MONDO

Il massacro su Ghouta e lo scandalo dell’ONU in Siria

È in corso a Ghouta, sobborgo di Damasco assediato dal regime da 5 anni, un massacro di proporzioni drammatiche. Oltre 100 civili uccisi dai bombardamenti russi e del regime siriano nelle ultime 24 ore, di cui almeno 20 bambini. Le Nazioni Unite “non hanno parole” per esprimere il proprio sdegno ma le responsabilità delle agenzie ONU nella crisi umanitaria provocata dagli assedi in Siria sono gravissime. L’ipocrisia degli scambi di civili tra aree assediate dal regime e dai ribelli è stata usata per sedare l’opinione pubblica internazionale ma la verità è crudele. Chiediamo al pubblico, agli analisti e alla stampa italiana di leggere e diffondere questa analisi di Annie Sparrow pubblicata su Foreign Policy: “Il giuramento ipocrita”.

Il giuramento ipocrita

Ghouta Est, una regione verde semi-agricola a sole 10 miglia a nord-est della capitale siriana, una volta rappresentava il granaio di Damasco. Conosciuta per i suoi residenti dalla mentalità liberale, per le sue diversità etniche e religiose, per i politici inclini alla democrazia e per i suoi facoltosi imprenditori indipendenti, è sempre stata disprezzata dal regime del leader siriano Bashar al-Assad. Ad agosto del 2013 l’attacco con gas sarin del governo siriano che uccise 1.466 persone in una sola notte – prevalentemente donne e bambini – colpì proprio Ghouta Est.

All’indomani del massacro con il gas sarin, di fronte alla minaccia credibile della comunità internazionali, il regime di Assad ratificò la Convenzione per le Armi Chimiche e accettò di consegnare le proprie scorte alla Russia. Per qualche settimana, i bombardamenti aerei cessarono. Poi, ad ottobre, i militari siriani iniziarono il vero e proprio assedio di Ghouta Est.

L’assedio ha rappresentato una parte centrale della risposta di Assad alle rivolte popolari, palese sin dal primo assedio della città di Daraa nel marzo del 2011. Entro l’autunno del 2016, le forze di Assad avevano assunto il controllo di oltre 1.2 milioni di civili in centri urbani come Aleppo Est, in piccole città come Darayya e nel campo profughi palestinese di Yarmouk. Anche altri gruppi armati hanno preso di mira i civili (come gli 80.000 a Deir El-Zor sotto il controllo dello Stato Islamico, o i 20.000 sotto assedio vicino Idlib per mano delle forze di opposizione sunnita), ma i numeri non si avvicinano nemmeno alle vittime dell’assedio delle forze governative. Ad oggi, il numero di civili controllati dall’esercito di Assad ammonta a circa 700.000 persone; oltre la metà, 390.000, si trova a Ghouta Est.

L’assedio dei combattenti per indurne la resa è considerato un legittimo strumento di guerra. Ma il regime di Assad ricorre all’assedio dei civili nelle aree controllate dalle forze di opposizione come forma di controllo e punizione collettiva. Questo è un crimine di guerra, in quanto il diritto internazionale umanitario impone il rispetto della libertà di movimento dei civili e il loro accesso all’assistenza umanitaria, entrambi sistematicamente negati dalle forze di Assad. Il regime non colpisce i civili solo quando si confondono con le milizie, ma anche in zone completamente abitate da civili. La sofferenza causata dagli assedi è lenta e quasi invisibile.

La responsabilità di questa drammatica situazione appartiene soprattutto alle autorità siriane, ma le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, alle quali spetta il non invidiabile compito di negoziare con un regime che senza alcuno scrupolo uccide civili, hanno anch’esse partecipato al gioco. La posizione adottata dai funzionari ai vertici ONU suggerisce che qualsiasi buona azione compiuta basti a giustificare o compensare la copertura degli attacchi del regime di Assad.

La realtà dei fatti, però, è un’altra. Darayya, una città sunnita in condizioni di indigenza a pochi chilometri a sud di Damasco, è stata assediata a partire dal novembre del 2012. Il regime siriano ha giustificato l’assedio dipingendo la città come una base militare e impedendo quindi la possibilità che fosse raggiunta da assistenza medica o aiuti umanitari. Quando i funzionari ONU hanno finalmente raggiunto la città a maggio del 2016, sono rimasti scioccati nel ritrovarvi una comunità di civili di circa 8.300 donne, bambini e anziani.

