MONDO

Le donne fanno la differenza nella politica e militanza brasiliana

Manca una settimana alle elezioni più imprevedibili degli ultimi tempi: mentre oggi le donne scendono in piazza in decine di città in Brasile e nel mondo (presidi anche in Italia) con lo slogan #EleNão – Lui no! – contro il candidato in testa nei sondaggi, l’omofobo e razzista leader dell’ultradestra Bolsonaro, pubblichiamo un approfondimento sulla lotte delle donne nel paese latinoamericano.

Quasi certamente il voto del 7 ottobre non scioglierà l’incognita su chi sarà il prossimo presidente del Brasile e sarà necessario aspettare il secondo turno, il 28 dello stesso mese, nell’ambito della tornata elettorale più imprevedible che si ricordi da molto tempo.

La condanna alla prigione dell’ex presidente  Luiz Inácio Lula da Silva, che continua ad essere il numero uno del Partido dos Trabalhadores (PT), ha segnato la campagna elettorale in un momento politico che si vive come di eccezione a partire dall’Impeachment – o processo di destituzione – a Dilma Rousseff nel 2016, e che la presidenta e parte dei brasiliani considerano semplicemente e pienamente un golpe contro la democrazia. Alla Rousseff successe nell’incarico il suo vicepresidente dell’epoca, Michel Temer, che ha accelerato la implementazione di politiche di assestamento neoliberale e il cui indice di popolarità è ormai crollato fino al 5%.

La sensazione di eccezionalità politica che il processo di destituzione ha lasciato si è acutizzata con le irregolarità commesse intorno alla prigionia di Lula, condannato durante il mese di aprile scorso a dodici anni di carcere, nonostante non ci siano prove definitive del fatto che avrebbe ricevuto un appartamento sul litorale come contropartita per la sua partecipazione alla trama di corruzione intorno all’impresa pubblica Petrobras, inquisita nella operazione Lava Jato.

Il PT insiste nella sua narrazione del golpe; a questa versione dei fatti, la destra contrappone una narrazione basata sul discorso della corruzione.

La discussione è polarizzata, però né l’una né l’altra narrazione riesce ad includere le discussioni che si sono tenute nel contesto della rivolta del giugno 2013, che mettevano radicalmente in questione la politica istituzionale e mettevano sul tavolo domande essenziali – che, inoltre, erano escluse dall’agenda politica – come la mobilità e il diritto alla città (qui un approfondimento sulle lotte per la casa e il diritto alla città).

Nonostante la prolungata campagna mediatica di discredito, Lula continua a essere ben piazzato nei sondaggi e, anche dal carcere, il PT scommette sulla potenziale carta vincente – e, apparentemente, l’unica carta – del trasferimento di voti da Lula al candidato officiale, l’ex sindaco di San Paolo, Fernando Haddad.

Sinistra e destra corrono divise alle elezioni: da un lato, Ciro Gomes, per il Partito Democratico Laborista (PDT), e Guilherme Boulos, per il Partito Socialismo e Libertà (PSOL). A destra, Jair Bolsonaro – ultradestra –, del Partido Social Liberal (PSL), è quello che sta meglio posizionato nei sondaggi, ma è anche quello che provoca il maggiore rifiuto per le sue dichiarazioni misogine, omofobe e razziste e difficilmente vincerebbe al secondo turno. Da parte sua, GerandoAlckmin, il candidato dell’establishment del Partido de la Social Democracia Brasileña (PSDB), è indietro nei sondaggi.

Quanto a Bolsonaro, recentemente accoltellato in un comizio all’inizio di settembre, le donne hanno messo in chiaro che non permetteranno che arrivi al Palacio de Planalto.

In due settimane, circa due milioni di donne hanno aderito al gruppo fb “Mulheres contra Bolsonaro”, in una inedita dimostrazione di forza che ricordava al candidato di estrema destra che le donne sono più della metà dell’elettorato.

Di fatto, parte di questo elettorato optò di evitare il suo nome per non fargli involontaria pubblicità e hanno promosso al suo posto lo slogan “MulheresUnidas contra o Coiso” (donne unite contro “il coso”). Durante la notte di domenica 16 settembre, il gruppo ha subito un attacco cibernetico, ma le reti hanno continuato ad infiammarsi: è stato lanciato l’hashtag #EleNãoEleNunca (Lui no, lui mai).

 

 

Marielle Franco come simbolo

Il 14 marzo è successo un evento terrificante e inedito in Brasile. Marielle Franco: donna, nera, lesbica e originaria della favela, è stata assassinata. «A partire da questo avvenimento, le donne escono per la strada, in protesta non solo per questa esecuzione, ma anche per il complesso di violenza che noi donne affrontiamo», afferma la atticista carioca Graciela Rodríguez, attivista della Red  de Género y Comercio.

Il caso di Marielle, la cui morte continua a essere impunita, ha attraversato le frontiere ed è arrivata sulle prime pagine dei giornali, dentro e fuori dal Brasile. Si è convertita in una icona.

Senza dubbio, non è un segreto per nessuno che, se non fosse stata una consigliera comunale del PSOL a Rio de Janeiro, la morte di una donna nera della favela non sarebbe stata una notizia: non aveva mai smesso di denunciare la impunità con la quale i minacciosi “caveirões” (veicoli speciali utilizzati dalla polizia militare di Rio), entrano a commettere omicidi nelle favelas.

