente o nelle precedenti amministrazioni, questi dibattiti offrono poca tregua alle difficoltà che vivono ogni giorno. Per i centroamericani, quello che hanno da offrire sembra essere lo stesso, anche se con tono diverso, sia negli Stati Uniti che a casa.

Nel discorso popolare, nonostante le vuote umanizzazioni e moralizzazioni della crisi dell’immigrazione, i politici statunitensi esitano nelle loro descrizioni dei latinos come criminali fastidiosi, subumani incompetenti o vittime indifese bisognose di compassione, offuscando l’obiettivo chiave dell’America: mantenere la regione come luogo di profitto, estrazione, esportazione di cibo a basso costo e sfruttamento della manodopera.

Il ruolo storico degli Stati Uniti nel generare sofferenza intergenerazionale è svolto oggi dal dramma umano della migrazione sul quale, mentre i candidati si rimpallano le responsabilità su come o chi l’abbia iniziata, resta fondamentalmente una visione concorde e astorica. Continua a sussistere l’amnesia riguardo al ruolo degli Stati Uniti nel plasmare l’America centrale e la sua crisi attuale, così come l’incapacità e la mancanza di volontà politica di tenere conto della storia recente. Al contrario, si è scelto di ignorare il desiderio popolare di cambiamento sistemico nel cammino verso la cittadinanza, criminalizzando ampie fasce di popolazione e offrendo forme preconfezionate di governo e aiuto condizionato.

 

In El Salvador, ad esempio, l’Ambasciata degli Stati Uniti continua ad avere una grande influenza sulle operazioni quotidiane del Paese.

 

Come si è potuto osservare durante l’emergenza Covid-19, gli aiuti medici sotto forma di respiratori, cure e attrezzature sanitarie sono stati coordinati attraverso i canali dell’Ambasciata, tramite i quali l’assistenza umanitaria è giunta nel Paese in quello che sembrava uno scambio per garantire l’ingresso dei deportati. Il soccorso in caso di catastrofe, inclusa l’assistenza per la ripresa dopo la tempesta tropicale Amanda, si basava apparentemente sull’essere nelle grazie degli Stati Uniti, che durante l’era Trump ha significato accarezzare l’ego della Presidenza degli Stati Uniti così come del suo delegato locale, Ronald D. Johnson, l’ufficiale del Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti diventato ambasciatore.

 

Nel vicino Honduras, Juan Orlando Hernández rimane al potere in gran parte grazie agli Stati Uniti, il cui sostegno al colpo di stato (negli otto anni di Obama e ora nei quattro di Trump) lo ha mantenuto come interlocutore fidato.

 

In nome della lotta alla droga, alla criminalità internazionale, della riduzione della migrazione dell’aumento degli aiuti economici (all’interno di un quadro economico neoliberista tossico ed esaurito) questo accordo ora normalizzato ha esposto gli Stati Uniti a dover sostenere governi corrotti che usano la repressione, le sparizioni e le intimidazioni contro gli oppositori politici e i difensori dell’ambiente. Entrambe le opzioni americane rappresentano l’eredità di un sistema politico che ha brutalizzato l’America centrale e la soffoca nella sottomissione ideologica per mantenere l’accesso alla manodopera a basso costo, alle materie prime e ai mercati dei beni di consumo. Così è stato per generazioni, una sorta di dimostrazione lapalissiana delle relazioni degli Stati Uniti verso il Centro America: nazioni fatte per omaggiare l’impero in cambio di un supporto vitale sotto forma di aiuti condizionati, investimenti e persino cure.

 

Perché queste elezioni dovrebbero interessare agli abitanti del Centroamerica?

Ci sono innumerevoli ragioni. Ma la principale è che sono in gioco le vite di oltre 200.000 concittadini salvadoregni, honduregni e nicaraguensi, nonché di migliaia di famiglie caraibiche, africane e dell’Asia meridionale. Il Temporary Protection Status, o TPS [Status di Protezione Temporanea,  offerta a cittadini provenienti da paesi in guerra o che hanno subito calamità naturali – ndt], rimane una soluzione provvisoria ai cambiamenti effettivi sull’immigrazione ed è diventata una politica flessibile per un uso politico senza scrupoli negli Stati Uniti e nella regione.

Lo stesso vale per la politica del Deferred Action for Childhood Arrivals, o DACA [Rinvio per Arrivi in Età Infantile, politica migratoria statunitense che sospende per due anni i rimpatri per i minori migrati illegalmente – ndt], una misura temporanea che impedisce agli Stati Uniti di deportare gli irregolari. Per anni la destra salvadoregna, ad esempio, ha utilizzato la precarietà di queste politiche come strumento per racimolare voti e incutere timore negli elettori affermando che solo il loro candidato avrebbe garantito che il TPS non venisse revocato. Nelle precedenti campagne presidenziali, come quella della vittoria di Tony Saca nel 2004 [Presidente di El Salvador dal 2004 al 2009 – ndt], ARENA [acronimo di Alleanza REpubblicana NAzionalista, partito di Saca – ndt] ha dichiarato che le rimesse avrebbero continuato ad arrivare nel paese solo se fossero saliti alla presidenza.