In un altro caso, nel 2015 l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari UNOCHA (Office for Coordination of Humanitarian Affairs) stilò un accordo con il governo siriano. Sulla carta, l’accordo forniva un meccanismo per evacuare pazienti malati da quattro città: Zabadani e Madaya, sotto assedio da parte delle forze pro-governative, e Foua e Kefraya, assediate da gruppi armati di opposizione. In pratica, implicava che le persone in aree sotto assedio del regime erano destinate a morire.

A prescindere dal fatto che il paziente in condizioni critiche a Madaya potesse essere un bambino con la meningite, una madre con una gravidanza complicata o una donna anziana con un cancro al seno, l’evacuazione avrebbe dovuto attendere che un altro paziente nelle aree assediate dalle forze di opposizione fosse abbastanza grave da necessitare l’evacuazione, anche se queste città avevano il vantaggio di ricevere aiuti alimentari, carburante e medicinali in maniera organizzata dal governo dal quale non subivano bombardamenti aerei. Queste regole si applicavano anche a bambini di 5 anni con lesioni da esplosione da mina – pochissimi di loro sono sopravvissuti all’attesa.

Nello stesso anno, a seguito delle insistenze da parte del governo siriano, OCHA ha rimosso ogni riferimento alle parole “assedio” e “assediato” dal Humanitarian Response Plan del 2016 – una tacita ammissione da parte della autorità di Assad che il loro utilizzo degli assedi rappresenta un crimine di guerra e una sconcertante disponibilità di OCHA di coprire questo tipo di condotta.

Anche se meno del 5% della popolazione di Ghouta Est può essere considerata combattente, il governo siriano ritira le autorizzazioni ai convogli di forniture chirurgiche sulla base del pretestuoso concetto secondo il quale i pazienti con ferite di guerra vadano considerati terroristi. Tuttavia i bombardamenti giornalieri da parte dei governi russo e siriano che mirano alle abitazioni, alle scuole, ai mercati, alle moschee, alle ambulanze e agli ospedali implicano che la maggior parte dei pazienti che soffrono di ferite da esplosione o che subiscono l’amputazione di un arto siano civili. Le donne e i bambini sono i più vulnerabili sia agli attacchi che all’esclusione di strumenti chirurgici, incluse donazioni di sangue, strumenti per le trasfusioni e fluidi per via endovenosa, che risultano essenziali per parti cesarei e per la rianimazione dei neonati.

ghouta

Dal 2013, l’OMS ha speso milioni di dollari a nome del Ministero della Difesa siriano per acquistare sacche di sangue, strumenti per le trasfusioni, strumenti per il controllo incrociato e kit per esaminare malattie a trasmissione ematiche epatite B, epatite C e HIV. L’OMS continua a sovvenzionare il Ministero nonostante a nessuna di queste forniture mediche sia permesso di raggiungere Ghouta. Nel frattempo, le bombe lanciate su Ghouta espongono il personale medico e i pazienti alle epatiti B e C, all’HIV, e ad altre malattie ematiche. Seguendo un sistema particolarmente infame, il regime di Assad rimuove sistematicamente tutti i kit per lo screening e i vaccini per l’epatite B dai convogli diretti alle aree assediate dalle sue forze.

“Eliminazione” è il termine usato dalle autorità di Assad per il respingimento di materiali chirurgici e medicinali essenziali diretti verso le aree assediate. Questa politica viene implementata prima dal Ministero degli Affari Esteri e in seguito dal Ministero della Salute; il quale ha un intero Dipartimento per la Gestione delle Emergenze dedicato alle “eliminazioni”; e infine dalle Forze di Sicurezza siriane le quali controllano i depositi delle Nazioni Unite e della Croce Rossa.

Quando il ministero degli Esteri approva un convoglio, il Ministero della Salute accorcia la lista di centinaia di medicinali considerati essenziali nei territori controllati dal governo a una dozzina. Gli strumenti per la sterilizzazione vengono trattenuti, costringendo i chirurghi a riutilizzare strumenti chirurgici senza poterli sterilizzare tra un intervento e un altro.

Antibiotici per endovena, medicinali anti tubercolosi, set per dialisi, vaccini per polio e morbillo, ferro e acido folico per donne incinte, e multivitaminici per bambini vengono negati o forniti in quantità irrisorie. Non viene permessa neanche la carta per i pochissimi macchinari per elettrocardiogramma presenti. Per una crudele ironia, l’OMS e UNICEF forniscono quantità abbondanti di shampoo e per pidocchi e lozioni per la scabbia che le autorità siriane permettono in quantità illimitate, anche se del tutto inutili a dei civili in disperato bisogno di insulina e medicinali per dialisi.

