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L’occupazione come alternativa di fronte alla crisi abitativa in Brasile

In pochi anni in Brasile l’aumento del costo delle abitazioni è diventato esorbitante. Il potere incontrastato del capitale immobiliare unito alle politiche di taglio dei sussidi sociali, ha espulso i poveri verso le zone più periferiche della città, aumentando la segregazione urbana. In questo contesto, le occupazioni sono l’unica risposta possibile per molte famiglie

In Brasile la casa è la preoccupazione più urgente per migliaia di famiglie, colpite dalla bolla speculativa immobiliare, che si è aggravata a seguito dei megaeventi sportivi. Tra il 2008 e il 2013, con una inflazione media del 39%, gli affitti a San Paolo sono aumentati del 95%, mentre a Rio de Janeiro del 132%. Risultato: le classi lavoratrici sono espulse verso zone della città sempre più lontane dai luoghi di lavoro, in metropoli afflitte da ingorghi permanenti.

A San Paolo molti lavoratori trascorrono cinque ore al giorno nel tragitto casa-lavoro. Quando per l’ennesima volta sono spinti a cercare un quartiere meno caro e periferico, molti di loro dicono «basta». L’occupazione di terreni liberi diventa quindi l’opzione migliore.

È proprio da qua che il Movimento dei Lavoratori Senza Casa (MTST, Movimiento de los Trabajadores Sin Techo) è diventato uno dei movimenti più importanti del paese, presente in sette stati, con azioni che coinvolgono più di 50.000 famiglie e con un leader, Guilherme Boulos, acclamato come una delle figure più promettenti della sinistra brasiliana.

«Il capitale immobiliare è la principale forza politica del paese: le imprese edilizie hanno finanziato il 55% delle campagne elettorali dei partiti nel 2010 e sono loro che definiscono la politica urbana», afferma Boulos.

Tra il 2008 e il 2014 il prezzo delle case è aumentato di circa il 200% annuo, mentre l’Istituto di Ricerca Economica Applicata (IPEA è la sigla in portoghese) stima un fabbisogno di 5,4 milioni di alloggi, che convive con milioni di case vuote in tutto il paese.

 

Politiche che guardano al mercato

Nel 2009 il governo Lula rispose a tale necessità con il programma Minha Casa, Minha Vida (MCMV – La mia casa, la mia vita), che continuò ad essere attivo durante il mandato di Dilma Rousseff e con il quale lo stato aiuta le famiglie a comprare la loro prima casa.

«MCMV fu concepito nel contesto della crisi finanziaria del 2008 per risolvere il problema di liquidità delle grandi imprese edilizie e aumentare i loro guadagni, non per risolvere il fabbisogno di case e ancor meno per affrontare la dinamica della segregazione», dichiara Boulos.

Condivide tale opinione Helena Silvestre, fondatrice del movimento Luta Popular e vecchia militante del MTST: «Il programma fu definito per ampliare il mercato immobiliare, non per garantire il diritto alla casa. Infatti il 60% delle abitazioni del MCMV sono pensate come sussidio a chi guadagna tra cinque e dieci volte il salario minimo, mentre la mancanza di un tetto la soffrono le famiglie più povere».

La situazione si è aggravata con i tagli al programma decisi dall’attuale presidente Michel Temer, che colpiscono soprattutto i sussidi alle famiglie con poche risorse.

L’MCMV non ha risolto il problema di fondo: le carenze estreme dei più poveri, come i più di 11 milioni di persone che vivono in favelas. L’Istituto Brasiliano di Geografia e Statitica (IBGE) ha constatato che nel 2010 esistevano 3,2 milioni di immobili costruiti in zone precarie e insediamenti irregolari, esposti a rischi di catastrofi quali le inondazioni che, nel 2010, causarono 145 morti nelle favelas di Rio de Janeiro.

«Lo stato dovrebbe focalizzarsi nella regolarizzazione delle aree abitate che già esistono, come le favelas: questo paese è stato costruito dalle occupazioni dei lavoratori», dichiara Silvestre.

 

Città in stato di apartheid

Con i megaeventi sportivi si è gettata benzina sul fuoco. I mondiali di calcio del 2014 e le olimpiadi di Rio del 2016 furono organizzate a prezzo di sgomberi di favelas e approfondirono i processi di gentrificazione, con aumenti degli affitti specialmente le favelas situate in zone bramate dal mercato immobiliare, come la Rocinha, con una fantastica vista sulla spiaggia carioca, o Paraisópolis, nella ricca zona a sud di San Paolo.