Perchè in Brasile, il lento genocidio nelle favelas e nelle periferie non si è mai fermato, né è diminuito durante i dodici anni di egemonia del PT.

Solo tra il 2009 e il 2016, un totale di 21.897 persone sono morte durante operazioni di polizia, secondo i dati del  Forum Brasileño de Seguridad Pública. La immensa maggioranza erano giovani poveri e neri che abitano le favelas e le periferie delle grandi città. Mentre l’operazione Lava Jato o Bolsonaro occupano le prime pagine, nessun giornale si accorgedelle  Mães de Maio (madri di maggio), il collettivo di donne che, dal 2006, denuncia la violenza statale contro i neri nelle periferie di San Paolo.

«La carne più economica del mercato è la mia carne nera», cantava Elza Soares nel 2002, così economica, così sacrificabile, così scomoda come la carne di indigeni e campesinos che difendono il proprio territorio da progetti estrattivi come la “megarrepresas”, le monoculture della soia o minerarie.

L’Atlante della Giustizia Ambientale (EjAtlas), un progetto coordinato dall’Istitituto di Scienza e Tecnologia Ambientale della UniversidadAutónoma de Barcelona (ICTA-UAB), ha documentato 113 conflitti socioambientali in questo paese: tra questi alcuni gravi come la disputa per i territori degli indigeni Guaraní-Kaiowá, aggrediti dalla diffusione della soja nel Mato Grosso do Sul, o l’impatto della diga di Belo Monte sulla popolazione   in Amazzonia.

Neppure la “carne femminile” ne esce bene: di 4.539 donne assassinate nel 2017, 1.113 sono state uccise dalla mano di partner, ex partner o familiari.

Alla violenza feminicida (che si cerca di fermare con una legge specifica nel 2015) si aggiunge la invisibilizzazione istituzionale: anche se le donne costituiscono il 52% della popolazione votante, le rappresentano appena il 10% dei deputati federali. Non stupisce di conseguenza che le donne si sentano lontane da un sistema politico che le marginalizza e le lascia senza protezione. Secondo una inchiesta di Datafolha, in un paese dove in suffragio è obbligatorio, circa il 33% delle donne prevede di votare in bianco, di fronte al 23% degli uomini – e di fronte al 16% del censimento femminile nelle elezioni del 2014.

 

 

Oltre la politica istituzionale

«La rappresentanza delle donne nel Parlamento è sempre stata molto piccola: questa è una caratteristica della democrazia brasiliana che si riproduce negli spazi della sinistra. Questa mancanza di rappresentatività mostra chiaramente che questa democrazia non è fatta per noi»., dichiara la militante Helena Silvestre, fondatrice del movimento in difesa del diritto alla casa Luta Popular.

Senza dubbio, la effervescenza mondiale del movimento femminista ha ottenuto che si metta sul piatto la necessità di aumentare la rappresentatitìvità femminile ed è certo che la maggior parte dei candidati corrono con una donna candidata alla vicepresidenza nella propria formula elettorale; in più ci sono solo due candidate alla presidenza: la evangelica Marina Silva e Vera Lucia, la candidata povera e nordestina del PSTU. Alla politica delle quote, Silvestre oppone le forme organizzative dei movimenti che si considerano femministi, come Luta Popular, nei quali «le donne stanno nello spazio di presa di decisioni e nelle assemblee si discute specificatamente como rafforzare le donne, includendo la necessità di dare appoggio e supporto emotivo».

Ciò che è certo è che, nonostante il ripiego elettorale di cui parla Datafolha, le donne partecipano sempre di più alla politica, ma non solo nel suo aspetto istituzionale.

«La politica dei partiti è un modello antico che già non risponde ai problemi di una società che ha perso fiducia nei partiti a causa della generalizzazione della corruzione. Invece di disputarsi queste istituzioni discreditate, credo che dobbiamo privilegiare l’organizzazione sociale, e dare battaglia sulle soggettività, che sono state catturate dalla logica neoliberale, interrogandoci, per esempio, sulle nuove forme di sfruttamento e privazione attraverso la finanziarizzazione della vita e il debito», afferma Graciela Rodrìguez.

“No! Non accetto! Mi rifiuto”/ non sono la carne più economica del mercato./ La carne più economica del mercato non è la donna nera!”

Sono questi gli ultimi versi della poesia Carne de mulher, della poetessa Jenyffer Nascimento. Lei è uno dei riferimenti della cultura della periferia di San Paolo che sta segnalando il machismo negli spazi della cultura marginale periferica.

Collettivi come “ A periferia siguesangrando” (la periferia continua a sanguinare), “Fala Guerreira” e la Rivista Amazonas si configurano come nuovi spazi di militanza in cui le donne nere, indigene e delle favelas alzano la propria voce, quella che per secoli è stata silenziata, e offrono proposte concrete per il sostegno della vita e la difesa ostinata del corpo e del territorio.

Articolo pubblicato su Equal Times.

Traduzione in italiano a cura di Carla Panico per DINAMOpress.