La “campagna di fango” di ARENA ha utilizzato tattiche intimidatorie anticomuniste per vincere le elezioni contro l’allora candidato Schafik Handal [ex-segretario del Partito Comunista Salvadoregno e fondatore del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale – ndt]. Per molte famiglie per le quali le rimesse rappresentano l’unica rete di sicurezza, questo discorso ha acquisito una dimensione esistenziale molto reale. Questo accordo perverso è vantaggioso politicamente per i conservatori della regione così come per quelli americani, per i quali i mezzi di sussistenza dei migranti e delle persone prive di documenti sono merce di scambio. Lo zelante sfruttamento delle dipendenze tra Stati Uniti e Centro America diventa indispensabile per i candidati conservatori, soffocando la sperimentazione politica interna verso progetti di sinistra.

 

Nella regione, queste strategie di campagna di fango continuano a dipingere scenari apocalittici per le vite delle famiglie centroamericane per cercare di vincere il voto popolare.

 

Mentre El Salvador entra in un anno elettorale importante in cui è in gioco il controllo dell’Assemblea Legislativa e l’Honduras si muove rapidamente verso le elezioni alla fine del 2021, la presenza di un democratico o di un repubblicano alla Casa Bianca avrà effetti attesi ed effetti inattesi. Il ruolo degli Stati Uniti avrà un posto di rilievo in queste campagne nazionali, mentre il ruolo dei funzionari dell’Ambasciata degli Stati Uniti, a seconda dei cambiamenti ideologici in atto nella società, determineranno la loro partecipazione e il clima della difesa delle rispettive politiche.

Storicamente, l’evoluzione politica dell’America centrale è dipesa, nel bene e nel male, dai cambiamenti dei funzionari statali degli Stati Uniti e dei loro emissari locali. In uno stato di neo-clientelismo, l’infiltrazione degli Stati Uniti negli affari centroamericani determina l’espansione o la contrazione delle istituzioni politiche tradizionali.

 

Non abbiamo bisogno di andare così indietro nella storia dell’emisfero (basta arrivare agli anni ’80) per trovare esempi del sostegno americano al fascismo, alla dittatura, nonché al fanatismo genocida e religioso.

 

Per i centroamericani che lottano oggi per un futuro migliore nella regione, la permissività degli Stati Uniti verso gli eccessi antidemocratici di Bukele, il narco-governo di Hernández così come il bullismo e le intimidazioni di Trump nel processo di firma degli accordi di “Cooperazione sull’Asilo”, rivelano continuità su come opera il potere statunitense globale.

In questo scenario, la politica estera degli Stati Uniti attraverso il Dipartimento di Stato, sommata alle pressioni esercitate dalla sua Presidenza, cambia le dinamiche del terreno politico in Centro-America. Può incoraggiare o ridurre la vitalità dei movimenti sociali: la storica vittoria alle urne dell’FMLN nel 2009 è stata resa possibile da un lungo momento di Onda Rosa [il periodo di politiche progressiste non-liberiste in America Latina tra gli anni ’90 e 2000 – ndt] e da quello che è stato successivamente percepito a livello regionale come un cambiamento progressivo dopo l’elezione di Obama.

 

Ci troviamo adesso in un altro momento cruciale. Mentre il populismo autoritario e il fascismo cercano di consolidarsi, sono necessarie nuove condizioni e possibilità che ci impongono di spingere verso un terreno più favorevole sul quale combattere.

 

Mentre le relazioni regionali saranno sempre inquinate nel breve termine dalla storia dell’avventurismo bipartisan, dalla guerra e dall’ingerenza, questa elezione rappresenta il rifiuto immediato dell’ordine trumpiano e della sua revanche imperialistica. Un cambiamento delle condizioni attuali, oltre a farci riprendere da una serie di battute d’arresto, potrebbe, si spera, consentire ai movimenti (da quello femminista, queer, autoctono e di afro-discendenti a quello dei diritti dei migranti, del lavoro e alla lotta multisettoriale per il diritti all’acqua e all’ambiente) di riemergere e tracciare percorsi per superare i limiti del presente.

 

L’autore è  docente di Studi Latinoamericani, Latini e del Caribe presso il Dartmouth College. Scrive di migrazioni, movimenti sociali e politici in Centro America e negli Stati Uniti su Twitter: @infrapolitics

Pubblicato su El Faro. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress

Immagine di copertina: Fibonacci Blue from Minnesota, USA (da wikicommons)