Tutto ciò proprio nel momento in cui la crisi economica si aggravava e la disoccupazione aumentava.

Guilherme Boulos condivide con il deputato Marcelo Freixo l’idea che questi processi hanno approfondito una logica di segregazione, che si appoggia sul razzismo di impronta coloniale di cui la società brasiliana è impregnata. A Rio la metafora della segregazione si esprime nel contrasto tra l’asfalto – la città “civilizzata” – e la collina, dove si insediano le favelas.

D’altra parte, quelle colline oggi sono l’obiettivo del mercato immobiliare, soprattutto quelle con una posizione privilegiata come le spiagge di Ipanema e Copacabana.

Nelle migliaia di favelas di Rio de Janeiro vive niente meno che un terzo dei quasi sette milioni di abitanti della “Città meravigliosa” però, fin dalle origini di questi agglomerati irregolari di baracche, un secolo fa, le periferie in Brasile non sono mai state viste come parte integrante della città.

«Un terzo della popolazione carioca vive una situazione di assoluta esclusione, senza accesso a trasporti, educazione e sanità», spiega Marcelo Freixo, deputato dell’Assemblea Legislativa della Stato di Rio de Janeiro e attivista veterano per i diritti umani. «Per la popolazione povera la legalità della quotidianità è molto diversa dalle leggi scritte: Rio vive una logica di apartheid», aggiunge Freixo.

E sopra questa realtà inquietante si stendono fenomeni come la brutalità poliziesca e i gruppi paramilitari, le cosiddette milizie, che controllano buona parte delle favelas carioca.

Anche a San Paolo, la più grande e vibrante metropoli del Sud America, gli interessi immobiliari premono sulle favelas e cercano di scacciare i suoi abitanti. I movimenti sociali hanno denunciato reiteratamente che questi interessi stanno dietro gli incendi provocati per espellere la popolazione civile.

Ciò che è certo è che nelle favelas Puliste si sono registrati più di 1.200 incendi negli ultimi vent’anni e la metà di questi si sono concentrati tra il 2008 e il 2012. I movimenti hanno mappato questi incendi per mostrare che colpiscono maggiormente le zone in seguito più valorizzate della città.

Il pubblico ministero fece un’investigazione nel 2012 dopo che in un solo mese si registrarono 15 incendi in favelas.

 

L’occupazione come risposta

In Luta Popular sanno cosa significa affrontare un incendio. Sono convinti che l’incendio all’occupazione Esperança del settembre 2016 fu doloso.

«Venne distrutta più della metà dell’occupazione, la quale fu però ricostruita senza l’aiuto delle istituzioni, grazie ad un’intensa campagna di solidarietà: ci dettero cibo, vestiti, materiale per costruzioni, donazioni per comprare un estrusore per mattoni; vennero anche architetti volontari», racconta Silvestre.

Esperança, nel municipio di Osasco, nell’area metropolitana di San Paolo, dà un tetto a 1.200 famiglie ed è la più grande delle tre occupazioni fino ad ora guidate da Luta Popular. Le altre due sono Jardim União, con 600 famiglie, e Cacique Verão, che ne ospita 320.

Luta Popular è nata nel 2011. Silvestre proveniva dal MTST; altri compagni dal movimento ecologista o dalle favelas. Si tratta di un gruppo eterogeneo che si autodefinisce come un movimento popolare di organizzazione del territorio. L’occupazione è uno dei suoi strumenti fondamentali: appoggiandosi al principio costituzionale della funzione sociale della proprietà privata, scelgono terreni inutilizzati e procedono all’occupazione con le famiglie interessate.

In seguito, continua il processo collettivo, che tra le altre cose passa per la creazione di una scuola e per rispondere in maniera autogestista alle necessità di cui lo stato non si fa carico. «L’idea è che le occupazioni siano generate da esperienze collettive, dall’imparare socialità e organizzazione», spiega Silvestre.

«Le occupazioni sono più necessarie che mai, perché sempre più gente non sa come pagare l’affitto. I senza tetto aumentano a vista d’occhio e lo stato risponde solo con la repressione: la città sembra assediata», aggiunge Silvestre.

In questo contesto «le occupazioni sono una via d’uscita per molte famiglie».

E, per la fondatrice di Luta Popular, tale processo è anche «una scuola di autorganizzazione popolare, di autogestione. Nel percorso scopriamo che uniti possiamo fare molte cose».

 

Pubblicato l’8 Gennaio 2018 su equaltime

Traduzione di DINAMOpress