PRECARIETÀ

Lavoro o non lavoro, bisogna pur campare: niente DIS-COLL a dottorandi ed assegnisti

Lo scorso 24 aprile, sotto la sede dell’INPS a Roma la Coalizione 27Febbraio ha promosso uno speaker’s corner molto partecipato per rivendicare un’equita’ fiscale e contributiva, l’estensione universale degli ammortizzatori sociali e l’introduzione di un reddito minimo. . L’ampia partecipazione alla mobilitazione e la presenza contemporanea di un presidio alla sede INPS di Padova, ha avuto come esito un incontro con il Presidente dell’INPS Boeri durante il quale sono state esposte le rivendicazioni della piattaforma.

In particolare, la delegazione ha fortemente insistito con Boeri per l’estensione del neo ammortizzatore DIS-COLL, introdotto con il Jobs Act, anche alle figure precarie che lavorano all’interno delle Universita’: assegnisti di ricerca, dottorandi e specializzandi in medicina. In particolare, sono state elencate tutte le contraddizioni che emergono da questa esclusione ad hoc del comparto ricerca dalla platea dei beneficiari della DIS-COLL. Prima fra tutte l’iscrizione e il versamento dei contributi previdenziali (con la stessa aliquota!) alla Gestione Separata, esattamente come i collaboratori coordinati e continuativi e a progetto i quali invece, per loro fortuna, beneficieranno della DIS-COLL. La rispostadi Boeri, raggelante e imbarazzante, e’ stata: “Noi non possiamo fare nulla, la DIS-COLL e’ un ammortizzatore sociale per i lavoratori. E voi non lavorate!”…

Questa risposta, che ha dell’incredibile, svela in realta’ qual e’ la percezione in questo paese del lavoro svolto dalle figure precarie della ricerca: per la legge ancora studenti in formazione, per l’accademia figure lavorative a tutti gli effetti, le cui attività vengono messe direttamente a valore e per i quali la corsa sfrenata alle pubblicazioni, alla stesura dei progetti, alla raccolta punti da curriculum sotto il ricatto della valutazione è identica alle figure strutturate dell’accademia, se non peggio. La condizione di ricattabilita’ perenne causata dal definanziamento storico, dal blocco del reclutamento e dalla gestione verticale dall’alto dei pochi spiccioli rimasti, costringe assegnisti e dottorandi a svolgere mansioni che non spetterebbero loro. Dallo svolgere servizi di segreteria amministrativa, a tenere lezioni al posto del titolare della cattedra, al fare esami, ad assistere gli studenti nelle ore di laboratorio.

Mansioni di cui ormai le Universita’, prossime al collasso, non possono fare a meno. Tanto e’ vero che dall’anno prossimo, i Professori a contratto (“titolo” con cui si cerca di retribuire l’assegnista di turno che per 800 euro all’anno tiene un insegnamento all’interno di un corso di laurea) saranno conteggiati come personale strutturato ai fini dell’accreditamento dei corsi di laurea (!). Senza contare che i lavori di ricerca compiuti dai ricercatori precari vengono utilizzati ai fini dell’ossessione valutativa che sta trasformando radicalmente le Universita’: sono ovvero messi a valore dalle amministrazioni degli atenei con lo scopo di aumentare la propria porzione del fondo premiale. Inoltre, in alcuni ambiti, i risultati delle ricerche vengono immediatamente sfruttatieconomicamente da soggetti extra-accademici, che, a questo punto, trarrebbero profitto dal nostro non-lavoro. Tutto ciò farebbe quasi ridere, se la situazione non stessa diventando sempre più preoccupante.

Inutile dire che lo statuto giuridico di non lavoratori a cui si è appigliato Boeri insieme alla convinzione generalizzata che i ricercatori siano delle figure privilegiate che possano permettersi ancora di studiare, sono la causa principale della diffusione del lavoro gratuito all’interno delle Universita’. Un lavoro che spesso viene svolto nell’ambito della cosiddetta “economia della promessa” che alimenta ed ha alimentato le speranze di migliaia di ricercatori precari, puntualmente espulsi dal sistema. Spesso inoltre, le attività svolte gratuitamente all’interno delle Universita’ viene “retribuito” con la moneta del curriculum, con la perenne ed inesauribile “formazione”, necessaria per poter poi diventare Professore, in un futuro che non arrivera’ mai.. Ed e’ proprio questo uno dei nodi centrali della questione: i dottorandi non vengono considerati lavoratori in quanto “studenti di dottorato”, mentre gli assegni sono dei “contratti di formazione”. E’ chiaro come attraverso il divenire moneta della formazione, soprattutto in questi anni di politiche sull’istruzione fondate sulla “formazione permanente”, si è cercato di rendere eticamente legittima la frontiera più avanzata dello sfruttamento: il lavoro gratuito appunto. Allo stesso tempo, una delle motivazioni alla base delle esclusione dei precari della ricerca dalla platea di beneficiari della DIS-COLL consiste nel dipingere queste figure lavorative come dei giovani fortunati che hanno la possibilità di dedicarsi all’attività che desiderano, come se fosse una colpa quella di voler scegliere il proprio lavoro.

E’ ora di decostruire questa narrazione strumentale del lavoro di ricerca che ogni giorno viene portato avanti dagli atenei dai ricercatori precari che di fatto contribuiscono in maniera sostanziale alle attività dell’Università e senza i quali, con buona probabilità, il meccanismo dell’accademia italiana si incepperebbe. E forse solo sottraendoci dalle mansioni che non ci competono e sprattutto evidenziando che la promozione e la diffusione delle nostre conoscenze sono già di per sè un’attività lavorativa che deve beneficiare delle medesime tutele di tutti gli altri lavoratori, che riusciremo a cambiare il futuro delle figure precarie nel mondo della ricerca Per questo pensiamo che sul tema degli ammortizzatori sociali sia più che mai cruciale in questo momento, nel solco individuato dal processo dello sciopero sociale, e della Coalizione 27Febbraio, mettere in piedi un intervento politico che sia in grado di ricomporre in primo luogo il comparto della ricerca e, successivamente, tutte quelle figure che quotidianamente vivono l’apartheid del welfare.