Anche una volta completato questo processo di eliminazione, le forze regime impiegate ai checkpoint possono rimuovere articoli, come l’attrezzatura per la dialisi, o contaminare le scorte, ad esempio mischiando il riso con feci di uccelli o scaglie di vetro.

Uno degli ufficiali, il Dott. Al-Hajjaj al-Sharaa, il direttore del Dipartimento per la Gestione delle Emergenzedirige inoltre la Fondazione Al-Sham, un’organizzazione non governativa approvata dal regime di Assad e uno dei maggiori partner locali dell’OMS e di UNICEF; il medico si trova nella posizione conveniente di poter ridistribuire gli articoli eliminati per il proprio profitto economico e avanzamento politico. Un altro ente partner di OMS, la Fondazione Al-Bustan, è proprietà di Rami Makhluf, cugino di Assad e, risaputamente, un criminale di guerra. Makhluf è stato inserito nella lista delle sanzioni del Dipartimento del Tesoro americano nel maggio 2017 per riciclaggio di denaro.

Dopo il primo terribile inverno 2013-2014, durante il quale la mortalità infantile schizzò alle stelle fino a circa 300 su 1000 nascite, l’assedio portò alla costruzione di diversi tunnel segreti che collegavano Ghouta Est ai sobborghi damasceni di Barzeh e Qaboun, all’epoca sotto il controllo delle forze ribelli. I tunnel permettevano il commercio e il passaggio di scorte alimentari, ma anche quantità limitate di forniture chirurgiche e di medicinali,  carburante per i generatori degli ospedali e ambulanze, e l’invio di biopsie per ricevere diagnosi da parte di laboratori a Damasco.

Per due anni e mezzo, questi tunnel hanno rappresentato l’unica fonte di salvezza per Ghouta Est, permettendo a migliaia di pazienti di ricevere trattamenti salvavita e un passaggio sicuro per decine di migliaia di altri civili che cercavano di scappare dalla zona. Più tardi, dopo la caduta di Aleppo nel dicembre 2016, i tentativi delle forze governative di trovare i tunnel si intensificarono ed alla fine del febbraio 2017, il magazzino nascosto all’uscita del tunnel principale cadde nelle mani dell’esercito siriano, rendendolo inutilizzabile. Entro la metà di maggio dello stesso anno, le forze governative fecero breccia in tutti e quattro i tunnel, scatenando reazioni che portarono all’autodistruzione dei collegamenti per evitare che le forze del regime ottenessero una linea diretta per Ghouta Est.

Da allora, ogni mese i dottori a Ghouta Est hanno inviato una lista dettagliata di forniture mediche e chirurgiche e medicinali fondamentali, come l’insulina, all’Health Cluster di Damasco, il gruppo di coordinamento per la risposta umanitaria nel settore della sanità organizzata da OCHA e guidata dall’OMS. Gli stessi medici hanno anche richiesto ripetutamente medicinali essenziali, come il prednisolone e il methotrexate; tuttavia, solo l’invio di pochi convogli è stato approvato, e il loro contenuto era ben lontano dal coprire le necessità cliniche basilari dei pazienti più vulnerabili, ovvero donne e bambini.

Nel tentativo di mascherare la realtà dell’assedio, i rapporti dell’ONU sui convogli descrivono soltanto il peso degli articoli distribuiti e quelli eliminati, come se mezza tonnellata di shampoo anti-pidocchi potesse rappresentare l’equivalente medico di un generatore di ossigeno di 500 kg, o come se una sedia a rotelle da 50 kg potesse avere maggiore potenziale di impatto di 50 millilitri di adrenalina, sufficienti a far ripartire decine di cuori in arresto.

La deprivazione di cui soffre Ghouta Est è particolarmente allarmante in quanto avviene proprio davanti ai laboratori specializzati e alle farmacie di Damasco, nonché al grande apparato umanitario delle Nazioni Unite nella capitale, che include i magazzini di WFP e UNICEF pieni di alimenti, integratori nutrizionali, pile di medicinali e materiale dell’OMS. La sofferenza della zona si perpetua anche davanti agli occhi di centinaia di operatori umanitari da agenzie ONU e organizzazioni internazionali: Douma, la città più grande a Ghouta Est, si trova a meno di 10 miglia dall’ufficio dell’OMS a Damasco e dal lussuoso Hotel Four Seasons frequentato dai funzionari ONU.

Durante un precedente assedio, mentre i funzionari OMS ordinavano pasticcini francesi e biscotti al cioccolato per i loro meeting dell’Health Cluster al Four Seasons, i bambini siriani mangiavano erba e bevevano dalle pozzanghere a Darayya.

