ITALIA

Lizzano, la comunità che si ribella ai veleni

In provincia di Taranto esiste una discarica sequestrata dalla magistratura nel 2014 e che ora i cittadini temono possa riaprire. La storia di una vertenza ambientale e sanitaria portata avanti per 10 anni da una combattiva associazione e della pediatra Antonietta D’Oria, ora sindaca del comune

«Chi può intervenire faccia presto. Chiedo agli enti regionali e al Ministero dell’Ambiente, e per quanto di sua competenza anche alla Commissione Europea, di vigilare su quanto accade in quelle campagne. Perché se nel recente passato è stato deciso di affidare ai privati la bonifica dell’ex discarica Vergine, pretendo che almeno il settore pubblico vigili su ciò che si sta facendo». A parlare è Antonietta D’Oria, sindaca del comune di Lizzano (provincia di Taranto) divenuta “celebre” nelle scorse settimane per la pubblicazione di un video che mostrava la donna, la sera del 14 luglio scorso, nella piazza davanti alla chiesa del paese, difendere alcuni manifestanti che si stavano opponendo alla celebrazione di un rosario voluto dal parroco per bloccare il disegno di legge contro l’omotransfobia. Con coraggio la sindaca aveva replicato ai carabinieri che in quel momento stavano identificando i manifestanti, così: «Lizzano è democratica» e «identificate anche chi è in chiesa».

Con altrettanto coraggio la sindaca si era candidata nel 2018, capeggiando la lista civica “l’Alternativa”, in un tessuto locale dove soltanto qualche anno prima, nel 2013, alcuni amministratori erano stati oggetto di diverse, pesanti e anche armate intimidazioni. In una regione, la Puglia che è attualmente la seconda in Italia per numero di intimidazioni ai danni degli amministratori locali, con 71 casi denunciati nel 2019.

 

Con lo stesso identico coraggio, la sindaca D’Oria, che esercita la professione di pediatra nel comune da 30 anni, denuncia da oltre 10 anni insieme all’associazione AttivaLizzano di cui fa parte, gli effetti nefasti sulla salute dei cittadini causati dalle discariche di rifiuti speciali presenti nel territorio.

 

Così raccontava il 15 settembre del 2010 ai parlamentari della Commissione parlamentare di inchiesta sul traffico dei rifiuti che erano in missione a Taranto: «Da venti anni lavoro come pediatra presso il Comune di Lizzano e negli ultimi anni ho portato in giro per l’Italia casi particolari di malattie rare, casi esemplari di patologie di cui tutti i colleghi si meravigliavano. Ho tirato avanti per più di quindici anni, ma poi ho appreso delle inchieste sulla discarica Vergine, del riversamento di rifiuti non trattati». E ancora: «posso riferirvi quanto ho rilevato in uno studio dell’istituto Mario Negri a cui ho partecipato, cioè che il fenomeno del “wheezing”, l’asma del bambino, a Lizzano è presente nelle stesse percentuali con cui è presente tra i bambini di Taranto che vivono sotto le ciminiere dell’Ilva».

È un vero e proprio grido d’allarme ciò che si legge in quella testimonianza sepolta per anni tra le carte parlamentari: «Tutte le notti veniamo sommersi da un odore che non è quello di immondizia. Non so se è ammoniaca ma si tratta di un odore chimico. Il problema è che questo odore, una volta entrato nelle nostre abitazioni, non esce più». È lo stesso, identico «grido d’allarme della comunità cittadina divenuto sempre più pressante che rende necessaria l’adozione di tale provvedimento», alla base del decreto di sequestro degli impianti della “Vergine Srl” disposto dai magistrati di Taranto quattro anni dopo, il 10 febbraio del 2014. I quali «provocavano l’emissione di sostanze odorigene, quali solfuro di idrogeno e biogas, atte a cagionare molestia olfattiva e disturbi di vario genere, respiratori, nausea, vomito».

 

Perché chi la gestiva, in sostanza, «riceveva e gestiva abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti presso la discarica ubicata in Contrada Palombara; fatti accaduti dal 2010 fino al giorno del sequestro, il 10 febbraio del 2014», così scrivevano i giudici, dei fatti avvenuti nel territorio di Lizzano, ma, di fatto, e in punta di diritto, accaduti all’interno dell’isola amministrativa del capoluogo, Taranto.

