MONDO

Lettera aperta del padre di Aylan Kurdi

Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni lungo i confini esterni e interni dell’Unione Europea non è più possibile affrontare il tema delle migrazioni internazionali senza una prospettiva globale sul fenomeno, senza analizzare i fattori […] che producono questi spostamenti umani: guerre, dittature, fame, povertà. A tal proposito ripubblichiamo la lettera del padre di Aylan Kurdi, il bambino annegato al largo delle coste turche e fotografato riverso a faccia in giù sulla spiaggia di Bodrum, che racconta la sua tragedia familiare proprio in questa prospettiva. Lo facciamo all’indomani delle parole di Angela Merkel che ha affermato: “Sulla situazione dei rifugiati dobbiamo lavorare di più con la Turchia”.

Questa apertura al tiranno turco rischia di dare ragione alla sua strategia sui flussi migratori, utilizzati in questi mesi come arma di pressione e ricatto nei confronti dell’Unione Europea. Non bisogna dimenticare che tanitssimi rifugiati scappano dall’ISIS, che Erdogan ha sostenuto e continua a sostenere. Non bisogna dimenticare che le politiche autoritarie nel Kurdistan turco e l’isolamento imposto a Kobane e al Rojava hanno costretto migliaia di persone a fuggire. Non bisogna dimenticare, infine, che la moneta di scambio di quest’operazione sarebbe il silenzio della comunità internazionale sull’offensiva militare e politica che il sultano sta conducendo da settimane contro i curdi, le altre minoranze e le opposizioni interne [Ndr].

Cari amici,

Siete informati molto bene sulla situazione in Siria e in generale nel Medio Oriente. In questa regione si tratta di una lotta di potere regionale e internazionale. La nostra patria in questa lotta è diventata un punto focale in cui non ci sono più né sicurezza né stabilità economica. Per questo le persone qui si sono messe in cammino per lasciare la terra dei loro padri e nonni in direzione di paesi nei quali sperano di trovare sicurezza e una vita dignitosa.

Vittima di questo tipo di lotte di potere è sempre la popolazione civile. Per motivi economici e di sicurezza, come molte altre persone innocenti sono stato costretto a lasciare la mia città natale. Inizialmente sono fuggito in un’altra zona della Siria e da lì all’estero, dove sono diventato vittima di scafisti e trafficanti di uomini che traggono profitti dal destino di queste persone. Il prezzo è stato troppo alto. Ho perso mia moglie e i miei due bambini. Ma la mia tragedia non è la prima e non sarà neanche l‘ultima. Probabilmente centinaia di famiglie sono già stata cancellate in questo modo. Ora sono di nuovo nella terra dei miei antenati e resterò qui vicino alle tombe di mia moglie e dei miei figli. Questa terra è imbevuta del sangue dei martiri che hanno difeso Kobane. Scrivo questa lettera insieme a un rappresentante dell’autogoverno democratico di Kobane, che è stata fondata da quelle persone che hanno difeso questa città dai nemici dell‘umanità. Davanti agli occhi del mondo nel 21° secolo sono state trucidate persone e deportate donne e ragazze.

Cari amici, non auguro a nessuno di questa zona, che sia curdo, arabo, assiro o armeno, di vivere quello che ho passato io. Ma questi popoli nella storia hanno vissuto cose molto peggiori di quelle che ho vissuto io. Chi di voi si ricorda del genocidio degli armeni, assiri ed ebrei nel 20° secolo? Un passo importante nel percorso contro un’ideologia che va contro i valori dell’umanità è che viviamo insieme in un sistema di autogoverno nella democrazia e nella fratellanza.

Mando questa mia lettera da Kobane, la città che ha vissuto quattro anni di guerra. Era ed è ancora un obiettivo di IS e di altri gruppi come il Fronte al-Nusra e Ahrar al-Sham. L’80 % degli edifici, delle istituzioni e delle infrastrutture, non solo nella città di Kobane, ma anche nei villaggi e nelle province circostanti, sono stati rasi al suolo. Non ci sono più condizioni di vita, solo la volontà della popolazione che è legata alla terra die suoi padri e nonni. La resistenza non riempie gli stomaci, non fa guarire i feriti e i bambini non possono più andare a scuola. Vogliamo vivere in pace nella nostra patria, sulla nostra terra. Per piacere aiutateci!

Vi ringraziamo del fatto che i vostri stati hanno accolto migliaia di profughi. Questa è un’azione umanitaria eccezionale, ma questa è una soluzione duratura signore e signori? Amiamo la nostra patria come voi amate il vostro paese. Non emigreremmo e non lasceremmo la nostra patria se non vi fossimo da forze terroristiche. Solo l’autogoverno democratico con le sue istituzioni come le YPG (Unità di Difesa del Popolo) ci protegge e cerca di sostenerci nel dare risposte ai nostri bisogni quotidiani. Vi preghiamo di riconoscere questo autogoverno come parte della futura Siria e di costruire insieme ad esso una nuova società pacifica. Sarebbe di grande aiuto per me e per il mio popolo, come per gli altri gruppi etnici che vivono in questo sistema di autogoverno. In questo modo potremmo contribuire a mettere fine alla tragedia delle persone nella mia patria.

Ringrazio anche per la partecipazione espressa rispetto al mio destino. Mi avete dato la sensazione di non essere solo. Un passo fondamentale per mettere fine a questa tragedia è il vostro sostegno al nostro autogoverno.

Insieme al nostro autogoverno democratico saluto e ringrazio per la vostra attenzione.

Abdalla Kurdi, padre di Alan Kurdi

Anwar Muslim, Rappresentante dell’Autogoverno Democratico

Kobane, 12.09.2015

Tratto da uikionlus.com