Il 26 ottobre 2017, 430 pazienti in condizioni critiche avevano bisogno di essere evacuati da Ghouta Est. Una teleconferenza ai vertici tenuta da OCHA ottenne l’approvazione ad evacuare 29 pazienti a Damasco entro 48 ore. I medici di Ghouta Est ci misero un’intera notte di discussioni per deliberare sui 29 pazienti da selezionare. Il giorno dopo, il 27 ottobre, la lista fu inviata a OCHA, includendo OMS e UNICEF in copia. Non accadde nulla. Nel corso dei due mesi successivi, 18 dei 29 pazienti morirono.

Dalla disperazione i dottori scrissero una lettera senza precedenti al direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, chiedendo a OMS dei criteri per aiutare medici meno qualificati a livello accademico a decidere quali pazienti salvare e quali sacrificare. Una copia della lettera fu inviata anche al Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres. Né Tedros né Guterres risposero mai. Tuttavia, nel giro di pochi giorni, sia Staffan de Mistura, inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, e Jan Egeland, il suo consulente per gli affari umanitari, rilasciarono delle dichiarazioni dai toni forti e il governo siriano approvò finalmente l’evacuazione di 29 pazienti.  I dottori stilarono una nuova lista, sostituendo i pazienti deceduti e quelli che non volevano tentare un trasferimento in territori controllati dal governo per il timore di un arresto. Anche allora, quando l’evacuazione finalmente ebbe luogo il 26 dicembre, il governo la concesse non come questione umanitaria ma soltanto in cambio di 29 combattenti catturati e detenuti da milizie di Ghouta Est – in poche parole, utilizzando civili in condizioni mediche gravi come pedine nelle proprie strategie militari.

Se consideriamo il conflitto in una prospettiva storica, durante il conflitto a Leningrado nella Seconda Guerra Mondiale fu permesso a 1 milione e 300mila civili di lasciare la città incolumi. Durante l’assedio di Sarajevo dal 1992 al 1996, centinaia di pazienti furono evacuati per ragioni cliniche in tutta sicurezza.

In un’intervista per Al Jazeera dell’8 gennaio, il direttore dell’OMS in Siria, Elizabeth Hoff, difese il sistema, dichiarando che l’OMS aveva fatto quanto in proprio potere per cercare di assistere le evacuazioni mediche. Hoff però non fece menzione del perché l’OMS continui a richiedere centinaia di milioni di dollari per scorte mediche che, come dimostrato, non arrivano alle comunità che ne hanno più bisogno a Ghouta Est ma piuttosto alle ONG gestite dall’entourage di Assad. Continuando a fornire sussidi lo stesso esercito governativo che colpisce i civili e impone un regime di assedio fatale, l’OMS sta semplicemente facilitando il regime, sollevandolo dall’onere di acquistare i materiali autonomamente.

Questo risparmio permette alle forze governative di utilizzare più fondi per acquistare le stesse bombe poi usate per colpire ospedali e altre istituzioni civili.

Un sussidio simile arriva dalle operazioni delle Nazioni Unite a Damasco. Su insistenza della Siria, l’ONU distribuisce la maggior parte dei miliardi di dollari disponibili in aiuti umanitari attraverso Damasco; non c’è nessuna prova che i fondi siano stati distribuiti alle fasce più vulnerabili della popolazione.

L’ONU giustifica il sistema con la teoria dell’effetto a cascata – ovvero, che alla fine alcuni riceveranno qualcosa. Ma questo non prende in considerazione quanto questi aiuti umanitari agevolino in realtà il regime siriano nella perpetrazione di crimini di guerra. Nel frattempo le persone in grande difficoltà, che dovrebbero essere la priorità dell’OMS, continuano a morire abbandonati o uccisi in attacchi aerei a causa della negazione deliberata di aiuti umanitari – resa possibile proprio dall’OMS.

Dopo 4 anni e mezzo dall’assedio di guerra per mano di Assad, le agenzie ONU hanno fallito nel rispondere alla domanda fondamentale: con i loro sussidi a queste atrocità, le loro operazioni a Damasco non stanno arrecando più danno che altro?

Pubbliato su Foreign Policy il 9 Febbraio 2018

Annie Sparrow è un medico e docente all’Arnhold Global Health Institute alla Icanh School of Medicine del Mount Sinai Hospital di New York.

Traduzione non autorizzata a cura di Un Ponte Per…

Fonte: Un Ponte Per

Foto: Ameer al-Halabi/AFP/Getty Images