 

A sei anni e mezzo dal sequestro degli impianti «oggi se vogliamo la situazione è ancora più complessa e rimane drammatica», mi ha detto la sindaca-pediatra, Antonietta D’Oria, quando l’ho incontrata alla fine di agosto al termine di una afosa giornata che l’aveva vista come sempre divisa tra lo studio medico e la casa comunale, che si trovano a pochi passi di distanza l’uno dall’altra. «Gli effetti nocivi degli impianti sulla salute delle persone non è possibile quantificarli fino in fondo, perché l’epidemiologia per avere dati statisticamente attendibili ha bisogno di un campione molto ampio di osservazione». «Però le malattie restano», osserva Antonietta D’Oria. «Posso affermare con cognizione di causa che i bambini che nascono con malformazioni in questa zona sono tanti. Abbiamo registrato diversi casi di bambini affetti da ipertiroidismo congenito, che è una patologia rara». E ancora: «Non possiamo sapere se esista una correlazione, ma sappiamo però che nell’acqua dei pozzi adiacenti alla discarica sono state trovate tracce di diossina e simili. Ciò è ancor più grave se pensiamo che quasi la metà dei cittadini di questo comune e una parte di quelli adiacenti non hanno accesso all’acqua fornita dall’Acquedotto pugliese. E conclude: «Gli enti pubblici che hanno il potere di controllare si diano da fare, dato che la bonifica della Vergine è stata affidata ai privati, che almeno vengano controllati. Perché da queste parti la situazione ambientale è divenuta sempre più esplosiva. E quella discarica non potrà più riaprire. Nonostante gli appetiti…».

 

La cittadina di Lizzano (foto di Francesco Pastorelli da wikimedia.commons)

 

Già, perché nel frattempo negli ultimi anni è accaduto che nonostante le proteste dei cittadini di Lizzano, i terreni dove insiste la discarica Vergine sono stati venduti dalla vecchia proprietà e acquistati da una nuova società, la Lutum Srl che è di proprietà, manco a dirlo, del signore dei rifiuti pugliesi, Antonio Albanese, che per ora è autorizzato dal giudice soltanto a mettere in sicurezza l’area ed estrarre il percolato da smaltire, essendo subordinata «la società subentrante al rispetto degli obblighi e prescrizioni di cui alle vigenti normative in materia ambientale, nonché di quelli contenuti nell’originaria autorizzazione».

 

Ma nel breve futuro, come si legge in una corrispondenza riservata risalente già al 2016 tra l’azienda Lutum e l’ente pubblico provinciale, «il cessionario è disponibile a produrre in favore della provincia di Taranto le predette garanzie finanziarie per la prosecuzione dell’attività di discarica».

 

Intanto, nel gennaio di quest’anno la vicenda è approdata in Europa, con l’europarlamentare del movimento cinque stelle, Rosa D’Amato, che ha presentato una interrogazione alla Commissione e denunciato il fatto che «dopo il sequestro preventivo della discarica Vergine in località Palombara, il lotto si presenta all’interno con rifiuti pericolosi, colmo di percolato e scoperto, tanto che, nei periodi invernali, con l’immissione delle piogge, il liquido, altamente inquinante, fuoriesce dagli argini inondando lo spazio circostante». Non solo. L’europarlamentare, che ha visitato gli impianti accompagnata dai funzionari dell’Agenzia Regionale Protezione Ambientale (Arpa) e ha reso possibile la pubblicazione delle immagini degli impianti sequestrati che sono a corredo di questo articolo, ha denunciato «la presenza della discarica per rifiuti speciali non pericolosi in post produzione, in località Mennole, distante 400 metri dalla Palombara e non interessata da alcun procedimento giudiziario, che risulta abbandonata dalla società proprietaria».

Mentre il processo davanti al tribunale di Taranto a carico dei gestori va avanti e si muove con una nuova contestazione da parte del Pubblico Ministero per disastro ambientale, a causa dell’«imprudenza e imperizia nella gestione del percolato e nell’impermeabilizzazione del bacino di discarica», nella denuncia dell’europarlamentare si legge che «la sentenza di primo grado non ancora definitiva, con la quale i presunti responsabili dell’inquinamento sono stati condannati anche a eseguire le bonifiche del sito inquinato, renderebbe incompatibile l’esecuzione degli interventi ad opera della Lutum Srl, nuova proprietaria dei terreni dell’ex discarica Vergine». Ed è il motivo per cui soltanto il 30 gennaio del 2020, cioè due anni dopo la formalizzazione dell’atto di vendita dei terreni, per una cifra vicina ai 9 milioni di euro, tra gli eredi della famiglia Vergine e l’imprenditore Albanese, i sigilli sono stati rimossi, ma soltanto parzialmente, dal tribunale di Lecce e solo per poter cominciare lavori di messa in sicurezza del sito.
Da quel giorno, dunque, i cancelli degli impianti sono riaperti e il via vai dei camion tra i comuni della provincia di Taranto che “abbracciano” l’ex-discarica per rifiuti speciali, così, è ricominciato come nei primi anni del 2000. Ora però i tir compiono il tragitto inverso. Arrivano scarichi e portano i veleni fuori da quest’area.

 

Annota durante un recente sopralluogo un funzionario dell’Arpa, l’agenzia regionale per la protezione ambientale: «Il mezzo appartenente alla Ecosistem Srl di Lamezia Terme ha appena caricato 29.920 kg di rifiuto liquido classificato con codice 190703». E ancora: «nella giornata odierna ci sono stati 13 prelievi di percolato, 9 da parte di Ecosistem Srl e 4 da parte di Ecoservice Srl, destinazione impianti ubicati a Lamezia Terme e Salerno».

 

«Negli ultimi tempi, però, la direzione dei rifiuti ha preso anche le strade degli impianti di smaltimento del Nord Italia», mi dice un funzionario ben informato che lavora all’interno dell’agenzia regionale per la protezione ambientale. «I lavori di messa in sicurezza dei luoghi vanno avanti, ma abbiamo notato, per esempio, che l’impianto di depurazione delle acque meteoriche si trova in stato di verifica e attualmente determinare la direzione dell’acqua in maniera certa non è possibile». Di più, ha raccontato l’uomo: «È un segnale di sottovalutazione della situazione, se pensiamo che in passato sono state trovate nelle acque di falda, con riferimento alla presenza di benzene, ferro, Pcb, tracce rilevanti di contaminazione, con conseguenti superamenti delle concentrazioni soglia». Da parte sua, la Lutum Srl, ora proprietaria degli impianti di contrada Palombara, si è difesa in una lettera alla regione Puglia annunciando che a brevissimo realizzerà sette nuovi piezometri per la verifica dello stato delle acque sotterranee dell’area e per la rete di monitoraggio dell’impianto. Descrivendo, nella missiva, inoltre, l’elenco delle attività già eseguite o in corso di realizzazione, come l’estrazione del percolato «con successivo smaltimento presso gli impianti di trattamento incaricati». Negando, infine, che «il percolato fuoriesce dagli argini, che i rifiuti sono scoperti e che vi siano mai stati depositati rifiuti pericolosi».

Su quest’ultimo punto, in riferimento alla caratterizzazione dei rifiuti versati nella discarica Vergine di contrada Palombara e anche in relazione alla discarica, sempre di proprietà Vergine, di contrada Mennole e che si trova in post-produzione, l’associazione AttivaLizzano ha chiesto più volte agli enti proposti di fornire le analisi storiche delle matrici ambientali ivi depositate. Nonché del percolato con le relative quantità raccolte e dei gas prodotti. Sentendosi rispondere così dagli uffici del dipartimento ecologia della Regione Puglia: «In relazione alla richiesta formulata dall’Associazione AttivaLizzano, si comunica che, allo stato degli atti, non vi sono documenti amministrativi inerenti a procedimenti di competenza di questa sezione». Ma in tutti i casi a preoccupare una comunità cittadina che si è ribellata ai veleni criminali, più che il passato, è il prossimo futuro che spaventa, perché si potrebbero risvegliare gli appetiti sulla riapertura degli impianti, che si stima possano ospitare in totale ancora un milione di tonnellate tra rifiuti ospedalieri, petrolchimici, polveri e ceneri di scarto della produzione siderurgica.

Rifiuti speciali non pericolosi, dunque, scarti industriali di cui ufficialmente qualche milione è stato già smaltito negli ultimi 20 anni, qui, tra migliaia di ulivi secolari, distese di alberi di fichi, mandorleti e antichi vigneti, a ridosso della suggestiva marina che nulla invidia alle acque del Salento; nelle terre di Lizzano, dove da tempo una comunità si è ribellata ai veleni, attraverso i blocchi, i dibattiti, gli esposti, le proteste, gli scioperi scolastici, ma anche costruendo e immaginando altre istituzioni del Comune.